La nascita dello stato di polizia. L’inizio della tragedia.

Il suo acronimo era M.V.S.N. e cioè Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

Occupato il potere, il primo, non propriamente affettuoso, pensiero operativo del fascismo fu rivolto verso i propri avversari politici, ormai divenuti nemici politici e dunque il dissenso politico, che andava represso con ogni mezzo, divenne un problema di ordine pubblico.

Con il Regio Decreto 14 gennaio 1923 n.31, fu istituita la Milizia fascista con il dichiarato scopo di garantire l’ordine pubblico in collaborazione con la Pubblica Sicurezza e con il Regio esercito.

La Milizia doveva, necessariamente, avere fondi e poteri che gli vennero garantiti con lo stesso Regio decreto (art. 10) con il quale si conferiva al Ministero dell’interno il potere di impiegare la Milizia in servizi di carattere speciali attingendo, per il finanziamento, al proprio bilancio.

Nasceva così, la così detta “grande polizia politica”.

Naturalmente, depurata l’operazione dalla ridondante retorica fascista, “dell’alto spirito volontario” della Milizia, la “diretta dipendenza della Milizia dal  Capo del Governo ed il fatto che le autorità gerarchiche debbano agire d’accordo con il Ministero dell’Interno e con le autorità da questo dipendenti, si possono spiegare soltanto ammettendo il carattere statale della Milizia.” (per CEDAM Padova La Milizia Volontaria e le sue specialità: ordinamento giuridico. 1939 Foderaro”.

Una “grande polizia politica” di uno stato liberticida per così come si andava configurando, non poteva fare a meno dei “confidenti”.

Arruolati, con il Decreto Regio del 12 luglio 1923, fuori dalle norme ordinarie per il reclutamento delle guardie di pubblica sicurezza, a questi “agenti segreti” non veniva riconosciuta la qualità di agenti, dovendo agire sotto mentite spoglie, inoculando così nella società civile, il sospetto, la diffidenza, disseminata da migliaia di delatori perché il fascismo doveva avere il controllo totale, invasivo, persuasivo della vita degli italiani. Confidare le proprie idee politiche ad un proprio parente, o manifestare anche solo un qualche dissenso, poteva portare alle peggiori conseguenze.

La natura liberticida di questi provvedimenti fu apertamente denunciata dall’onorevole Giovanni Amendola, il quale in un suo celeberrimo discorso tenuto a Milano il 14 novembre 1924 all’Assemblea dei Comitati di opposizione dell’Alta Italia disse che: “la istituzione della Milizia è la dimostrazione in atto di un proposito criminoso di oppressione che smentisce ogni menzognera parola: il simbolo vivente che il fascismo infligge al diritto dei cittadini, la cui eguaglianza è negata nel fatto, e la cui convivenza civile è resa impossibile. Essa è la guardia carceraria della libertà italiana; essa umilia la dignità di tutto un popolo e di ciascun cittadino sotto la ferula dell’arrogante usurpatore”. (La Nuova democrazia di Giovanni Amendola Napoli Editori Ricciardi pag. 212)

Era nato lo stato di polizia.

Dopo pochi mesi da quella denuncia sarà ucciso Matteotti e lo stesso Amendola ne avrà la morte per le conseguenze di una vile aggressione subita nel luglio del 1925.  

Si andava sempre più realizzando la sovrapposizione tra fascismo e lo Stato italiano con il contestuale smantellamento dello stato liberale concretizzatosi con la emanazione delle leggi fascistissime.

Le parole del senatore Greppi, relatore al bilancio preventivo per l’esercizio finanziario 1927/1928 del Ministero dell’Interno presentata il 31 maggio 1927, un liberale milanese poi passato nelle fila del fascismo, sono davvero illuminanti: “…nella organizzazione dei servizi di polizia mancava ancora l’istituto della polizia politica; tale mancanza costituiva una lacuna gravissima per la impossibilità di seguire in modo uniforme e costante l’attività sovversiva di ogni genere e gradazione di elementi politicamente e giudizialmente pericolosi. Allo scopo pertanto di provvedere ad una più oculata vigilanza sulle attività esplicite  dai partiti sovversivi o comunque contrarie all’Ordine Nazionale, il Governo ha promosso il RDL n. 1903/1926 con il quale è stato istituito nel territorio del Regno lo speciale servizio di investigazione politica alle dirette dipendenze del ministero dell’interno e nell’ambito delle rispettive province dei Prefetti che debbono avere alle dipendenze, lo speciale ufficio provinciale di investigazione politica, cui fanno capo altrettanti uffici istituiti presso i singoli comandi di legione della milizia volontaria…con il compito di esercitare la più pronta ed efficace azione di prevenzione e di repressione in confronto di tutti gli elementi perturbatori dell’ordine e della sicurezza nazionale, di seguire in modo uniforme l’attività subdola e palese degli avversari di regime”. (Atti parlamentari Senato del Regno 31/5/27 n. 1017 A, pag.3).

Laddove per “lacuna gravissima” si intendeva il vuoto normativo finalmente colmato che doveva servire a supporto della azione persecutoria del dissenso politico; per “seguire in modo uniforme e costante” si intendeva controllare  ogni minima manifestazione di pensiero politico dissenziente e per “una più oculata vigilanza” si sarebbe inteso una azione di polizia asfissiante e repressiva che avrebbe annullato alla fonte, cioè la libertà di pensiero, ogni dissenso.

Nessuna operazione di revisionismo storico, molto in voga di recente, più o meno interessato potrà cancellare quello che il fascismo rappresentò: l’annullamento della democrazia.

Mesagne 27 dicembre ’20

Carmelo Molfetta

 

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