Continua la pubblicazione della rubrica “La mesagnesità” con il secondo appuntamento (di Marcello Ignone)

La “mesagnesità” - Ricerche sulle tradizioni popolari mesagnesi II

la cadenza è riportata con numerazione romana appena sotto il titolo; in questo modo sarà agevole raccogliere gli articoli e le schede; si prosegue, come promesso, con altri due giochi tradizionali molto simili (schede n. 5 e 6).

Scheda n. 5

Nome: A bbattimurra

Numero giocatori: minimo due giocatori, meglio se quattro ed oltre

Genere: maschile

Luogo: all’aperto, per strada; occorreva un muro ben levigato 

Materiali: tappi a corona delle bibite, ramiroddi, appositamente schiacciati; bottoni 

Descrizione:

Simile ad un altro gioco, a bbattipareti (vedi scheda n. 6) ma con la differenza che al posto delle monetine metalliche, c’erano solo li ramiroddi, i tappi a corona delle bibite; il tappo più ricercato era quello dell’aranciata San Pellegrino perché aveva una stella impressa; i tappi erano precedentemente schiacciati. Si utilizzavano anche i bottoni e non era inusuale vedere ragazzini che tornavano a casa senza i bottoni dei pantaloni o dei pantaloncini! 

I ragazzi, in numero variabile ma non meno di quattro altrimenti il gioco non era conveniente, dovevano battere li ramiroddi di metallo su di un muro ben levigato e colpire o avvicinarsi il più possibile ad uno dei tappi posti o scagliati per terra a debita distanza dal muro. Si tirava a sorte, normalmente a ttueccu, e il ragazzo prescelto poneva o lanciava, battendo sul muro, una ramirodda ad una certa distanza dal muro stesso; la distanza era compresa tra 1,5 e 2 metri raramente di più. Gli altri ragazzi, a turno, battevano con forza, che era attentamente dosata, la loro ramirodda cercando di colpire la ramirodda avversaria o, almeno, di farla cadere il più possibile vicina. Più sono i giocatori e più aumentavano le probabilità di avvicinarsi più di chiunque altro ad una qualsiasi delle ramiroddi lanciate per terra. Vinceva tutta la posta, quindi, chi riusciva a colpire un’altra ramirodda oppure far cadere il suo tappo corona vicino ad un altro. Fondamentale era la distanza minima che doveva essere raggiunta tra due tappi ed essa era stabilita dai giocatori prima del gioco a pparmu, cioè a palmo, e a mmusura, cioè a misura (il palmo era la distanza che a mano distesa si copriva misurando dal pollice al mignolo; la misura era rappresentata da un pezzo di legno, nnu zzippu, un ramo o nnu salimientu, cioè un tralcio di vite diritto, oppure una canna, comunque leggermente più lunga del palmo della mano ed in tal caso la prima ramirodda si poneva o si lanciava più lontano dal muro).

I giocatori dovevano calibrare con perizia la forza che serviva loro per battere il tappo sul muro, adeguando la spinta e ricercando con cura il punto più idoneo della parete per un rimbalzo perfetto e vincente.

Scheda n. 6

Nome: A bbattipareti

Numero giocatori: minimo due, ma più spesso quattro e più

Genere: maschile

Luogo: all’aperto; occorreva un muro ben levigato

Materiali: monetine metalliche

Descrizione:

Il gioco, simile ad un altro (a bbattimurra, vd. scheda n. 5) che, però, non prevedeva le monete, consisteva nel “battere” una monetina metallica contro il muro, cercando di colpire la moneta avversaria o farla andare il più vicino possibile a quella degli avversari, in modo da vincere.

I ragazzi, in numero variabile ma non meno di quattro altrimenti il gioco non era conveniente, dovevano battere le monete di metallo su di un muro e colpire o avvicinarsi il più possibile ad una delle monete poste o scagliate per terra a debita distanza dal muro.

Si tirava a ttueccu ed il ragazzo prescelto poneva una moneta di metallo ad una certa distanza dal muro, tra 1,5 e 2 metri raramente di più.

Le monete erano di metallo dal momento che dovevano essere scagliate sul muro per poi cadere per terra e la loro pezzatura, negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, variava dai 5 centesimi di lira (un soldo) ai 50 centesimi di lira (mezza lira, anche se era raro vedere battere valori… così alti), passando per i 10 centesimi (due soldi) ed i 20 centesimi (quattro soldi). Più vicino a noi (anni Cinquanta ed inizio anni Sessanta) si battevano 5 lire, 10 lire, 20 lire. Raramente si vedevano ragazzi battere 50 lire o addirittura 100 lire!

La scelta di giocare con un certo taglio era chiaramente espressa prima del gioco; infatti il ragazzo scelto dalla sorte poneva per terra o lanciava, battendo sul muro, una moneta di quella pezzatura. Gli altri ragazzi, a turno, battevano con forza, che era attentamente dosata, la loro moneta cercando di farla cadere il più possibile vicina o addirittura sopra un’altra scagliata in precedenza. Più sono le monete e più aumentano sia la posta che le probabilità di colpire o avvicinarsi più di chiunque altro ad una qualsiasi delle monete poste per terra. Vinceva tutta la posta, quindi, chi riusciva a colpire o far cadere la sua moneta vicina ad un’altra.

Se non si colpiva con precisione la moneta avversaria, diveniva fondamentale la distanza minima che doveva essere raggiunta tra due monete; questa era stabilita dai giocatori prima del gioco a pparmu, cioè a palmo, e a mmusura, cioè a misura (il palmo era la distanza che a mano distesa si copriva misurando dal pollice al mignolo; la misura era rappresentata da un pezzo di legno, nnu zippu, un ramo o nnu salimientu, cioè un tralcio di vite diritto, oppure una canna, comunque leggermente più lunga del palmo della mano e in tal caso si poneva più lontano dal muro la prima moneta).

I giocatori dovevano calibrare con perizia la forza che serviva loro per battere la moneta sul muro, adeguando la spinta e ricercando con cura il punto più idoneo della parete per un rimbalzo perfetto e vincente.

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