In Nome del Popolo Italiano (di Carmelo Molfetta).

“ In nome del Popolo Italiano visti gli articoli..” con questa formula sacramentale, se ritenete sacrale, decine di Giudici ogni giorno in tutti i Tribunale d’Italia emettono le loro sentenze ed applicano la Legge: quella che dovrebbe essere uguale per tutti.

 

Il Popolo ha preso il posto del Re in nome del quale, prima venivano lette le sentenze.

Oggi il Popolo è il nuovo sovrano; così recita l’art. 1 della Costituzione: la sovranità appartiene al Popolo.

Un altro enorme cambiamento riguarda proprio i Giudici. Oggi sono soggetti solo alla legge, ci fu un tempo durante il quale rispondevano sempre alla legge ma del regime fascista di cui spesso ne erano lo strumento coercitivo.

La differenza, dunque, non la fanno i giudici, ma il contesto politico in cui essi operano.

In un regime totalitario, dove non solo la sovranità popolare è misconosciuta, ma anche negata, le leggi sono emanate contro il popolo e con la finalità di sottometterlo.

In un sistema democratico dove vige il principio della sovranità popolare le leggi costituiscono, per rappresentazione, la stessa volontà popolare.

Ecco spiegato il motivo per il quale i nostri giudici quando emettono le sentenze lo fanno “In nome del Popolo Italiano”.    

Sempre le sentenze, emesse in uno stato democratico, quando hanno superato il vaglio del sistema di verifica, alla fine del loro percorso, sono legittime perché concludono un percorso previsto dalla legge.

Accade, tuttavia, che certe sentenze, benché legittime, risultino ingiuste agli occhi del popolo.

Detto, però, che al popolo non è consentito giudicare, nel senso strettamente tecnico, perché quella funzione è riservata per dettato costituzionale ai giudici, al popolo è consentito criticare una sentenza?

Quella giurisdizionale è una funzione statuale, cioè propria dello Stato, e dunque questo è un caso in cui si verifica, ovvero può verificarsi, una contrapposizione tra Popolo e Stato.

Anche quella legislativa è una funzione tipicamente statuale: la più diretta tra popolo e rappresentanti del popolo. Ma anche questa funzione spesso è contestata.

Non sempre cioè, le leggi, pur emanate secondo un procedimento costituzionalmente legittimo, sono gradite al popolo.

La produzione legislativa in tema dei diritti civili è quella in cui maggiormente e spesso si manifesta il contrasto tra volontà popolare e Stato.

Sempre, comunque, uno Stato democratico deve garantire la tutela dei diritti del popolo.

Si discute anche se al popolo debba essere garantita la sicurezza dei diritti oppure il diritto alla sicurezza: l’inasprimento delle pene non assolve a nessuno dei due desiderata in assenza del necessario accertamento della responsabilità.

Comunque a questo servono i Tribunali e le Corti: a garantire un giusto equilibrio tra l’esercizio dei poteri e la tutela dei diritti.

E’ questo il terreno maggiormente scivoloso: evitare cioè che accada che il diritto, anche ove accertato, risulti ingiusto.

In questi casi il diritto di critica non può essere né limitato e men che meno negato.

Si tratta di due diverse categorie di giudizio: è ovvio!

Il tema non è nuovo ed è stato affrontato anche ai massimi livelli. Famosa la presa di posizione di Togliatti contro la istituzione della Corte Costituzionale. Egli durante i lavori della Assemblea Costituente affermò che sulla costituzionalità delle leggi non avrebbe potuto deliberare diversa istituzione da quella del Parlamento, non potendosi consentire che potesse esserci altro controllo che quello esercitato dai rappresentanti del popolo.  

Tesi estrema e giustamente non accolta perché gli Stati moderni hanno abbracciato il principio della divisione e dell’equilibrio tra i poteri dello Stato.

Ma se una sentenza, che pure è letta in nome del popolo italiano, non è accolta dal popolo come giusta, può dirsi che sia stato affermato il diritto?              

Ovvero se il diritto non è giusto che diritto è.

Carmelo Molfetta

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