Brindisi: la valutazione del danno sanitario solleva molte perplessità

Il “Forum Ambiente Salute e Sviluppo” e l'Associazione “Salute Pubblica” in una lettera aperta hanno sollevato perplessità

sul metodo e nel merito della “Relazione di Valutazione del Danno Sanitario 2019” riguardante l'Area di Brindisi. La VDS è prevista solo in Puglia dal 2012 e questa è la seconda relazione che dovrebbe essere annuale. Secondo quanto previsto dalla legge che l'ha istituita, avrebbe la finalità di proteggere la salute delle popolazioni.  Di seguito il testo integrale delle osservazioni inviate alle agenzie proponenti ed alle autorità ambientali e sanitarie regionali e nazionali.

La Valutazione del Danno Sanitario 2019 dell’Area di Brindisi elaborata dal ARPA Puglia, ARESS e ASL Brindisi in attuazione Legge regionale “24 luglio 2012, N. 21 ‘Norme a tutela della salute, dell'ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate a elevato rischio ambientale’, che ha la finalità di “prevenire ed evitare un pericolo grave, immediato o differito, per la salute degli esseri viventi per il territorio regionale” è stata inviata alle aziende che insistono nel Capoluogo.

La Legge ha trovato attuazione attraverso il Regolamento regionale 12/2012 pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 145 del 05-10-2012 dove sono stati stabiliti i criteri metodologici.

Si formulano di seguito alcune osservazioni riguardanti sia i criteri metodologi assunti a monte per la valutazione, sia il merito delle valutazioni ed il raggiungimento dell’obiettivo che la Legge si prefiggeva.

LA SCELTA DEL METODO ED IL LIMITE DI ACCETTABILITA’

Nella premessa della VDS si afferma che la metodologia raccomandata nel Regolamento attuativo prevederebbe “una valutazione di impatto sanitario che si avvale di procedure di risk assessment, con particolare attenzione agli effetti cancerogeni delle sostanze”.  A riguardo sembra opportuno sottolineare che il citato regolamento non si spinge ad indicare il risk assessment con le conseguenze operative che tale scelta determina in termini di selezione degli inquinanti e utilizzo di determinate funzioni dose-risposta. Che questa non fosse l’unica scelta possibile sì può facilmente riscontrare dal momento che nelle linee guida ISPRA per la Valutazione Integrata Sanitaria ed Ambientale (aprile 2015) vengono indicate due metodologie, quella del Risk Assessment e quella dell’Health Impact Assessment.

Senza voler entrare nello specifico ci si limita a riportare quanto le predette Linee guida riportano a riguardo: il Risk assessement “nasce negli anni ’70 da un approccio di tipo tossicologico, basato su test di laboratorio su animali, finalizzati ad ottenere stime di rischio incrementale dovute all’esposizione a specifiche sostanze. L’Health Impact Assessment (HIA) si basa invece su evidenze di tipo epidemiolgico e nasce negli anni ’90 come procedura finalizzata al calcolo del carico di malattia attribuibile all’inquinamento ambientale.” Quale sia stata la ragione della scelta del primo metodo o la mancata applicazione di entrambi non è noto agli scriventi e tanto meno alle comunità coinvolte dal momento che non è indicato né nella legge, né nel regolamento né nella stessa relazione di VDS in questione.

A Brindisi è stato possibile confrontare i due metodi. Nel 2014 fu resa pubblica una VDS sulla Centrale ENEL Federico II. La VDS ha stimato, utilizzando il modello del Risk Assessment, i danni delle sostanze cancerogene contenute nel cosiddetto particolato primario e per la stessa tipologia di emissione anche il rischio non-cancerogeno. Con riferimento al solo rischio cancerogeno e valutando solo il particolato primario e le emissioni prodotte dall’erosione eolica del parco carbonile, dalla movimentazione, dal traffico e dalle attività portuali, ARPA, ASL e ARES rilevavano un rischio cancerogeno di 0,3/10000 esposti e un rischio non-cancerogeno che riporta l'esistenza di un pericolo in quanto i dati sanitari risultano in eccesso rispetto al riferimento assunto.

Nel 2015 fu pubblicato uno studio di tre ricercatori del CNR (Mangia C. et al 2015) in cui, su determinate emissioni (particolato primario e precursori del particolato secondario) dello stesso impianto si applicava una  valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario (VIIAS), inquadrata nel  metodo  HIA; i ricercatori hanno utilizzato coefficienti di rischio che pervengono non da studi su animali ma da studi su persone e, nel caso specifico, da studi epidemiologici svolti sulle popolazioni esposte a concentrazioni di particolato (PM2.5). Nell’articolo hanno stimato l’impatto sia del particolato primario emesso dal camino della Centrale sia del particolato secondario che si forma anche a diverse decina di chilometri dal camino (elemento non presente nella VDS). Infine, gli autori hanno calcolato i morti, per qualsiasi causa e dunque non solo per cancro, attribuibili a questo inquinamento (particolato primario + particolato secondario) sulla base delle morti che realmente si sono verificate nell’area in studio, comprendente 120 comuni delle province di Brindisi, Lecce e Taranto, nell’anno di studio (2006).

È evidente il diverso approccio contenuto nell’articolo dei ricercatori del CNR. Con questo approccio, noto e contemplato in documenti scientifici internazionali ed anche, come già detto, in linee guida nazionali (http://www.arpa.puglia.it/c/document_library/get_file?uuid=77bd266a-e369-4822-bd91-6c9f7f35fb2f&groupId=13879), l’Health Impact Assessment  consente di spostare l'attenzione su ciò che realmente è di interesse per la salvaguardia della salute pubblica e cioè gli eventi sanitari, nel caso specifico i decessi, attribuibili alla centrale. Quest’approccio consente, dunque, un'altra importante operazione: il considerare quale limite da prescrivere alla Centrale un limite fisico-chimico di concentrazioni delle sostanze emesse ai camini derivato da un limite di tipo strettamente sanitario e cioè, per l’appunto, il numero massimo di decessi attribuibili che la comunità è disposta a tollerare. Questo comporta un cambiamento di paradigma culturale e rimette al centro della AIA il concetto di accettabilità del rischio da parte delle popolazioni e dei rappresentanti istituzionali delle medesime. Proprio per quest’ultima considerazione lascia perplessi inoltre l’assunzione “a priori” del limite di accettabilità del danno che la VDS deriva dall’Environmental Protection Agency (EPA) degli USA nella misura di 1x10-4. Vale la pena sottolineare infine come EPA raccomandi, qualora il rischio risultasse comunque maggiore di 1x10-6 (figura 1.8.4 della VDS), di adottare “provvedimenti discrezionali” che non risultano nel nostro caso né definiti né previsti (a parte il caso del cromo esavalente commentato nel successivo paragrafo).

In sostanza, anche a beneficio dei non addetti ai lavori il discorso si può semplificare cogliendo la differenza tra i due metodi di indagine nel fatto che mentre con metodo il RA si prende in considerazione “a priori” la pericolosità intrinseca di determinate sostanze con le quali vengono in contatto i soggetti che vivono in una determinata area per valutare l’entità dei rischi cui sono esposti, nel metodo HIA invece si valutano “a posteriori” la natura e la gravità delle malattie che oggettivamente presentano coloro che vivono e lavorano nei pressi degli impianti per risalire agli agenti che possono averle provocate. Fermo restando ovviamente che l’uno e l’altro metodo devono sempre verificare la sussistenza del rapporto di causalità fra le sostanze pericolose e le conseguenze da esse provocate. E” evidente allora che il ricorso ad entrambi i metodi risulta, per la sua completezza, doveroso specialmente quando, come nel caso di Brindisi, sono in gioco diritti essenziali e interessi sociali di rilevante entità. Sentiamo il dovere di rilevare in subordine, ove non si ritenesse di cumulare i due criteri (per motivi allo stato non individuabili), che occorrerebbe quanto meno che si ricorresse al secondo criterio che appare tra i due il più affidabile, soprattutto nel caso di Brindisi, perché consente di impostare il lavoro con la oggettiva ricognizione dei gravi e documentati eventi dannosi riscontrati.

IL MERITO DELLA VALUTAZIONE

Dopo aver rilevato eccessi di indicatori per patologie oncologiche e non nel capoluogo, la VDS conclude: “Per quanto riguarda il rischio cancerogeno, il livello massimo di rischio per le aree con edifici ad uso residenziale superiore a 70 mq è pari a 30 per milione (0,3·10-4), inferiore rispetto al valore di 1:10.000, utilizzato come riferimento nella valutazione del danno sanitario dello stabilimento ILVA di Taranto. Per quanto riguarda il rischio non cancerogeno, si riscontra una criticità sanitaria e ambientale nell’area in cui sono situate la discarica di Formica Ambiente e la discarica comunale di RSU.”

Appare chiarissima l’irrilevanza nel giudizio finale della valutazione epidemiologica per quanto corposa ed aggiornata alla più recente edizione della studio SENTIERI in corso di pubblicazione.

C’è allora da chiedersi a cosa siano dovuti gli eccessi registrati. Sicuramente una quota è attribuibile alle emissioni industriali come dimostrato lo studio di Coorte condotto dal Prof Forastiere (2017) e citato anche nella parte epidemiologica della VDS.

La metodologia usata, il RA, cerca il numero di casi di tumore nella popolazione residente nelle zone di massima ricaduta degli inquinanti, ignorando la dispersione per formazione di particolato secondario. Resta in ogni caso inspiegata in questa VDS, la quota di eccessi oncologici, rilevati dalla ricerca epidemiologica contenuta nello stesso documento, attribuibile alle emissioni industriali. Mentre è assolutamente chiara nello studio Forastiere, anch’esso formalmente citato.

Di fronte agli eccessi di mortalità ed ospedalizzazione rilevate al termine della valutazione non si assume nessuna iniziativa di contenimento delle emissioni.

Un ultimo aspetto critico emerge dal caso specifico circa il rischio il rischio cancerogeno da Cromo(VI). La metodologia adottata, applicando le emissioni autorizzate alla azienda, trovava un rischio decisamente inaccettabile per l’intera città di Brindisi, superiore a un caso su 10000. La “questione” è stata risolta adottando come emissioni quelle misurate (in autocontrollo) ai camini, che risultano molto inferiori a quelle autorizzate; così facendo il rischio torna a livelli ritenuti accettabili. Sperando che la realtà corrisponda alla seconda assunzione e non alla prima, come è stato possibile che sia “stato fissato in AIA un limite per il Cr(VI) in effetti elevato” (VDS 2019, p.122)? Sulla base di quali considerazioni di protezione della salute si era proceduto a determinare soglie di attività per un cancerogeno ultranoto come il cromo esavalente?

L’OBIETTIVO DI TUTELA DELLA SALUTE NON E’ RAGGIUNTO

Se il dato epidemiologico alterato non è influente, la VDS in questione mostra tutta la sua inadeguatezza a garantire l’obiettivo che la legge istitutrice si era prefissa, quello cioè “di prevenire ed evitare un pericolo grave, immediato o differito, per la salute degli esseri viventi”.

La VDS per tutelare la salute delle popolazioni esposte, in questo caso quella di Brindisi, deve partire dagli eccessi epidemiologici di patologia tumorale (essendo emessi cancerogeni) e non-tumorali ed attribuire la quota spettante alle emissioni dichiarate, meglio se misurate. Stabilita la quota di malattia o di decessi attribuibile sarà possibile stabilire quanta riduzione della stessa è possibile con la riduzione delle emissioni.

 Diversamente si corre il grave rischio che di fronte ad una simile conclusione le attività produttive possano sentirsi legittimate a non applicare un fondamentale principio della normativa ambientale, quello cioè dell’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili (BAT). Nell’esempio specifico sopra citato, la centrale termoelettrica Federico II rischia di essere autorizzata a emettere nei fumi una concentrazione tale di inquinanti capace di continuare ad attribuire alla centrale stessa decessi per tutte le cause inferiti dalla formazione di particolato secondario, mentre l’applicazione di BAT sulla emissione oraria di ossidi di azoto e zolfo consentirebbe di ridurre questo danno al minimo. Sembra che nel caso specifico ci si adegui a non imporre investimenti a tutela della salute a un impianto destinato a smettere la produzione nei prossimi 5 anni, e che avrebbe di fatto diminuito la propria dannosità nella misura del minor funzionamento (meno di un terzo del potenziale nel 2017) per l’uscita progressiva dal mercato dell’energia elettrica fossile. Ma questa coda velenosa di produzione residua sarà ancora a carico dei soliti costi esterni sanitari di rado contabilizzati, e fatti conoscere quasi mai.

PROPOSTE

Alla luce delle osservazioni precedenti chiediamo che sia revocata la relazione di VDS in questione e che, prima di una nuova relazione, siano stabiliti di concerto gli enti locali interessati i limiti di danno accettabili. Chiediamo inoltre che siano applicate entrambe le metodologie indicate dalle linee guida ISPRA  (o quella prospettata in subordine) e sia utilizzata quella che mostra il maggior danno sanitario attribuibile alle emissioni industriali. Si proceda quindi alla riduzione delle emissioni eventualmente necessaria per raggiungere il limite di danno accettato dalle comunità esposte.

03 aprile 2019

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