L’Italia finita per l'egoismo del Nord. Il progetto di autonomia del Veneto spaccherà il Paese e porterà povertà al Sud.

Quel che sta accadendo in questi giorni è incredibile e si realizza nel silenzio più completo.

L’Italia, da Lunedì 22 ottobre non sarà più Italia. Il sogno padano di smembrare l’Italia lunedì si compirà! 

Chiediamo direttamente all'on. Concittadino e l Ministro per il Sud cosa ne pensano di quel che si sta verificando.

Nel frattempo proponiamo l’articolo di Lino Patruno apparso su la Gazzetta del Mezzogiorno di qualche giorno fa (12 ottobre). Da parte nostra ora non ci rimane che fare appello che quanto sta avvenendo rimanga a futura memoria perché il Sud ma soprattutto i Salentini ricordino i nomi dei responsabili politici che stanno permettendo che questo scempio avvenga .

Anzi non dimentichiamo che anche Emiliano vuole percorrere la stessa linea per la Puglia, pur non avendo la Puglia la stessa situazione economica del Veneto e della Lombardia, nel senso che riceviamo da Roma, più di quel che versiamo.

In una situazione del genere probabilmente bisogna cominciare a considerare l’autonomia del Salento (Grande e piccolo che sia) per una nostra futura sopravvivenza e non lamentarci che la fuga dei cervelli del Sud sarà sempre più massiccia, purtroppo non verso il Nord ma verso l’Estero!

Buona lettura da Tolleranza zero.

 

L’Italia finita per l'egoismo del Nord

Il progetto di autonomia del Veneto spaccherà il Paese e porterà povertà al Sud. Uno scandalo che passa nel silenzio generale.

di LINO PATRUNO

12 Ottobre 2018

Da lunedì 22 ottobre, l’Italia non esisterà più. Una fine che avviene nel silenzio generale benché manchino solo dieci giorni. Il 22 arriverà in Consiglio dei ministri il disegno di legge sull’autonomia del Veneto, per il quale il vicepremier Salvini ha già annunciato l’immediata approvazione. Ne seguirà a breve uno analogo per Lombardia ed Emilia. Un testo di legge che non potrà essere corretto in Parlamento, che sarà chiamato a un «sì» o «no» in blocco. E la maggioranza si è detta già d’accordo. Così dopo 157 anni sparirà un Paese nato male e finito peggio con la secessione dei ricchi.

Tanto perché si capisca bene, il Veneto, anzi la neonata Repubblica autonoma del Veneto, discuterà i dettagli direttamente col governo di Roma: da Stato a Stato. Addio Costituzione e nazione «una e indivisibile».

Una fine senza neanche manifestazioni di piazza come a Barcellona per l’indipendenza della Catalogna. Da noi il Paese serenamente si spegnerà un giorno di autunno, mentre un popolo indifferente riprenderà il lavoro dopo una fine settimana. Eutanasia col consenso di chi lo guida, attendendo eventualmente di sentire il presidente garante dell’unità.

Perché definire autonomia quella del Veneto è come dire che l’Italia muore, ma solo un po’. Non soltanto quella regione ex-italiana gestirà per conto suo le 23 materie finora in condominio con Roma, dai trasporti, alla sanità, all’ambiente. Ma lo farà contando sia sui fondi nazionali finora ottenuti, sia su una integrazione che gli dovrà lasciare sempre lo Stato. E perché? Perché più ricca di altre regioni. Il principio che un ricco ha più bisogno (diciamo pretende) di servizi pubblici di un povero. Deve avere più strade, più ospedali, più biblioteche. Un ribaltamento del principio dello Stato sociale che cerca di parificare chi meno ha. E il principio che il maggiore gettito fiscale, cioè le tasse pagate, determina un maggiore bisogno anche se non c’è. Insomma alla fine il gettito delle tasse venete deve restare per almeno i nove decimi in casa.

Se ne uscisse dall’Italia, il Veneto potrebbe fare ciò che gli pare. Ma non può più esistere una Italia con regioni più regioni delle altre. Perché se si dà di più a un territorio, non essendo la matematica una opinione, si toglie a qualche altro. Qualche altro meno ricco, vedi il Sud. Che così si vedrebbe ulteriormente ridotto il finanziamento a servizi che sono tutti già al di sotto del minimo essenziale, tranne rinfacciargli la minore qualità della vita invece di chiedergli scusa per l’inadempienza.

Si avvera così con qualche ritardo il sogno «padano» di distruggere il Paese, succhiandone però ancora una generosa e suicida mammella. Il sogno di Bossi e dello stesso Salvini dell’allora Lega Nord. Non è però che ci sarà una dogana fra Veneto ed ex Italia. Il Veneto (con le altre poi) continuerà ad arricchirsi anche grazie ai soldi della spesa pubblica nazionale, che vengono dalle tasse delle rimanenti regioni della ex-Italia. In più si vedrà lasciati i suoi, fatti però grazie anche all’appartenenza all’Italia quando era unita.

Smembrano un Paese, e lo chiamano federalismo differenziato. Che se tale fosse rimasto, non sarebbe stato la fine che è ora. Una maggiore autonomia nel gestire i propri affari regionali, sarebbe stata addirittura opportuna. Non per niente fra le prime a chiedere altrettanto è stata la Puglia, chissà se consapevole in cosa si ficcava. Ma altra cosa è il mitico «ci teniamo i nostri soldi». Perché viola quell’articolo della Costituzione in base al quale i diritti dei cittadini non possono essere diversi a seconda di dove nasci. Non puoi essere curato meglio perché sei un veneto e non un pugliese, non puoi avere più asili nido perché sei un bambino veneto e non uno lucano. In verità già avviene ora in questi ultimi giorni di Italia. Perché già ora la spesa pubblica dello Stato è più alta al Centro Nord che al Sud. Perché? Mah, perché siete brutti, sporchi e cattivi. Minore ricchezza come colpa da far pagare. Avverrà in una Italia non più Italia.

Per non parlare della scuola, decisiva per il futuro di un Paese. Dal 22 ottobre in Veneto non solo decideranno per conto loro i programmi (chessò, studiamo più il dialetto veneto che l’Italiano, o una Storia che dica peste e corna dei sudisti). Ma assunzioni e trasferimenti saranno solo locali, con loro concorsi i cui vincitori saranno pagati girandogli i soldi di Roma, ancora. Docenti che non potranno andare in altre regioni (pardon, altri Stati della penisola) se non dimettendosi.

Non una voce, come si è detto, si è levata. Non dalla ministra del Sud. Non dai Cinque Stelle votati soprattutto dal Sud. Non da Salvini, anzi lui d’accordo. Non dai resti della sinistra. Meno se ne parla, meglio è. Ci vorrebbe una «Marcia dei 40 mila» come quella che salvò la Fiat. Ammesso e non concesso che qualcuno voglia salvare un imbelle Paese chiamato Italia.

(Gazzetta del Mezzogiorno del 12.10.2018)

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