“Il perdono degli indegni” (di Carmelo Molfetta)
Gli storici hanno annotato che l’Italia fu il primo paese dell’Europa occidentale che promulgò, secondo alcuni frettolosamente, un decreto di amnistia.
Circa dieci mila fascisti e loro sodali, beneficiarono dell’esonero dei processi per cui erano stati arrestati e tanti furono liberati. (L’amnistia Togliatti, Franzinelli).
Personaggi come Dino Grandi, Renato Ricci, Luigi Federzoni, Julio Valerio Borghese, fedelissimi di Mussolini, godettero del beneficio dell’amnistia Togliatti.
Grazie anche alla genericità della previsione normativa, quattro pericolosissimi componenti della banda Koch che avevano messo a soqquadro Roma, furono scarcerati.
Il decreto presidenziale n. 4 del 22/6/1946, a tutti noto come “Amnistia Togliatti”, era accompagnato da una corposa relazione.
L’incipit racchiudeva gli intenti dichiarati della motivazione posta a base del provvedimento: “La Repubblica celebra il suo avvento emanando tra i suoi primi atti un provvedimento generale di clemenza”.
Quelli non dichiarati, ma smaccatamente scoperti, riguardavano, invece, la volontà di Togliatti di volersi accreditare di fronte al mondo occidentale, di essere a capo di un partito democratico, popolare e moderato. Gli stretti legami, anche personali, con la Russia, incutevano profondo timore, tanto che, nonostante tutti gli sforzi, al terzo governo De Gasperi il PCI venne estromesso dal governo dando inizio alla conventio ad escludendum che è durata quaranta anni nonostante l’alta percentuale di rappresentanza popolare di cui il PCI era titolare.
L’operazione, cosiddetta, di clemenza venne criticata anche da voci riconosciute di altissimo sentimento democratico. Fu Calamandrei che, nel contestare il contenuto e lo scopo dell’amnistia, dichiarò che “era venuto meno lo stabile riconoscimento della nuova legalità uscita dalla rivoluzione”. (Il Ponte 1947 – Restaurazione clandestina)
Secondo Calamandrei, dunque, la Lotta di Liberazione rappresentò una vera e propria rivoluzione e, in quanto tale, “il nuovo stato” nasceva <<ab ovo>> con nuovi principi di legalità non riconosciuti.
Sicché le azioni compiute dai partigiani vennero giudicate applicando il sistema normativo preesistente, e qualificate di volta in volta, secondo i canoni interpretativi del vecchio ordinamento, rapine, estorsioni, omicidi ecc.
Benché vittoriosa, dunque, l’azione rivoluzionaria posta in essere dai partigiani, e benché in parte ritenute motivate da “eccezionale situazione”, rimase catalogata tra le condotte illecite per così come qualificate dal preesistente ordinamento giuridico.
In termini più espliciti gli storici, concordano tutti nel ritenere che il passaggio dal regime fascista a quello democratico non provocò il rinnovamento che ci si aspettava. (Pavone La continuità dello Stato).
Emblematica la vicenda dell’Ordinamento Giudiziario varato dal Guardasigilli Dino Grandi il 30 gennaio 1941, che sopravvisse alla caduta del regime fascista e secondo cui il presidente della Corte di Cassazione era “il Capo della Magistratura”.
Altrettanto emblematica e famosa, riportata da tutti i manuali di scienze politiche, la vicenda personale di Gaetano Azzariti. Alto magistrato dalla carriera inarrivabile che da Presidente del Tribunale della razza (1938) durante il fascismo, dopo l’8 settembre ritorna in auge come consigliere giuridico di Togliatti e di De Gasperi per poi approdare addirittura alla Corte Costituzionale. A suo onore va detto che fu relatore alla sentenza n. 1 / 1956 della Corte Costituzionale che stabilì il principio di diritto secondo il quale “L'assunto che il nuovo istituto della "illegittimità costituzionale" si riferisca solo alle leggi posteriori alla Costituzione e non anche a quelle anteriori non può essere accolto, sia perché, dal lato testuale, tanto l'art. 134 della Costituzione quanto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, parlano di questioni di legittimità costituzionale delle leggi, senza fare alcuna distinzione, sia perché, dal lato logico, é innegabile che il rapporto tra leggi ordinarie e leggi costituzionali e il grado che ad esse rispettivamente spetta nella gerarchia delle fonti non mutano affatto, siano le leggi ordinarie anteriori, siano posteriori a quelle costituzionali. Tanto nell'uno quanto nell'altro caso la legge costituzionale, per la sua intrinseca natura nel sistema di Costituzione rigida, deve prevalere sulla legge ordinaria.”
Ma il vero tradimento nei confronti della lotta di liberazione partigiana si registrò attraverso la cosiddetta “depoliticizzazione delle azioni partigiane”.
Quel famoso atto di clemenza generale ebbe per oggetto i delitti politici a prescindere dalla finalità antifascista.
Secondo Galante Garrone (Guerra di Liberazione dalle galere) quell’atto di clemenza in realtà costituì un atto di “perdono agli indegni” per cui “alcuni gravissimi reati esclusi dall’amnistia se commessi da delinquenti comuni, trovano invece ampio perdono se commessi da criminali fascisti in occasione della loro attività di collaborazione”.
Il motivo per il quale in Italia non si celebrò mai un processo di Norimberga contro i criminali fascisti va ricercato dunque, non tanto nella puerile giustificazione che voleva l’Italia essere paese annoverato tra quelli vincitori del conflitto, ma soprattutto nel fatto che venne disconosciuto il valore fondante della lotta partigiana avuta nei confronti del nuovo stato.
I “tempi nuovi” che oggi viviamo, impongono una rigorosa rilettura del valore fondativo della lotta partigiana.
E’ questa oggi la Nuova Resistenza.
Prima della Resistenza c’era il fascismo; dopo la lotta di liberazione venne la democrazia.
Ancora fragile in verità e mai data definitivamente per acquisita.
Mesagne 24 aprile 2019
Carmelo Molfetta