Perrino: oncologia, un reparto all'avanguardia (Giuseppe Florio)

Qualcuno trova macabro o perlomeno di pessimo auspicio che sia allocato a ridosso della camera mortuaria.

Eppure il reparto di oncologia del Perrino non è necessariamente l'anticamera della fine e neppure vi somiglia. Le zone franche, quando si parla di rischio o di statistiche di mortalità, non esistono negli ospedali; men che meno in quelle trincee dove il nemico ha la truce fisionomia del cancro. Di controbalzo, però, l'oncologia del capoluogo ha assunto fattezze moderne, efficienti, ed anche inusitatamente confortevoli: «americane», si potrebbe dire, almeno assecondando quei clichè che attribuiscono il favore di standard ottimali alla sanità di oltreoceano.

Visitare l'Unità Operativa Complessa di Oncologia & Breast Unit restituisce l'idea, se non proprio dello zio Sam, almeno della precisione svizzera. All'interno del complesso del Perrino, la struttura si dispiega in un'intera ala: al piano terra gli ambulatori del day hospital di oncologia ed ematologia, al secondo le degenze di ematologia, al sesto le degenze di oncologia e l'area deputata alla ricerca clinica. Spazio che, considerata la crescente domanda di cura, non è ancora sufficiente, se è vero come è vero che la direzione ha in programma di allestire nel breve periodo un intervento di ristrutturazione per creare 10 nuovi posti letto per il day hospital oncologico recuperandoli dagli ambienti attigui assegnati ad altro. La squadra oncologica è larga ed agguerrita: dieci dirigenti medici, due medici specialisti incaricati, un medico specialista territoriale, due medici coordinatori degli studi clinici, due borsisti, un farmacista, due caposala, una psiconcologa, una pattuglia di infermieri. E poi Saverio Cinieri, direttore dal pregiato cursus honorum, architetto di questa sorta di riqualificazione in chiave postmoderna dell'oncologia in terra di Brindisi, autentico mentore di una nuova mentalità la cui ispirazione di fondo suggerisce che di cancro non si muore per forza, che per il cancro non si deve soffrire ad ogni costo, che si può trovare il pane giusto per i suoi temibili denti.

I dettagli dell'ambiente, assemblati come per un puzzle, già raccontano una storia di buona sanità, in controtendenza tanto rispetto al più eccitante filone del giornalismo contemporaneo, quanto al mantra a cui gli abitanti del brindisino sembrano affezionarsi ogni giorno di più: «Se posso scegliere, evito il Perrino». Le stanze adibite alla degenza non sono contraddistinte da numeri, ma da colori pastello e sono sempre smaccatamente linde; la sala d'attesa gode di una piccola ma nutrita libreria da cui ci si può approvigionare per distogliere la testa dai cattivi pensieri; infermieri ed oss si rivolgono ai pazienti con bonomia, rispondono cordialmente, dissimulano l'affanno nei momenti critici; i medici manifestano un sacro rispetto delle condizioni degli ammalati, coltivano il garbo nella comunicazione delle diagnosi e delle prognosi anche meno fauste. Cinieri è – absit iniuria – come un ragno al centro della tela che ha negli anni pazientemente intessuto: un reticolo fitto ma logico in cui la fanno da padrone l'assillo per la formazione (e quindi l'aggiornamento) e per la capillarità della comunicazione interna (ogni suo collaboratore deve essere al corrente al minuto secondo delle condizioni cliniche dei ricoverati, e giù riunioni e confronti anche tosti).

Il Perrino, nonostante il vistoso sottodimensionamento dell'organico medico e paramedico, nonostante il frequente infernale caos del Pronto Soccorso, nonostante gli ascensori siano perennemente «out of order», nonostante le troppe disfunzioni che affliggono pazienti e famiglie, è anche l'oncologia di Cinieri. Così come forse l'attuale sanità brindisina è anche il nuovo corso del direttore generale Giuseppe Pasqualone, meno soverchiato dall'ossessione ragionieristica del suo predecessore, maggiormente intenzionato a far quadrare l'efficienza prima che i numeri: la strada è ancora lunga ma il viatico sembra quello giusto.

Giuseppe Florio

 

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