La spigolatrice de’ li castelli romani (di Homo videns)

“Eran 300, erano giovani e forti e sono morti”.

 

Quando si parla di Patria il pensiero non può correre che ai martiri del 1799 (tra cui il fasanese Ignazio Ciaia), al modenese Ciro Menotti, al torinese Silvio Pellico, ai napoletani Guglielmo Pepe e Carlo Pisacane. Soprattutto a quest’ultimo e ai suoi idealisti compagni che, abbandonata la vita agiata, nel 1857 anticiparono Giuseppe Garibaldi nel tentativo di sollevare i contadini meridionali contro l’oppressione borbonica; e da lì riunificare la Patria. Operazione velleitaria, benché romanticamente esaltata nella famosa poesia di Luigi Mercantini, “La spigolatrice di Sapri” (per rileggerla, clicca qui). In questa poesia è possibile cogliere tutta la retorica risorgimentale, che contribuì a formare le mentalità di milioni di giovani, i quali videro in quell’ideale il collante tra le aspirazioni collettive e quelle individuali.

Un ideale che fu cavalcato e strumentalizzato, fino al ventennio fascista, da migliaia di personaggi che la società di massa portò alla ribalta. Si racconta che Massimo D’Azeglio – famoso politico piemontese – aveva sentenziato, nel 1860: “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”. Lo presero sul serio; e ogni governo successivo costruì il patriota a modo suo. Mussolini rispolverò l’impero romano, e decise che il patriota italiano avrebbe dovuto avere un libro in una mano (con i comandamenti fascisti) e un moschetto nell’altra mano. Per un ventennio, fu quella l’identità del patriota italiano.

Dopo Pisacane, l’impresa patriottica risorgimentale era riuscita, come sappiamo, a Garibaldi; complice un abilissimo personaggio che si chiamava Camillo Benso di Cavour, il quale manovrava dietro le quinte. Insieme a Garibaldi ci furono, è vero, migliaia di altri patrioti (non solo i Mille), sia meridionali che settentrionali. Il loro obiettivo era quello di riunificare la Patria, innanzi tutto, prima di qualsiasi altro discorso. Poi si sarebbe dovuto pensare alle disuguaglianze, alle libertà economiche e civili. Era una narrazione ed una visione centrata soprattutto sull’interno della penisola, avendo un unico nemico: l’assolutismo austro-ungarico e borbonico. Fu per questo motivo che Garibaldi consegnò la Patria a Vittorio Emanuele II, esponente di un’infausta dinastia monarchica, quella dei Savoia, che la condusse allo sfacelo.

L’Italia dei Savoia, per prima cosa, impose il tallone di ferro su quella che era considerata una colonia: l’intero Mezzogiorno. Poi, alla fine dell’800 la politica Savoiarda si orientò verso l’Africa, dando vita al patriottismo colonialistico, il contrario dello spirito garibaldino. Fu un pesante tradimento degli ideali risorgimentali, completato nel 1911 dall’adesione di una parte dei Socialisti, guidati da Giovanni Pascoli, alla invasione della Libia. In quegli anni, sepolta la stagione dei Pisacane, dei Pellico, Mazzini e Garibaldi, altri sedicenti patrioti si inventarono pure il nemico interno: i pacifisti, gli oppositori della dittatura; furono dipinti come antiitaliani.

Nel tentativo di nascondere l’assenza di una uniforme italianità dal Nord al Sud, i patrioti del primo Novecento spinsero alla guerra mondiale dei 30 anni (1915-1945), col risultato di rendere l’Italia schiava della Germania nazista. Ma, dopo il disastro, una nuova Patria fu ricostruita sulle macerie e col sangue di nuovi Patrioti (gli Antifascisti e Partigiani): l’italianità del secondo Novecento ebbe questa nuova base, ma ancora una volta non affrontò le differenze di classe, né quelle tra Nord e Sud.

Alla fine del ‘900 entrò in crisi anche la nuova Patria; e si fece strada una nuova idea di italianità. Qualcuno la identificò in un tal Cetto Laqualunque, emblema di arrivisti, menefreghisti, e paraculi, cresciuti e moltiplicati nella giungla economica del turbo-capitalismo. Qualcun altro la definì berlusconismo. Ma qualche anno dopo, un novello Pisacane si lanciò alla conquista della Sicilia (era un Grillo nuotatore) e poi del Palazzo. Coi suoi 300 (le cronache ricordano alcuni nomi:  Di Maio, Fico, Taverna, Toninelli, Azzolina, Bonafede, Conte) ebbe più fortuna dei patriottardi idealisti (Pisacane) di 150 anni prima.

Senza neanche sapere come, vinsero tante battaglie, arrivarono perfino a governare, ma si bloccarono, non sapendo se andare a destra o a sinistra. Strada facendo, si accorsero di non avere nessuna identità e non sapevano più quale italianità proporre al popolo. Avevano tanto contribuito a distruggere la tradizione, propagandando un futuro che non erano capaci di immaginare. Avevano spinto sul sovranismo dell’individuo; e ora proprio quell’individuo gli sfuggiva e si rivoltava contro. Scoprirono che non era vero che “uno vale uno”. Si ritrovarono senza né una tradizione né un futuro, né un’identità italiana, né una europea. Specchio di un’Italia senza identità.

E inoltre, un terribile coronavirus aveva sconvolto ogni certezza. Tutti si trovarono di fronte al dilemma: privilegiare l’individuo? Oppure la collettività? Da un lato Cetto Laqualunque fremeva e scalpitava; dal lato opposto il virus imponeva regole stringenti. Ma quasi tutti non vedevano l’ora di riprendere a correre forsennatamente come prima, spinti dalla loro identità super-egocentrica.

In questo bailamme, correva l’anno 2021, sorse una nuova spigolatrice, che tra il serio ed il faceto, propose “un patriota alla presidenza della Repubblica”. Fu così che una novella G. Garibaldi [Giorgia, non si offenda l’eroe dei due mondi] consegnò la Repubblica a un nuovo V. E. II (tale Silvio da Milano, già padrone di un impero), con l’intento di farne un nuovo monarca e di trasformare la Repubblica in Regno. Fu così che ebbe nuovo slancio la pacchia per evasori, menefreghisti, avventurieri, anarcoidi, signorine di bella presenza, ma soprattutto per i possessori di residence in Sardegna, macchine da corsa, redditi sopra i 75.000 euro netti, e – non ultime – per le più rispettate “famiglie”.

E chi erano i 300 compagni (pardon, forse tra di loro si chiamavano camerati) della spigolatrice de’ castelli romani? Non è difficile, basta un po’ di immaginazione. Al posto di Crispi (il siciliano) si vide Salvini (il secessionista); al posto di Bixio si vide La Russa; al posto di Pascoli si vide Brunetta.

Le cronache non ci dicono chi giocò la parte di Cavour, il sapiente politico che manovrò l’imprevedibile cambio di Regime, e al quale la prematura morte aveva impedito di godere i frutti del suo lavoro; gli storici sono ancora incerti. Fu Mario Draghi? oppure Enrico Letta?

Corsi e ricorsi…

(Homo Videns, anno 2121)

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