Un abbraccio per sancire la pace ritrovata in Mesagne (Giuseppe Florio).

Mingolla si congratula con Molfetta dopo una dura battaglia.

L'abbraccio tra il vincitore Pompeo Molfetta ed il vinto Ninni Mingolla mezz'ora dopo la mezzanotte sana di colpo le ferite aperte da tifoserie fuor di senno, ma non la cesura che si apre con la Storia dopo più di vent'anni. Per la prima volta, infatti, gli eredi della tradizione postcomunista restano esclusi dal governo della città con la prospettiva di un quinquennio in minoranza. Era, sì, accaduto con la doppia vittoria di Enzo Incalza: ma si era trattato di risultati incerti, effimeri: e come tali si erano rivelati. La netta vittoria di Molfetta (58,62% il risultato definitivo, 6435 voti contro 4542), personaggio del medesimo cespite progressista, protagonista – come si sarebbe detto un po' di tempo fa – della stessa foto di famiglia del PD, apre una fase inedita della vicenda repubblicana mesagnese. Con cui innanzitutto l'attuale classe dirigente democratica, soprattutto quella che non intendeva pensionarsi, dovrà fare conti immediati.

Il trend si era visto fin dai primi minuti dello spoglio: 60 a 40, con quasi nessun margine di errore. Nel comitato elettorale di piazza Garibaldi, i molfettiani vibravano, pronti a scattare per l'imminente vittoria; Molfetta no, teso come una corda di violino in procinto di sfibrarsi. Ben prima dell'esito dello scrutinio, solo l'irruzione del deputato Toni Matarrelli, autentico deus ex machina dell'intera operazione (quella, per intenderci, che ha condotto all'elezione a consigliere regionale di Mauro Vizzino), ha liberato le energie represse degli astanti: «Salutiamo il nuovo sindaco di Mesagne!». Per il tripudio è stato un attimo, il vincitore si è visto lungamente scaraventare per aria dalla sua gente e poi inzuppare con interi magnum di spumante, mentre boati ne salutavano l'avvenuta elezione.

La generosa visita del sindaco uscente Franco Scoditti ha permesso a Molfetta di affrancarsi, almeno per un poco, dall'abbraccio di questo popolo festante, un pout-pourri di giovani, donne, adulti per la massima parte non ideologizzati, vero e proprio valore aggiunto di questa tornata elettorale. Così, accompagnato da Scoditti e seguito da un largo e garbato corteo, Pompeo Molfetta ha raggiunto Mingolla che lo attendeva decorosamente sulla soglia del Palazzo di Città. Fotogramma ad alto tasso emotivo che infatti ha costretto il nuovo sindaco a trattenere le lacrime.
L'atrio del municipio si è subitaneamente riempito di persone che si abbracciavano: «Auguri a tutti noi!», è stato lo slogan spontaneo coniato dalla moltitudine. Di auguri Molfetta avrà molto bisogno, per l'imponente sfida che gli si para davanti: che è quella di rigovernare la città – cioè di metterla in ordine, anzitutto sul piano dell'etica pubblica e della concordia civile – prima di poterla governare a regime.

«Oggi si festeggia, è spogliatoio da Champions League», ha commentato a caldo tra lo stonato ed il burlone, «da domani pensiamo alle cose serie». A mettere cioè insieme la squadra come primo punto dell'agenda, rivendicando le prerogative assegnategli dalla legge, ovvero scegliendo, sentiti i movimenti che compongono la maggioranza, in assoluta autonomia i propri assessori: tutti volti nuovi, molte donne, nessuno o quasi tra i primi eletti, i quali invece dovranno presidiare il consiglio comunale.
«Abbiamo bisogno di tutti, altrimenti non andiamo da nessuna parte», ha ancora dichiarato il nuovo primo cittadino, di fatto annunciando un'apertura formale alle forze di opposizione che saranno richieste, in modi ancora da definire, di partecipare all'amministrazione della comunità. Nessun inciucio, ma un modo nuovo di costruire una città solidale che potrà confidare nel futuro, leit motiv di questo minuto ma coriaceo combattente.

Giuseppe Florio

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