Un'analisi di Giuseppe Florio sulle prossime elezioni amministrative.

Elezioni amministrative: a bocce (quasi) ferme sembra possibile abbozzare un'analisi preliminare.

Sei i candidati sindaci: in ordine di apparizione, Pompeo Molfetta in nome e per conto di una sorta di rassemblement civico, Emilio Guarini per il proprio Civico 26, Sabrina Didonfrancesco per Forza Italia, tale Danilo Facecchia per il Movimento 5 Stelle, Antonio Calabrese per ProgettiAmo Mesagne e, con tutta probabilità, Ninni Mingolla per il PD. Il quadro (e lo si deduce non soltanto dal numero delle candidature) è frammentato. Il primo dato che salta agli occhi è che il centrodestra, che fino a pochi mesi addietro era in predicato per competere per la vittoria, soprattutto dopo i 5 farraginosi anni di amministrazione Scoditti, ha perso quella chance, preferendo il "liberi tutti", o il prevalere dei singoli egoismi. Il secondo dato è che il centrosinistra, così come era tradizionalmente inteso o per come avrebbe potuto trasfigurare, non esiste più.
Ma il filo rosso che sembra tenere l'intero contesto è quello della scommessa, dell'azzardo, del rischio. Azzarda Molfetta, allestendo una coalizione formalmente priva di stendardi ideologici ma assemblata da forze e soggetti politicamente eterogenei, il quale dovrà dimostrare che l'interesse generale della comunità può trascendere la somma degli interessi e delle ispirazioni particolari. Altrimenti la "grosse koalition" in salsa nostrana si rivelerà un indigeribile guazzabuglio.
Osa Guarini, che ha preferito imboccare la strada di una vocazione maggioritaria pur di non inzaccherare la divisa di contrammiraglio a forza di contrattazioni con i partiti ed i movimenti del centrodestra: per lui la scommessa è quella di pescare nel voto popolare per un consenso più largo di quello garantito dalle élites borghesi e tecnocratiche.
Osa (ed anche molto) la Didonfrancesco, unica donna di questo novero, di suo particolarmente gettonata tra i ceti umili, ma priva in maniera irrimediabile di una classe dirigente all'altezza, necessaria considerata la modesta dotazione politica della candidata.
Rischia più di qualche stella il movimento grillino, fin qui avendo dimostrato di riuscire a fare appena la parodia di quello nazionale, che ha affidato le sue fortune ad un candidato misconosciuto, noto più per gli esercizi di violenza virtuale che per le qualità politiche.
Azzarda Calabrese, esponente amabile di un gruppo spigoloso che, dopo aver tentato, anche oltre misura, di condizionare gli assetti del PD in favore di un accordo elettorale forse contronatura, sceglie di andare da solo in battaglia, armato più di moschetti che di cannoni.
E rischia, più di qualunque altro competitore, il candidato del Partito Democratico, ieri leader di un possente schieramento, oggi solo come uno scolaro costretto al castigo. In questo caso bisognerà verificare quanto lo tirerà su l'effetto Renzi e quanto giù la sindrome metabolica da autoindebolimento che sembra affliggerlo. Per il PD la posta in gioco è quasi la sua stessa sopravvivenza. Se la maggior parte dei soggetti in gioco non si prendesse così tanto sul serio, suscitando quindi una noia insuperabile, le elezioni di maggio potrebbero intrigare quasi quanto una puntata di The Mentalist.

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