L'elogio dell'ignoranza (di Fulvio Rubino).

Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001, nel suo libro "La globalizzazione e i suoi oppositori" (Einaudi) ha argomentato sugli errori degli organismi economici internazionali nella gestione delle crisi economico-finanziarie affermando, in particolare, che le proposte di soluzioni avanzate dal Fondo Monetario Internazionale sono state sempre quelle della riduzione delle spese statali, della deflazione della moneta e della necessità di aprire i mercati Locali agli investitori esteri.

Stiglitz afferma che queste risoluzioni, che i paesi in crisi ed i paesi poveri dovevano (ma possiamo affermare che “devono”) obbligatoriamente applicare, non rispondevano (id. “non rispondono”) alle effettive loro esigenze economie, tanto che si sono rivelate inefficaci se non, addirittura, di ostacolo per il superamento delle crisi.

Le riflessioni di Stiglitz hanno una importanza notevole perché provengono, oltre che da un premio Nobel ed ex-presidente dei consiglieri economici dell’amministrazione Clinton, da un economista che è stato, presso la Banca Mondiale, Senior Vice President e Chief Economist, prima di essere stato costretto, nel 2002, alle dimissioni dal Segretario del Tesoro Lawrence Summers a causa proprio delle sue denunce.

 

Una delle denunce più gravi e documentate da Stiglitz riguarda proprio la Banca Mondiale la quale chiede agli Stati di interrompere i finanziamenti per lo sviluppo del sistema di istruzione di base se questi stessi Stati vogliono aspirare ai prestiti e al sostegno della Banca.

Denaro contro ignoranza.

Una buona parte degli attori economici mondali ritiene che l’istruzione garantita dallo Stato sia una “industria socialista” ed un ostacolo per lo sviluppo di una economia liberista (Milton Friedman, altro premio Nobel per l’economia nel 1976, sostiene, da quasi mezzo secolo, la necessità di smantellare i sistemi pubblici di istruzione). Per questi attori che ormai detengono il potere e le cui idee hanno ormai preso il sopravvento negli ultimi decenni, lo scenario sociale verso cui tendere è la società dei “cinque quinti”:

  • un quinto di ricchi;
  • tre quinti di consumatori a basso reddito;
  • un quinto di mendicanti, barboni, clochard.

Il quinto dei ricchi, potendo disporre dei mezzi per pagare scuole ed università di livello elevato, sarebbero anche i “colti” della società e, quindi, sarebbero coloro che determinerebbero “il bello e il cattivo tempo” della società, sarebbero, cioè, i padroni della società.

I tre quinti di consumatori a basso reddito, sarebbero anche coloro che possiederebbero un altrettanto basso livello di istruzione e che, facilmente, potrebbero essere fatti sprofondare nell’ultimo quinto, dei mendicanti, se non sottostanno alle regole definite dal quinto dei ricchi.

L’altro quinto non fa testo (mendicanti, barboni , clochard, …).

Questa idea stratificata di società è stata definita, nel 1995, a New York, dalla Fondazione Gorbacëv e teorizza, al fine della sua realizzazione, la trasformazione dell’obbligo di istruzione garantito per legge in un fatto totalmente privato, lasciato al libero arbitrio delle famiglie.

Tale impostazione teorica di fatto si è realizzata e si sta continuando a realizzare pienamente ,tutto ciò corrisponde esattamente allo scenario composto dalle politiche, definite dai vari governi che si sono succeduti, nel nostro Paese, in questi ultimi 20 anni: destrutturazione dell’apparato pubblico dell’istruzione e della ricerca.

Le “tre C” (Conoscenza, Competenze e Capacità) si sono ridotte ed assottigliate alla sola Conoscenza, smagrita a sua volta anche per la riduzione del tempo scuola .Si potrebbe argomentare su azioni intenzionali in continuità compiute dai diversi governi ma basta scegliere alcuni esempi:

  • La costante riduzione dei fondi per il miglioramento dell’offerta formativa.
  • La riduzione dell’istruzione da obbligo, garantito dalle leggi, a un fatto privato, dipendente dalle possibilità economiche delle famiglie.
  • La riduzione dei laboratori ad una presenza residuale nel piano formativo.
  • Le classi sempre più affollate.
  • La continua diminuzione del numero degli insegnanti considerati in eccesso rispetto alle necessità economiche del sistema.
  • Il costante e progressivo impoverimento degli insegnanti e di tutto il personale scolastico.
  • Riduzione del numero e dei finanziamenti per gli Enti di Ricerca.
  • Gli insegnamenti e professori universitari legati esclusivamente al mero criterio numerico degli iscritti ai vari insegnamenti.
  • La valutazione delle pubblicazioni dei professori universitari attraverso una classificazione delle riviste e non per i contenuti.
  • Le ipotesi, sempre più sostenute, di sostituzione degli insegnanti attraverso le TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione).

Sono solo alcune delle norme che stanno destrutturando in Italia il sistema pubblico di istruzione e ricerca. Esse non sono semplicemente scelte miopi di politici locali, ma rientrano in un quadro complessivo di politiche intenzionali che fanno parte di un disegno e di una progettazione di dimensione internazionale.

Mentre la società diventa sempre più complessa e le tecnologie bombardano le persone con una quantità notevole di informazioni, richiedendo livelli di risposte più puntuali ed avanzate, la risposta è quella di annientare la scuola facendo sì che i giovani, il futuro della società, abbiano sempre meno strumenti per fronteggiare la complessità, relegandoli, così, ad un ruolo sempre subalterno.

Un sistema di istruzione e ricerca che diventa, sempre più, una macchina che invece di distribuire strumenti di sopravvivenza sociale ed intelligenza, distribuisce “panem et circenses” (locuzione latina, del poeta Giovenale, utilizzata per indicare il metodo applicato nell’antica Roma di assicurare il consenso popolare con elargizioni economiche e con la concessione di svaghi a coloro che erano governati).

Questo modello, presentato come il non plus ultra della modernità, si contrappone al vetusto ideale di una scuola pubblica obbligatoria per tutti (sono troppo vecchi coloro che hanno scritto su tale modello, da Martin Lutero a don Lorenzo Milani).

È L’ELOGIO DELL’IGNORANZA (o, come la definisce Augusto Ponzio, la comunicazione globale dell’ignoranza) che crea disuguaglianza!

In merito, si potrebbe ritornare e citare Joseph Stiglitz, quando afferma che la disuguaglianza uccide la crescita, il PIL*, per non parlare dei Padri Costituenti che nell’articolo 3 della Carta Costituzionale, prescrivevano come “compito della Repubblica” l’uguaglianza sostanziale, il libero sviluppo, perché tutti potessero partecipare alla pari alla vita sociale e pubblica.

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

 “Da decenni, nel nostro paese, la parola "disuguaglianza" è scomparsa dal linguaggio della politica, dei partiti, dei media, di gran parte degli accademici. Questo accade in un'epoca in cui le disuguaglianze di reddito e di ricchezza sono diventate abissali. Nel mondo, poche decine di milioni di individui possiedono ciascuno una ricchezza pari a 1315 volte quella di ciascuno dei tre miliardi e mezzo di individui che formano la base della piramide. In Germania, l'indice di Gini applicato alla ricchezza sfiora ormai lo 0,8, come dire che poche migliaia di famiglie detengono la maggior parte del patrimonio immobiliare e finanziario del paese. In Italia il 60 per cento dell'Irpef proviene dal reddito da lavoro dipendente, e il 30 per cento dai pensionati: di contro, imprenditori, commercianti, professionisti pagano oramai appena il 10 per cento. ….” (L. Gallino)

Viene così naturale porsi, ancora oggi, l’interrogativo che si poneva Giacomo Leopardi, circa la possibilità che “la felicità de' popoli si può dare senza la felicità degl'individui” (“A Pietro Giordani”, Firenze 24.VII.1828, Epistolario), che noi potremmo parafrasare:

Può esistere una società felice fatta da uomini infelici?

Si può costruire una società intelligente attraverso un sistema di istruzione e ricerca che elogia l’ignoranza?

 

Fulvio Rubino

(CGIL: coordinatore nazionale dello svilupo dei sistemi informatici di calcolo previdenziale)

 

 

 

 

*    relegare nell’ignoranza e alla marginalità la classe media comporta la caduta dei consumi perché è la classe media che possiede la maggiore propensione al consumo, mentre la prevalenza dei “ricchi” porta all’inefficienza in quanto, in tale classe, la propensione al consumo è inferiore e prevalgono rendite e monopoli che riducono la produttività e il benessere del paese

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