Solvitur ambulando (di Carmelo Molfetta)

Nel mentre corro respirando la brezza marina e gli intensi profumi della macchia mediterranea, incoraggiato dalla app del cellulare che mi sprona dicendo “insisti puoi farcéla”, penso, solvitur ambulando,

a quel fortunato bambino che sorvolando i cieli degli Stati Uniti d’America decide di venire al mondo.

Quel bambino nato in un aereo mentre trasvola i cieli americani nasce AMERICANO qualunque sia la nazionalità dei suoi genitori.

Lo stesso capita a quel bimbo che decidesse di nascere in viaggio su una nave, di qualunque nazionalità, nel mentre solca i mari dentro i dodici miglia di acque territoriali americani.

Anche quel bimbo è un AMERICANO.

L’orgoglio di ogni americano di essere un AMERICANO supera ogni pregiudizio ed ogni calcolo elettoralistico ed conomico, tanto che anche il bimbo figlio di genitori clandestini nato in America, è cittadino americano.

Questo per dire a chi, in Italia, pretende di dare lezioni sul concetto di patria.

“La cittadinanza è uno di quei diritti chiamati dai legisti col nome di universali”. (Romagnosi Istituzioni di civile filosofia).

Quanti oggi sostengano il contrario devono necessariamente confrontarsi con il principio di diritto universale che vuole che la cittadinanza rappresenti lo status politico per antonomasia.

Attraverso la cittadinanza si costruisce la “comunità politica” ed i soggetti che ne fanno parte partecipano di diritto alla realizzazione dello scopo sociale civile ed economico dello Stato di appartenenza.

La Carta Costituzionale Italiana non dà una definizione di cittadinanza; piuttosto indica una serie di diritti (di uguaglianza, al lavoro, di circolazione, di riunione, di associazione, di elettorato, di accesso agli uffici ed alle cariche elettive, di elettorato, di promuove referendum) nonché del dovere di difendere la Patria e quello di fedeltà alla Repubblica, cui i cittadini sono tenuti.

Tuttavia la Corte Costituzionale (sent. N. 120/1967) ha sancito che “se è vero che l’art. 3  si riferisce espressamente ai soli cittadini, è anche certo che il principio di uguaglianza vale pure per lo straniero quando trattasi di rispettare i diritti fondamentali”.

Se è dunque vero che la “cittadinanza” appartiene alla categoria dei diritti definiti addirittura “universali”, e ciò già sin dall’800, la negazione dello jus soli, cioè il mancato riconoscimento della cittadinanza italiana ai bimbi nati in Italia figli di immigrati, appare davvero non solo antistorica ma addirittura lesiva di diritti universali.

Non ignoro che in Italia il suffragio universale, e dunque il diritto elettorale attivo e passivo, uno di quei diritti costitutivi della cittadinanza, perché possa arrivare ad essere pienamente riconosciuto ad uomini e donne ha dovuto superare non pochi sbarramenti: quello maschile viene introdotto nel 1912, mentre bisognerà attendere il 1946, in occasione della lezione della Assemblea Costituente, quando si avrà l’allargamento ad uomini e donne. E addirittura solo nel 2003 si avrà la riforma dell’art. 51 della Costituzione in virtù della quale “ La Repubblica promuove, con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Tuttavia credo che sia maturato il tempo, superata ogni resistenza, di riconoscere il diritto di cittadinanza per jus soli ai bimbi nati in Italia da genitori immigrati.

E ciò senza alcun calcolo di qualsivoglia natura ma solo perché “il diritto di cittadinanza” è un diritto universale.

Mesagne 27 agosto 2017

Carmelo Molfetta  

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