No al carbone: contrari al gasdotto che sarebbe una ennesima devastazione del territorio.

Sia chiaro che la nostra posizione sull’uscita dall’era del carbone attraverso una riconversione a gas di Cerano non implica in alcun modo la costruzione di un gasdotto che porterebbe ad un’ ennesima e inesorabile devastazione del territorio. E con questo sgomberiamo subito il campo da facili strumentalizzazioni.
Il gas a Brindisi è già presente. La centrale ENIPOWER di 1170 MEGAWATT è alimentata a gas e la costruzione di una bretella potrebbe alimentare due gruppi della centrale Enel Federico II, che va detto è un impianto già vecchio di 20 anni sul quale Enel non crediamo abbia questi enormi capitali da investire.



Su quest’argomento ci è toccato ascoltare la “fine strategia” del segretario Sergio Blasi, il quale sostiene che sia utile riconvertire la centrale Enel, e quindi approdare a Cerano, piuttosto che far giungere il gas a San Foca. “Progetto dispendioso, ma non impossibile” ha sottolineato.
Probabilmente il segretario regionale del PD e altri politici che ne seguono le gesta, hanno fatto i conti senza l’oste. 
Bisognerebbe innanzitutto chiedere a Fulvio Conti e agli azionisti Enel, primo su tutti lo Stato, cosa ne pensano del progetto di metanizzazione e del suo business.


Blasi invita il governo a valutare la riconversione di Cerano ma forse qui la questione bisogna capovolgerla per poterla vedere dal lato giusto. Fino a prova contraria nel nostro territorio sono sempre state le grosse industrie e i grossi interessi economici a valutare e dettare l’agenda di governo, e mai il contrario.

A Brindisi da oltre 50 anni si fanno profitti sulla pelle della gente, sull’inquinamento di un territorio e sulla distruzione delle sue vocazioni naturali. E il fatto che si sia deciso di impiantare un sistema di industria pesante che ha ammazzato agricoltura e turismo non significa che bisogna continuare in questa direzione.
Ecco perché il nostro è un NO, senza se e senza ma, al progetto del gasdotto TAP qualunque sia il suo punto di approdo.

La zona industriale di Brindisi, compreso il porto industriale fino a Cerano, è stata riconosciuta area ad alto rischio di incidente rilevante e il cosiddetto “effetto domino” è una paura che incombe costantemente sulla città. Il puzzle di impianti che gravano sulla zona industriale è ormai saturo e non è consentito aggiungerci alcun tassello.

Ma la TAP non è solo dannosa all’ecosistema del mare e a quelle coste Leccesi dall’enorme potenziale turistico, la TAP è anche inutile. In Italia siamo in una folle situazione di sovrapproduzione elettrica, termoelettrico e rinnovabili insieme, raggiungono una potenza installata di circa 120 mila MW con a fronte una richiesta per la quale sono sufficienti 57 mila MW di potenza installata. Produciamo più del doppio di quello che è il reale fabbisogno. Ma allora a chi serve veramente quest’opera “strategica”? 
Dal punto di vista fiscale all’Italia di sicuro non serve. La joint venture Trans Adriatic Pipeline AG ha sede in Svizzera e i redditi che produrrà saranno tassati solo dallo Stato di residenza, appunto la Svizzera.

Anche nell’assetto societario non c’è traccia di azionariato italiano e dunque la politica sarebbe diventare un grande “hub strategico”, che detta così sembrerebbe un qualcosa di cui andar fieri a livello internazionale. 
In altre parole diventeremo il deposito di metano a servizio dell’Europa visto che il nostro fabbisogno interno è già ampiamente soddisfatto.
E non si venga a parlare di lavoro! Il sottosegretario per lo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti ha parlato di almeno 340 occupati nella sola provincia di Lecce che sommati all’indotto arriverebbero a circa 2000 posti di lavoro. Numeri, presi come oro colato dalle stime calcolate dalla stessa multinazionale. Si torna alla strategia.
La strategia del lavoro, la stessa che ha portato alla costruzione della centrale di Cerano. Migliaia di operai impiegati nel costruirla significano anche una ghiotta occasione per la politica malata di speculare e lottizzare questi posti di lavoro, e poi a opera finita, tutti a casa e l’impianto produce con poche centinaia di persone qualificate.

E’ questa la strategia che ha portato come risultato oltre 20.000 disoccupati a Brindisi, e la crisi e successiva morte di tutto un settore turistico ma soprattutto agricolo, e le attuali vicende giudiziarie di Enel ne sono la testimonianza.



COMUNICATO STAMPA NO AL CARBONE

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