“Politica ieri ed oggi: essere “polites” (di Silvano Capuzzo)

Il termine politica ha la sua radice nel greco “polis” (comunità) che, nella sua accezione più profonda,

era sì una entità sociale, economica ed anche religiosa, ma rappresentava soprattutto un insieme di valori etici e morali.

Il “polites”, cioè il cittadino della polis, portatore in pieno dei suoi diritti e dei suoi doveri, indipendentemente dalla storia della sua famiglia e dal suo stato economico/sociale, con la piena e riconosciuta facoltà di essere un attore importante e considerato per partecipare alla definizione delle decisioni di interesse comune, era coinvolto, e soprattutto si proponeva attraverso la partecipazione e la libertà di espressione in luoghi comuni di confronto, alla definizione di decisioni ritenute le migliori per la comunità.

Il polites sentiva l’obbligo ed il dovere etico/morale di voler essere coinvolto nella gestione della vita pubblica della sua polis partecipando in prima persona, con momenti duri, sofferti ed anche dolorosi, in quanto riteneva necessario il proprio contributo, nel confronto, a conseguire quello che era il “vivere bene” proprio e della sua comunità.

Questo per impedire che si creasse un conflitto tra società ed individuo causato tra chi era in una posizione, anche riconosciuta, di “potere” (pro tempore) e chi in qualche modo, anche avendo liberamente delegato, ne risultava condizionato.

Questo per consentire che gli interessi dell’individuo coincidessero in ogni momento con quelli della comunità, partecipando in questo modo alla costruzione del “bene comune”.

La rottura di questi concetti consentì da un lato lo sviluppo di “monarchie” e dall’altro di “oligarchie” sino alla creazione di condizioni di indifferenza (adiaforia) e di non partecipazione e di qualunquismo (omologazione) degli altri componenti la comunità.

Un’uscita dalla vita della “polis” ritirandosi nel particolare o trasferendo in altri valori (ed anche disvalori) il ripiegamento su se stessi, scegliendo l’assenza dalla vita sociale (“suicidio politico”) e trovando compensazioni in altre forme (epicureismo, stoicismo, etc.), ove l’elemento fondamentale diventava il ruolo di “suddito” pur nella condizione di insofferenza della realtà.

Un ricordo del passato che ritengo consenta oggi, ove la crisi della politica sta probabilmente toccando uno dei momenti più acuti, di proporre riflessioni a tutti i cittadini delle “polis”, ed in particolare a chi ha condiviso il pensiero ed il comportamento del “polites” greco per lunghi momenti della sua storia di comunità, per valutare se non sia il momento di essere presente, con quei valori e quell’impegno, e tornare a far rivivere quei luoghi di incontro e quelle forme di partecipazione ed espressione.

Le nuove monarchie ed oligarchie sono già operative e credo che l’adiaforia e l’omologazione siano le strade più pericolose per il domani.

Silvano Capuzzo

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