Campagna elettorale contraria al buon senso e alla morale (di Giuseppe Florio).

Bisognerà aggiornare, almeno finché si è ancora in tempo, il vademecum elettorale, quel manuale non scritto, improntato al buon senso ed alla morale comune, delle cose da non fare.

La campagna elettorale, si sa, eccita gli animi come e più delle trasparenze di Belen: a causa della competizione si incrinano rapporti che sembravano consolidati, sfioriscono le amicizie, si accendono autentiche faide. Nessuno sembra far caso alla transitorietà del periodo: che avrà termine il 31 di maggio, un lasso di tempo troppo breve per potergli assegnare un significato tanto importante. Pochi sembrano rendersi conto che, allo stringere, l'agone è per pochissimi protagonisti: per coloro, appena 16, che riusciranno a sedere sugli scranni consiliari; ancor meno saranno quelli che potranno fregiarsi dell'incarico di assessore.

Così inquadrata, la vicenda elettorale può recuperare le opportune dimensioni e forse anche la necessaria continenza. Tutti gli altri, i forse 300 e passa candidati che resteranno comparse, possono capire che non è il caso di sgolarsi per giorni tampinando ossessivamente l'elettore il quale, a differenza di ciò che si propagandava nei berlusconiani corsi di Publitalia, è assai più acuto e smaliziato di un bambino di quinta elementare e quindi sa già da mesi a chi destinerà il proprio voto. Già che stanno, sarebbe utile che capiscano che, per la medesima ragione, non è il caso di inventarsi una estemporanea verginità pubblica se il talamo è già stato lungamente profanato. Per i candidati valga anche il principio della proporzionalità dei mezzi: per essere eletti al consiglio comunale non è decoroso spendere più dei 50 euro necessari per la stampa della misurata dose di tagliandini. Ogni altro strumento di marketing, dal videoclip presidenziale all'inaugurazione in pompa magna di un comitato elettorale (!), diventa una maniera istantanea per autodenunciare il gap tra ambizioni e limiti.

Neppure in caso di estrema difficoltà sarà il caso di turlupinare l'elettore, ad esempio convocandolo per firmare l'adesione ad una associazione compassionevole e contestualmente chiedendogli una firma per presentare la propria lista elettorale: è successo anche questo ed è disgustoso. Se si ricopre un ruolo preminente non bisogna approfittarne e utilizzare l'autorità assegnata da quel ruolo per convincere l'elettore a votare o a non votare qualcuno, che ciò accada con le buone o con le cattive. Questo comportamento, oltre ad essere moralmente disdicevole, rischia di configurarsi come reato. Tanto che un pezzo sui (cattivi) costumi della campagna elettorale potrebbe cedere il passo ad un articolo di cronaca giudiziaria.

Giuseppe Florio

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