Ricerche sulle tradizioni popolari mesagnesi VI. L'alimentazione ed alcuni proverbi. (di Marcello Ignone).

Sesto appuntamento della rubrica relativa alle tradizioni popolari mesagnesi;

questa volta proponiamo alcuni proverbi mesagnesi relativi all’alimentazione e al digiuno, quasi sempre forzato e non voluto. Naturalmente, tra i tantissimi proverbi ne abbiamo scelto solo alcuni.

Alimentazione e digiuno in alcuni proverbi mesagnesi

 

La cultura popolare si è servita dei proverbi per trasmettere il sapere faticosamente conquistato perché l’ineluttabile fluire del tempo non cancellasse il pensiero, il buon senso, la norma, l’esperienza, la visione della vita delle diverse generazioni.

Per millenni i nostri avi hanno fatto ricorso ai proverbi per esigenze pratiche, legate all’esistenza quotidiana, alle difficoltà del momento, all’impossibilità o incapacità di risolvere i mille problemi di una vita di sacrificio e lavoro.

Sapere che altri prima di noi hanno vissuto le stesse esperienze, è decisamente un aiuto.

L’insegnamento, il consiglio, l’esperienza erano da tramandare, appunto, con la parola nel proverbium (derivato di verbum, parola).

Se, però, osserviamo bene, con attenzione, il proverbio non si risolve né nel significante, la sua forma, né nel significato, il suo contenuto. Il proverbio è tale se espresso a viva voce, enunciato in quel preciso momento in cui serve perché qualcosa va oppure non va, qualcosa ci rende tristi oppure felici. Il proverbio trascende ogni situazione, anche la più soggettiva. Oggettivizza e massimizza ogni fenomeno senza far ricorso ad alcun pensiero riflessivo perché è la parola dei padri, dei nostri avi.

I proverbi si equivalgono, non esiste una scala gerarchica. Un fenomeno può essere oggetto di più proverbi, talvolta anche contraddittori.

Il proverbio, oltre al suo significato letterale, ha spesso anche un significato figurato, comunque capace di adattarsi perfettamente all’evolversi delle diverse circostanze.

Questa capacità di adattamento dei proverbi non li sminuisce affatto, non li rende meno interessanti, proprio perché appartengono a tutti e tutti possono farvi ricorso, anche oggi.

Tra i tantissimi proverbi della nostra mesagnesità, vogliamo sceglierne solo alcuni relativi all’alimentazione, al cibo, alla cucina, vero rovello dei nostri avi che non riuscivano a mettere insieme il pranzo con la cena.

 

Ccatta vinu vecchiu e uegghiu nuevu

Compra vino vecchio ed olio nuovo.

Il vino invecchiato è preferibile al nuovo (altra cosa è il novello), mentre l’olio di oliva deve essere nuovo, cioè di annata, allo scopo di evitare lu furtori, l’eccessiva acidità.

È anche un consiglio per l’acquisto, con riferimento all’esperienza ed alla sostanza e bontà delle cose tradizionali.

 

Rranciti all’ossu ca la carni è ccara

Arrangiati con l’osso perché la carne è cara.

oppure:

Ccuntèntiti ti lu brotu ca la càrni è ccara

Accontentati del brodo perché la carne è cara.

È un invito ad adottare un’immediata soluzione, spesso di ripiego, di fronte alle avversità della vita. Del resto, un tempo mangiare carne era un lusso che di rado la povera gente poteva permettersi.

 

Carni cruta e ppešci cuettu.

Carne cruda e pesce cotto.

Sono alcuni dei consigli gastronomici dei nostri avi: la carne va mangiata poco cotta, mentre occorre cuocere bene il pesce; del resto cotta o cruta, bbašta lu fuecu l’è vvituta, o cotta o cruda, basta che il fuoco l’abbia vista, considerato che per la carne basta una cottura leggera, anche se no mmangiari crutu e nno ccamminari nutu, non mangiare crudo e non camminare nudo, è il consiglio dato dai nostri avi perché sia la cottura che il vestiario sono necessari. Insomma, ieri come oggi, ci la voli cotta e cci la voli cruta, chi la vuole cotta e chi la vuole cruda!

 

Ci mangi ua e ffichitindi, quandu cachi tuttu rrigni

Se mangi uva e fichidindia, quando defechi ti sforzi tutto.

Altro consiglio gastronomico dei nostri avi: bisogna evitare di mangiare insieme uva e fichidindia, per una sorta di incompatibilità… intestinale; in caso contrario occorreranno sforzi notevoli per combattere la stitichezza che, da tradizione, l’abbinamento di questi due cibi provoca. Tra gli “sforzi” era consigliato ti taliri sobbr’a lli scinucchi quando si andava in bagno…

 

Ci ti mangi patani e ccucuzza, la ventri ti tuzza.

Se mangi patate e zucchine, la ventre ti bussa.

I nostri avi ritenevano entrambi gli alimenti scarsamente nutritivi e, quindi, dopo averli mangiati, la fame sarebbe tornata presto a farsi sentire e con essa anche il meteorismo intestinale.

Del resto che cosa aspettarsi se la cucuzza si coci cu ll’acqua sua štessa, la zucca si cuoce con la sua stessa acqua?

Il senso figurato è chiaro: a furia di rimuginare sempre gli stessi pensieri, di arrovellarsi con cattivi pensieri, di fissarsi su di un problema irrisolvibile, fai danno solo a te stesso.

 

Cucina brotu, ca bbašta pi ttutti.

Cucina brodo, che basta per tutti.

Le nostre nonne sapevano bene che con il brodo si possono ottenere più piatti da mettere in tavola, si poteva llungari rispetto alla quantità prevista e accontentare più persone, pur sapendo che lu brotu llava li višciri, il brodo pulisce l’intestino; se, invece, ti nni mbivi lu brotu, te ne bevi il brodo, a livello figurato era detto di qualcuno che parlava a vanvera e con cattiveria di persone o fatti non conosciuti, un pettegolo, insomma. 

 

Quandu rria la fica, lu muloni si va’ mpica.

Quando arriva a maturazione il fico, il melone si impicca, scompare come frutto.

Del resto, fichi e mmuluni hann’a essiri ti štascioni, fichi e meloni devono essere di stagione; e il consiglio vale per ogni frutto e ogni impresa o progetto; insomma, ogni cosa a suo tempo! Un consiglio oggi dimenticato, con conseguenze ambientali, sociali ed economiche spesso devastanti; ma si sa, pretaca e mmuloni so’ frutti ti štaggioni, predica ed anguria sono frutti di stagione.

 

Mangia cu nno tti fama e vvištiti cu nno tti scela

Mangia per non sentire fame e vesti per non sentire freddo.

Oppure:

Mangia cu nno tti veni fami e vvištiti cu nno tti scela

Mangia per non avere fame e vesti per non sentire freddo.

Nella vita occorre moderazione in ogni cosa, non solo nel mangiare o nel vestire, anche perché cu llu tiempu e ccu lla pagghia maturunu li nespuli e lla canagghia, con il tempo e con la paglia maturano le nespole e la canaglia, la gente malvagia. Dicevano i nostri saggi avi: ogni ttiempu rria e ogni ffava si coci, il tempo passa e le fave si cuociono; oppure: lu tiempu passa e lla fava si coci, il tempo passa e la fava si cuoce, con il trascorrere del tempo maturano i problemi, del resto gli eventi e i casi umani hanno bisogno di tempo, pazienza e cura per giungere a maturazione.

Anticamente, le nespole si raccoglievano acerbe e si facevano maturare nella paglia. 

 

Tutici so’ lli misi e tritici li luni, la notti cchiù llonga eti quandu ti cuerchi a lla ddasciunu

Dodici sono i mesi e tredici i mesi lunari, la notte più lunga è quando ti corichi a digiuno.

Per i nostri antenati la fame era il Moloch da combattere quotidianamente, specialmente di notte, quando i morsi della fame alteravano la percezione del tempo e, naturalmente, non favorivano il sonno; del resto lu cavaddu mazzu si sonna la bbiava ti notti, il cavallo denutrito di notte sogna la biada, come a dire che la fame accomuna gli esseri viventi. Infatti, i nostri avi erano disposti a tutto pur di calmare l’atavica fame e pur illudendosi che tre mbiuti t’acqua valunu pi nna quarta ti pani, tre bevute d’acqua valgono per un quarto di pane, erano addirittura disposti a riempirsi il ventre di paglia: inchi la ventri e inchila ti pagghia, riempi la pancia e riempila di paglia, l’importante era mangiare, anche se il cibo non era nutriente o gustoso. Attenzione, però, lu ciucciu porta la pagghia e llu ciucciu si la scagghia, l’asino porta la paglia e l’asino stesso se la mangia; questo era un comportamento esecrabile ed era da condannare chi non divideva il proprio cibo con gli altri, dal momento che li vocchi so’ suluri, le bocche sono sorelle, quindi, mai mangiare da soli in presenza di altri.

E bbašta pi mmoni.

Marcello Ignone

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