Una storia dei nostri tempi ... con Mimì e Cocò!

«Sappi che ti ho tradita!». I matrimoni, come è noto, si promettono e si mantengono, si organizzano e si consumano: e qualche volta si concludono anzitempo. Può succedere anche che saltino ben prima del «fatidico sì», ora per la repentina consapevolezza di stare per commettere un errore, ora per insicurezza, ora per l'infingardaggine di uno dei partner, e più spesso – dato confortato dalle statistiche – per tradimento. Nella società del Tremila, quella per intenderci, in cui le vagine non si limitano ai monologhi, ma conversano amabilmente col vicino di seduta nei tram, quella in cui l'«invidia penis» rischia di tracimare nell'evirazione, nulla può menare scandalo. Certamente non un matrimonio già bell'e pianificato e mandato all'aria all'ultimo momento.

Lo stesso Boccaccio, però, avrebbe esitato perlomeno nello scegliere il registro, i toni, le stesse parole per rendere al meglio una vicenda realmente accaduta nella Mesagne dei nostri giorni, ma tanto surreale da surclassare l'ispirazione di ogni possibile fantasia narrativa.

Protagonisti, ma con nomi di fantasia, Mimì e Cocò, giovani fidanzati da tempo. Mimì ha strappato una promessa di matrimonio a Cocò proprio nel modo in cui le donne sono maestre: con la più sopraffina delle blandizie. Si mette in moto la macchina dell'organizzazione, concordando la data col parroco, prenotando la sala per il ricevimento, scegliendo i fiori e le bomboniere, consumando l'inesorabile peregrinare della scrematura degli abiti da sposa e da cerimonia, inorgogliendo i futuri testimoni, prefigurando mete tropicali per il viaggio di nozze. Trascorrono così, nella frenesia che sa di ghiotta attesa, settimane su settimane, con Mimì circondata dalle amiche, ancelle fedeli secondo Ovidio, leste a suggerire acconciature, a comporre bouquet, a immaginare, quelle impertinenti, l'ardore della prima notte e chissà, il primo pargoletto. Ma Cocò appare distratto, anzi gravato dal da farsi, ogni appuntamento (selezionare il colore del tovagliato, prevedere il pullman per chi verrà da fuori, preferire i gemelli o i polsini) lo induce a sbottare, a rispondere male a colei che di lì a poco diventerà sua moglie. Appena può, poi, svicola, annuncia di dover restare in ufficio oltre l'orario consueto e tende a delegare alla fidanzata: «Fai tu, sai che mi fido del tuo gusto, hai carta bianca, non è necessario che venga con te, ho troppe carte da smaltire».

Mimì è comprensiva, come ogni donna conosce l'intima natura del maschio, sa bene che quello anagraficamente adulto è invero (e tale resterà a lungo) bambino, che quindi resta sopraffatto dalle responsabilità. Così lo giustifica con le amiche, ironizzando: «Lasciate stare, sarà angosciato dall'idea di dover perdere la libertà, è inutile coinvolgerlo per forza nell'organizzazione di questo matrimonio, meglio che si presenti direttamente nel giorno stabilito, soffrirà di meno».

La conclusione, già annunciata nel prologo, è che due mesi addietro il matrimonio di Mimì e Cocò è saltato, causa inoppugnabile il lungo e convinto tradimento di lui perpetrato ai danni di lei. Nulla di nuovo sotto al sole, se non che sia stato inspiegabilmente lo stesso Cocò, mai scoperto nell'atto fedifrago, a confessare a Mimì i dettagli ed il senso della sua appassionata «scappatella». «Sappi che ti ho tradita, e non con un'altra ma con un altro!», anzi con un vistoso, curvilineo transgender, di quelli che attirano l'attenzione e fanno girare la testa, evidentemente in tutti i sensi, anche al più quieto degli sposi promessi.

Giuseppe Florio

 

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