Gioco "a truddi" (di Marcello Ignone)

Quinto appuntamento della rubrica relativa alle tradizioni popolari mesagnesi;

questa volta proponiamo un antico gioco, a truddi, diffuso, con alcune varianti, in tutto il nostro Salento, nel Meridione d’Italia ed anche in molte regioni europee, e noto in Asia da tempi antichissimi; oggi è conosciuto come il gioco delle cinque pietre e, al tempo degli antichi romani, era detto penthelita, praticato con gli astragali, l’osso che si trova tra il calcagno e il bicipide degli ovini.

Scheda n. 14

Nome: A truddi (A ppitruddi)

Numero giocatori: due o più 

Genere: femminile (talvolta anche maschile)

Luogo: quasi sempre per strada, sulla soglia di casa, ma anche in spazi chiusi (è comunque

necessaria una superficie piana)  

Materiali: cinque pietruzze (li truddi)

Descrizione:

Il gioco prevedeva di eseguire, secondo regole date e con difficoltà crescente, alcuni esercizi con cinque sassolini. Era comune, un tempo, vedere due o più ragazzi, ma soprattutto ragazze, praticare questo gioco di pura abilità manuale. Si sceglievano cinque sassolini (rotondeggianti  ma non perfettamente rotondi e, soprattutto, della stessa misura; per ottenere una forma rotondeggiante, i sassolini erano spesso levigati) e si individuava tra di esse lu capu o pietra maestra. Queste pietre, dette truddi (da pitruddi, pietruzze, sassolini; nel resto del Salento truddhi) erano lasciate cadere per terra, a caso e ad una certa distanza l’una dall’altra, anche se il giocatore aveva tutto l’interesse a lasciarle cadere, con abilità, accoppiate e comunque non troppo distanziate. Il giocatore doveva, successivamente, lanciare in alto la pietra maestra e con la stessa mano, nell’intervallo del lancio, cercare di raccogliere prima una pietra la volta, cioè nnu truddu, e dopo aver completato senza errori la raccolta, ricominciare con due truddi la volta e così di seguito con tre e con quattro pietre ad ogni lancio, sempre senza sbagliare, altrimenti il gioco passava all’altro giocatore di turno che riprendeva la partita dallo stesso punto. Si sbagliava se non si riusciva a prendere i sassolini stabiliti, oppure questi cadevano o, se nella presa, si toccava un altro sassolino non stabilito. Dopo aver raccolto le quattro pietre il giocatore poneva sul palmo della mano tutte le pietre, cioè le quattro raccolte così faticosamente e la pietra capu, cioè il quinto truddu. A questo punto il giocatore lanciava debolmente in aria le pietre e, girando la mano, cercava di raccogliere il maggior numero di pietre sul dorso. Le pietre raccolte costituivano punti, necessari per vincere. Infatti all’inizio del gioco i giocatori stabilivano il punteggio da raggiungere e necessario per vincere (generalmente era undici ma poteva anche essere nove o sette). 

Varianti:

Le pietre potevano essere lanciate a terra senza ordine, a caso, ma non era infrequente la variante di porle per terra ordinate, secondo regole prestabilite. Talvolta lu capu, cioè la pietra maestra, era lasciata per ultima.

Esistevano diverse fasi di gioco: unu; toi; treti; quattru; a mmanu chiena (cincu); a llassa e ppigghia; tutti; lu ponti; la furcedda; a ggira e vvota (li punti).

Sicuramente esistevano altre fasi. Me ne ricordo alcune di cui ho perso memoria del nome dialettale: a mani intrecciate (nel raccogliere li truddi in caduta); a mano eretta posta per terra con le dita divaricate (li truddi dovevano essere fatti passare tra le dita).

Marcello Ignone

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