Il comitato di Conte, i comitatini di Fontana (di Homo Videns)

In Italia si sa, quando la politica non si vuol prendere le sue responsabilità… nomina un comitato,

una commissione, di saggi, di esperti… Tanto, col tempo, la questione sfuma, la gente non si ricorda più, il fatto si risolve da solo, o… non si risolve mai. Anzi, per rendere la cosa ancora più fumosa, a volte decidono di chiamarli “task force”: bontà di una lingua millenaria come l’Italiano.

Così anche il Conte 2 ha partorito il Comitato della “fase 2”; solo che non ha ancora chiarito quando finisce la “fase 1”. Ma che cos’è la “fase 1”? Come si definisce? Quando si guarisce? Quando saremo sicuri di non contagiarci l’un l’altro? Oppure il contagio è solo una diceria? Una cosa da niente? A quasi due mesi dallo scoppio dell’emergenza sanitaria, nessuno la sa definire (neanche i Cinesi, che l’hanno subita per primi). Non sapendo che fare, il Conte 2 ha pensato di nominare il Comitato della fase 2, la “task force”. E vediamo che cosa dovrebbe fare tal Comitato.

Il DPCM 10 aprile 2020 (dell’Avvocato del Popolo) recita: “… elaborare e proporre al Presidente del Consiglio misure necessarie per fronteggiare l’emergenza epidemiologica COVID-19, nonché per la ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive, anche attraverso l’individuazione di nuovi modelli organizzativi e relazionali, che tengano conto delle esigenze di contenimento e prevenzione dell’emergenza …”.

Personalmente, in questo decreto del “doppio Conte” (visto che in quest’ultimo caso, l’errore è appunto doppio) io ci vedo due errori: nel merito e nel metodo.

Nel metodo: 1-perché l’emergenza epidemiologica è stata già affidata al Comitato Scientifico della Protezione Civile; il quale, bene o male, con tutte le attenuanti dell’eccezionalità del virus, se la sta cavando; e quindi non puoi affidare gli stessi compiti ad un ulteriore Comitato (ammenocché non fai decadere quello precedente).  2-qui non si tratta di studiare, inventare, immaginare qualcosa che (si faccia o non si faccia), alla fine non fa danni a nessuno. La ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive è una cosa che impegna maledettamente 60 milioni di Italiani! Per cui ci si aspetterebbe che il suddetto Comitato rappresentasse grosso modo questa popolazione. Invece, vediamo come è costituita la “task force”, in ordine alfabetico: -avvocati n.2; economisti n.5; fisici n.1; manager n.3; psichiatri n.3; sociologi n.1; statistici n.2.

Non un medico, non uno specialista, non un magistrato anti-mafia. Ma, quel ch’è peggio, l’idea sottintesa che presiede a codesto impianto è che l’emergenza da coronavirus (tanto sanitaria che economica) possa essere sconfitta a tavolino, da un super-manager attorniato da altri collaboratori; tipo Mago Merlino ed i suoi assistenti tra gli alambicchi (la miracolistica “task force”). Guardiamo, allora, nel merito, cosa dovrebbe fare il comitato fatato.

Nel merito: che cosa dovrebbero fare codesti saggi ed esperti? 1-immaginare la ripresa graduale…; ma se già è in corso, codesta ripresa! Ed è stata concordata, più o meno, ai vari livelli istituzionali… 2-individuare nuovi modelli organizzativi e relazionali (!?). Sorge, prorompente, il sospetto che una strana cosa abbia in mente il doppio Conte. Vorrebbe imporci nuovi modelli di vita? E come ha in mente di farlo? Con un comitato tecnocratico? L’avvocato del popolo ha smarrito la strada; ha dimenticato che stiamo nell’Italia Repubblicana, non in quella di Mussolini; non nella Cina di Mao o nella Russia di Stalin o di Putin; non nella Germania del Fuhrer; ma neanche nell’America del suo “amico” Trump. Stiamo nella patria del diritto, caro! Di Cesare Beccaria, di Pietro Giannone, e di Antonio Gramsci, e di Piero Calamandrei.

Detto questo…

Se è davvero un’emergenza epocale, come lo è, non si può lasciare che la ricostruzione venga gestita come un affare da Consiglio di Amministrazione! Creando, peraltro, un precedente pericolosissimo: domani, con un governo di destra, dove si andrebbe a finire? Fermatelo, per favore! Ditegli che le sue truppe sono il popolo italiano, non i comitati tecnocratici. E ditegli pure che tali comitati possono essere affondati o, comunque, vanificati, da altri comitatelli, come quello di cui si avvale il Presidente della regione Lombardia, che non ci ha messo più di tanto per affondare il comitato di Conte.

Non è così che si risolvono i problemi di una nazione, se ancora Nazione siamo! Bisogna chiamare a raccolta i migliori geni del Popolo Italiano, e più rappresentativi: le formazioni sociali; i corpi intermedi

E allora, da dove ripartire? Gli imprenditori, non gli economisti; i lavoratori, non i sociologi e psichiatri; le associazioni, le famiglie, le confessioni religiose (sì, anche quelle), le università, gli studenti, i docenti; e gli ultimi (sì, quelli che pagheranno di più). Ma non gli avvocati (con il massimo rispetto per questa nobile professione). Un piano troppo ambizioso? No, mi sembra il minimo democraticamente accettabile. Ma questo è chiedere troppo – direte – non rientra nelle cose comprensibili da questa compagine di governo, è come cercare il senno col lanternino! No, dicono; c’è una parte di governo che ha in sé un’anima popolare; essa capisce che la ricostruzione post-covid non può essere un fatto burocratico-amministrativo. Si ricordi, allora, della propria storia. Altrimenti, questa lampante realtà sarà colta dai populisti, ma con un altro segno, anzitutto quello propagandistico. E poi, anche dagli anarchici Masanielli, di cui l’Italia non è avara.

Alessandro Manzoni, in un memorabile capitolo dei Promessi Sposi, esaminò come il Governatore spagnolo Ambrogio Spinola ed i suoi Adiutori, non presero atto della realtà (scientifica) della peste di Milano e preferirono dar la colpa (più “populista”) ai cosiddetti “untori”. Rifiutarono tenacemente di ammettere la realtà. In quel capitolo, il sommo scrittore (per mettere in guardia dagli esiti pericolosi della propaganda e per evidenziare quanto male avesse fatto il rifiuto della realtà), citò il Muratori, che quella pestilenza aveva studiato in profondità, e aveva scritto: “Ho trovato gente savia in Milano, che aveva buone relazioni dai loro maggiori, e non era molto persuasa che fosse vero il fatto di quegli unti velenosi”.

Amaramente Manzoni concluse: «Si vede ch’era uno sfogo segreto della verità, una confidenza domestica: il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune».

Suvvia! Non meritiamo di essere trattati come ieri, i Milanesi, con nobilesca arroganza e sufficienza spagnolesca, al tempo della famosa peste; oggi, gli Italiani, con piglio di nobilesca sufficienza avvocatesca, al tempo della pestilenza da coronavirus. Nulla contro gli avvocati: essi sono dei professionisti, come gli altri, non più degli altri. Ma quando si ha in mente di fare l’avvocato del popolo, viene in mente quello che iniziò la categoria. Il primo “avvocato del popolo” si chiamava Robespierre, governò con pugno di ferro, minacciando “più ghigliottina per tutti”; e finì ghigliottinato.

Homo Videns

Per offrirti il miglior servizio possibile questo sito utilizza cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego in conformità della nostra Cookie Policy.