Il saluto romano (di Carmelo Molfetta)

“l’esibizionismo razzista” (art. 2  legge Mancino)

il “delitto di manifestazioni fasciste” (art. 5 legge Scelba)

 

In un comune lombardo è in corso una riunione pubblica in seduta congiunta della Commissione su sicurezza e coesione sociale, polizia locale, protezione civile e volontariato, politiche sociali e servizi per la salute.

Si discute “il PIANO ROM”, argomento che si era reso necessario approfondire in seguito ad una particolare situazione di tensione venutasi a creare in occasione “di attività di sgombero di un insediamento ROM”.

Durante la discussione interveniva una consigliere comunale, la quale, esibendo un volantino che invitava a partecipare alla manifestazione cittadina contestando il piano Rom predisposto dal comune, rivolta al presidente della commissione chiede se nell’aula consiliare fossero presenti anche alcuni degli organizzatori della manifestazione organizzata contro il comune.

Si trattava, in verità, di una domanda dal palese contenuto retorico, poiché era anche noto che era stato proprio il presidente della commissione ad invitare l’organizzatore della manifestazione.

A questo punto l’interessato rispondeva ad alta voce “presenti e ne siamo fieri” effettuando contestualmente “il saluto fascista”.

Una giornalista presente non mancava di riprendere la scena con il proprio telefonino.

Il gesto, palesemente improvvido e provocatorio, veniva stigmatizzato anche da un assessore presente di talché, ne nasceva una baruffa verbale tra i presenti che appellavano l’autore del gesto come “fascista” il quale rispondeva definendo i suoi detrattori come “comunisti”.

La discussione tornava nella normalità solo dopo che il presidente della riunione espelleva dall’aula l’organizzatore invitato ed un suo accompagnatore.

La vicenda finirà inevitabilmente in sede giudiziaria e l’autore del gesto sarà condannato in primo e secondo grado.

Se ne occuperà anche la Cassazione su ricorso promosso, ovviamente, dall’imputato.

La Suprema Corte dichiarerà inammissibili alcuni motivi di ricorso, mentre ne dichiarerà altri infondati rigettandol, confermando così la condanna che i giudici di merito avevano impartito all’imputato.

Determinante ai fini della conferma della condanna, sarebbe risultata la correlazione, provata nel corso del giudizio, tra “il saluto fascista alle parole che lo accompagnavano <<presenti e ne siamo fieri>> collegando così la condotta dell’imputato ad una precisa volontà tesa a rivendicare orgogliosamente il suo credo fascista”.

Benché vivamente contestata dall’imputato, la Corte ribadiva la correttezza argomentativa del giudizio espresso dalla Corte di Appello con la sentenza gravata dal ricorso, la quale Corte deduceva che “ il saluto fascista o saluto romano, costituisce una manifestazione gestuale che rimanda all’ideologia fascista e ai valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza sanzionati dall’art. 2 comma 1 legge Mancino del 1993, evidenziando che la fattispecie contestata all’imputato non richiede che le manifestazioni siano caratterizzate da elementi di violenza, svolgendo una funzione di tutela preventiva, che è quella propria dei reati di pericolo astratto.”

La circostanza secondo cui quella manifestazione esteriore si fosse concretizzata nel corso di una riunione pubblica che già produceva di per sé una notevole risonanza, unitamente alla delicatezza dell’argomento in discussione, il cd Piano Rom, confermava il principio di diritto secondo il quale “ il cosiddetto saluto romano o saluto fascista è una manifestazione esteriore propria o usuale di organizzazioni o gruppi inequivocabilmente diretti a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico.”

All’imputato veniva contestato, correttamente il reato di cui all’art. 2 Legge Mancino, il cui bene giuridico tutelato è “l’ordine pubblico in senso materiale” e non l’art. 5 Legge Scelba, il cui bene giuridico tutelato è “la sicurezza dell’ordinamento costituzionale”.

Nel primo caso perché si possa concretizzare la configurabilità del reato non occorre che vi sia alcun nesso con la ricostituzione del partito fascista.

Nel secondo, proprio in virtù del bene giuridico tutelato costituito dalla sicurezza dell’ordinamento costituzionale, la condotta dovrà mettere in pericolo –concreto- tale bene prospettandosi la fattispecie della ricostituzione del partito fascista.

La Cassazione dunque, confermava la sentenza di condanna ribadendo i principi costituzionali fondanti della Repubblica Italiana.     

Per gli approfondimenti Cass. Pen. Sez. I   21409/2019

25 settembre 2021

Carmelo Molfetta

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