Per la sanità è sempre austerity anche col governo giallo-rosso e cattive prospettive per il sud

Con l’approvazione da parte del governo lo scorso 16 ottobre del ddl del Bilancio 2020

e del collegato decreto fiscale nonché con la loro trasmissione alla Commissione europea, si consolida e conferma la politica sanitaria del governo Conte e del suo ministro alla Sanità Speranza.

Era già stata anticipata con il NADEF, la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza firmata dai ministri Conte e Gualtieri lo scorso 30 settembre, con l’accordo in Conferenza Stato Regioni (e Provincie Autonome) lo scorso 10 ottobre con cui il governo aveva già acquisito il consenso delle regioni, e nella Proposta di Piano della Salute 2019 – 2021, nonché, relativamente ai super ticket da una intensa campagna stampa che ha visto uniti in prima fila il ministro Speranza, il presidente Bonaccini e da ultimo il capodelegazione M5S Di Maio.

E’  ” continuista”, inadeguata ed inaccettabile.

Vediamo perché.

Nadef,  Conferenza Stato Regioni, Il Patto per la Salute 2019 – 2021: il sottofinanziamento.

Con un trionfalismo demagogico e pacchiano: “Siamo di fronte ad una giornata molto importante per la sanità italiana perché l’insieme delle misure contenute in questo accordo - unitamente a quelle decise oggi, sempre in Conferenza Stato-Regioni, sul payback farmaceutico - assicura una quantità di risorse come da tempo non accadeva, fondi che saranno a disposizione per investimenti e servizi ai cittadini” con queste parole Bonaccini nella sua qualità  di presidente della Conferenza delle Regioni ha commentato l’altro giorno l’accordo Governo - Conferenza delle Regioni.

Per la Sanità tale accordo conferma per il 2020 la assegnazione 116,434 miliardi di euro al Fondo Sanitario Nazionale per la spesa sanitaria pubblica corrente, prevista dal NADEF.

Niente di più.

Esattamente le stesse risorse già previste con la finanziaria 2019 dal precedente governo Conte-M5S-Lega.

A fronte di queste decisioni e di tanto trionfalismo, però, il NADEF  firmato solo pochi giorni prima, prevede per il 2020 una spesa sanitaria pubblica di 120,596 miliardi di euro!!

Le uscite previste sono superiori, e non di poco, allo stanziamento previsto.

C’è da vantarsene come fa Bonaccini?

E’ così che si finanzia, tra l’altro, l’assunzione di quegli oltre 8.000 medici e 12.000 infermieri che mancano rispetto al 2013, come attestato dall’Annuario Statistico Nazionale indispensabili per ridurre le liste di attesa nel pubblico e migliorare la qualità del lavoro professionale e dell’assistenza e peraltro insufficienti a fronte del prossimo esodo pensionistico ed all’esigenza di adeguare gli organici pubblici anche con tutte le altre figure professionali indispensabili per una moderna assistenza sanitaria basata necessariamente sull’interprofessionalità oltre che sulla interdisciplinarietà?

Tale sotto finanziamento rimane gravissimo e paralizzante anche se si aggiungono 1,65 miliardi di euro dovuti, e già versati nelle casse dello stato, dalle aziende farmaceutiche per il ripiano dello sfondamento della spesa farmaceutica per gli anni 2013-2017.

E anche se saranno confermati i circa 200 milioni già stanziati dalla finanziaria 2019 del governo M5S-Lega per finalità varie, dai sistemi informatizzati di gestione delle liste di attesa (si badi bene non per la loro eliminazione!) al finanziamento della formazione dei medici specialisti gravemente carenti, e comunque tutte ampiamente sotto-finanziate rispetto alle necessità.

Anche sul versante degli stanziamenti in conto capitale i conti non tornano.

I 2 miliardi di incremento del conto capitale, aggiuntivi ai 23 già stanziati in precedenza, annunciati per l’edilizia sanitaria e l’aggiornamento tecnologico dal Nadef e dal Patto per la Salute 2019 – 2021 sono quelli previsti dal precedente governo Conte-M5S-Lega e sono insufficienti ai fronte dei 32 miliardi di euro che lo stesso ministero della Salute di concerto con le Regioni, ha evidenziato come fabbisogno complessivo per interventi sul patrimonio edilizio da realizzare sull’intero territorio nazionale.

E tale stima del fabbisogno non tiene certamente conto degli investimenti (anche) edilizi necessari in tutta Italia per realizzare il potenziamento e l’adeguamento dei servizi distrettuali e di medicina di base sul “territorio”, più noti come Case della Salute.

Ma il continuismo, in politica sanitaria con il governo M5S/Lega, e, a dir la verità, con tutti i governi che si sono succeduti in Italia da dieci anni a questa parte, non si ferma qui.

Si estende anche alla politica di privatizzazione della erogazione e del finanziamento delle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione con l’incremento delle convenzioni con gli imprenditori della sanità privata e l’apertura alle assicurazioni private, soprattutto con il “welfare aziendale” e con il “welfare fiscale”, cioè con il mantenimento delle agevolazioni fiscali sino al 19% per chi acquista privatamente prestazioni sanitarie.

Il veicolo normativo di tale continuità politica è il nuovo Piano della Salute 2019 – 2020, il piano con il quale si coordinano le politiche sanitarie nazionali con quelle di tutte le regioni.

Il governo Conte, Di Maio, Zingaretti/Franceschini, Speranza/Bersani e Fratoianni si impegna ad approvarlo entro il 31 dicembre prossimo, cioè contestualmente alla prossima legge di bilancio.

Tra le proposte del governo accettate dalla Conferenza delle Regioni, a presidenza Bonaccini, per il Piano per la Salute 2019 – 2021 c’è anche quella definita dalla scheda n. 9 intitolata “Funzione complementare e riordino dei fondi sanitari integrativi” e che prevede: <<Si conviene di istituire un gruppo di lavoro per l’ammodernamento della normativa dei fondi sanitari integrativi in chiave complementare e sistemica con il servizio sanitario nazionale.>>

Si tratta della piena accettazione dell’obbiettivo di politica sanitaria delle assicurazioni private (Generali, Unipol SAI, RBM Salute): inserirsi in funzione integrativa, complementare e sistemica tra i cittadini ed i lavoratori in particolare con il welfare aziendale nelle crepe di servizio, le liste di attesa per ricoveri e specialistica ambulatoriale e prevenzione,  cui è costretta la sanità pubblica definanziata anche nel 2020 e anni a seguire!

Ma c’è un cinismo ulteriore e peggiore.

Le regioni propongono di integrare la scheda n. 4 “Mobilità e reti regionali” con quanto segue: “Si condivide altresì la necessità di adottare misure di flessibilità (cioè eliminazione di fatto, ndr) dei tetti degli acquisti da privato per assicurare, quando necessario, l’accesso alle cure in mobilità extraregionale.”

La mobilità extraregionale è quella dal Sud verso il Centro Nord, Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna, in principale misura, ma non solo.

La mobilità extraregionale negli anni si è andata configurando come un business delle regioni del Centro Nord per ottenere finanziamenti aggiuntivi ed ottimizzare i costi del sistema ospedaliero pubblico sotto-finanziato dal Fondo Sanitario Nazionale centrale sfruttando la vergognosa, incapace e segnata da gravissimi scandali, politica sanitaria dei governi delle regioni del Sud, (non solo loro peraltro, Formigoni docet!).

Ma a tale “business” partecipano anche, ed in misura non trascurabile, gli imprenditori della sanità privata che pertanto rivendicano la rimozione dei tetti di spesa per l’uso delle loro strutture.

Potevano non farsi carico di questa richiesta i Presidenti delle regioni del Nord e del Centro e del Sud?

Per i Presidenti di regione del Nord eletti dalla Lega di Salvini e da Berlusconi e Meloni non ci sono dubbi: prima gli (imprenditori privati) italiani (meglio se delle loro regioni), mai i lavoratori ed i meno abbienti anche delle loro regioni, non solo del Sud.

Ma vale lo stesso per i Presidenti, Bonaccini e Zingaretti in testa, delle regioni del Centro e del Sud e per i partiti di sinistra che partecipano al governo Conte ed a quello delle regioni amministrate dal centro sinistra?

No, non dovrebbe valere.

Altro che regionalismo differenziato in sanità proposto da Bonaccini e condiviso e sostenuto dai presidenti leghisti  Fontana (Lombardia) e Zaia (Veneto)!

Il super Ticket

Da ultimo, ma non meno importante in fatto di cinismo: la abolizione del superticket.

L’abolizione dei ticket, tutti non solo del super ticket, è certamente necessaria.

La abolizione dei soli superticket è, invece misura insufficiente e mistificatoria se presentata come la prima e più efficace per facilitare l’accesso alla assistenza sanitaria pubblica e la tutela del reddito dei lavoratori e delle fasce di popolazione più deboli.

Tutti i ticket, non solo i super, sono, e lo hanno dimostrato i fatti, un odioso prelievo.

Proprio quando si è malati e più deboli, sui propri redditi si subisce un prelievo ad ogni accesso alle cure aggiuntivo alle tasse con cui tutti, tranne chi le elude e le evade, già finanziano il servizio sanitario nazionale.

Tutti i ticket, non solo i super, si sono anche manifestati inefficaci contro il consumismo sanitario, che era l’obbiettivo per cui vennero introdotti, e che è  continuamente alimentato da campagne pubblicitarie dalle assicurazioni private pur di vendere polizze e non è sufficientemente contrastato dai servizi pubblici di prevenzione per mancanza di finanziamenti (cfr. ad esempio le campagne di screening salvavita per i tumori di mammella e colon non sufficientemente diffusi in tutte le regioni e le campagne per i corretti stili di vita come la lotta al tabagismo, all’alcolismo o alla alimentazione ipercalorica).

E’ francamente  mistificatorio definire il superticket, e solo il superticket, giocando con le parole, i fatti ed i bisogni dei cittadini, “un balzello ingiusto di 10 euro sulle visite specialistiche che aumenta discriminazioni e diseguaglianze e nega a tanti l’accesso alle cure” come continua a presentarlo testardamente (o no?) il ministro della Salute Speranza.

Che appare sordo e cieco ad insistere a presentarlo come risposta ad una esigenza popolare in questo contesto, di fronte a due dati di fatto:

- il super ticket grava sui redditi medio alti e non su quelli infimi e bassi, sotto i 36.000 euro su base  familiare e neppure, per fortuna, sui pazienti cronici.

Tutti costoro non sanno cosa farsene della eliminazione di un balzello che non pagano (tranne che in Lombardia dove l’affarismo amorale e privatizzatore della sanità pubblica prima di Formigoni ed oggi della Lega lo applica in aggiunta ai ticket ordinari per i pazienti cronici!!) ed hanno invece bisogno, come tutti i cittadini, compresi quelli con reddito medio ed alto che lo pagano, di servizi pubblici funzionanti e adeguatamente finanziati, per esempio per eliminare le liste di attesa;

- la eliminazione del super ticket costituirà riduzione per quasi 500 mln di euro delle entrate proprie, cioè aggiuntive al finanziamento del fondo sanitario nazionale, non per tutte ma solo per alcune, più numerose, regioni.

Alcune (poche) regioni, infatti, pudicamente, non lo hanno mai adottato.

In tutte le altre il ticket ed il superticket sono regolati da una giungla di disposizioni differenti che attesta, nei fatti, il fallimento del regionalismo differenziato nell’assicurare diritti sanitari e sociali uniformi su tutto il territorio nazionale.

Non sarebbe più equo finanziare l’eliminazione di tutti i ticket con la eliminazione delle detrazioni fiscali del 19% che oggi facilitano la vendita delle polizze assicurative tramite il welfare contrattuale e/o l’acquisto diretto di prestazioni sanitarie già previste nei Livelli Essenziali di Assistenza e quindi da assicurarsi da parte dei Servizio Sanitario Nazionale e dalle sue articolazioni regionali?

Ci fanno o ci sono?

In qualsiasi caso è inaccettabile ed è inaccettabile che tutto ciò abbia la “bollinatura” anche della sinistra.

Anche in occasione delle prossime elezioni regionali.

Modena, 17 ottobre 2019

*Gianluigi Trianni

Medico Sanità Pubblica  (1.2.3)

**Aldo Gazzetti

Esperto di economista Sanitaria (3)

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