22 marzo: quando Conte risuscitò il salvinismo (di Homo Videns)

Sabato 21 marzo ho aspettato fino alle 23:25, come tanti altri italiani, per ascoltare le dichiarazioni del Presidente del Consiglio,

già preannunciate da varie ore.

Benché contrariato (forse scocciato) per la lunga e snervante attesa, mi sono rallegrato, come tanti altri italiani, al sentire che da lunedì 23 marzo 2020 le attività non essenziali sarebbero state chiuse. Bene! Ho pensato. Non si possono rincorrere i vecchietti che si fanno la passeggiata in villa, e lasciar girare per l’Italia milioni di lavoratori che sono costretti ogni giorno a incontrarsi tra di loro sia all’andata che al ritorno dal posto di lavoro. Mi sono rallegrato per una scelta dolorosa, ma ormai indifferibile, e che si sarebbe dovuta fare prima.

Poi, la mattina di domenica 22 marzo ho cercato il decreto, per capire i dettagli, ed ho aspettato fino alla sera, per poterlo leggere. E qui, mi son cadute le braccia: si tratta di una mezza chiusura, e forse anche meno. Non so fare i conti su quanti lavoratori inciderà questo decreto; ma, a scorrere l’elenco delle attività ancora consentite, si resta davvero sconcertati! Davvero i nostri dipartimenti ministeriali non potevano fare di meglio? Dopo il primo sconcerto, però, ho ripensato alle dichiarazioni di Conte, e mi dispiace, ma devo dirlo: mi sono sentito tradito, anzi… preso in giro. E, non solo: mi sono domandato, come tanti altri italiani, se questo avvocato, e il suo evanescente governo, sia in grado di portarci fuori da questa immane tragedia, senza farci passare da una catastrofe. E su queste incertezze ha facile gioco la propaganda parolaia.

Dicono che siamo nel mezzo di una guerra, ma non si comportano di conseguenza. Se davvero questa contro il coronavirus è una guerra; se davvero è la più grave emergenza nazionale dopo la seconda guerra mondiale, e quindi di sempre – di sempre! – bisogna capire come si vincono e si perdono le guerre.

Dopo la disfatta di Caporetto, non ci fu il crollo dell’Italia, perché il resto dell’Italia resse; il fronte del Piave resse non solo dal punto di vista militare, ma anche perché nelle retrovie c’era quello economico e di solidarietà civile. La stessa cosa avvenne nella seconda guerra mondiale. Se Hitler fu sconfitto, dopo aver messo in ginocchio l’Inghilterra, la Francia, e in parte la Russia, fu perché c’era una grande retrovia (gli Stati Uniti) in grado di sostenere la resistenza economica e civile al nazismo. E il nazismo crollò anche perché non poteva sostenere all’infinito lo sforzo economico e civile. In sintesi, le guerre le vince chi ha nelle retrovie la capacità di durare un minuto di più del nemico.

Ci vuole tanto ad adottare un tale principio nella guerra al coronavirus? Dov’è il fronte, oggi? È negli ospedali, nelle strutture sanitarie. E dov’è il nemico? Dov’è la trincea? Sta tra di noi, in giro per le strade, ma specialmente tra i milioni di lavoratori. Allora, per bloccare questo nemico invisibile, bisogna bloccare milioni di persone, lasciando circolare, nella massima protezione, soltanto quelli che sono funzionali al fronte sanitario. Chiudere tutte le attività produttive non essenziali; lasciare aperte, nelle retrovie, solo quelle funzionali sia al fronte sanitario che alla sussistenza alimentare. Bisogna fermare milioni di lavoratori, per essere sicuri che il virus non infetti le retrovie. Ciò farà crollare le borse, farà fallire le aziende più deboli, ci farà impoverire? Forse, ma… ci farà salvare la vita! E vincere la guerra contro il microbo invisibile.

E, come sempre dopo una guerra, bisognerà rimboccarsi le maniche; per chi è rimasto nell’Europa sarà possibile ricorrere ai Fondi Europei, ecc.; per noi, anche alla nostra italica creatività.

Il 22 marzo fu la Caporetto di Conte; che non sia la Caporetto dell’Italia.

(di Homo Videns)

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