Curiosità araldiche mesagnesi (di Nuccio Pasimeni)
Nell’arma araldica del Comune di Mesagne, situata sopra l’arco della Porta Grande, ci hanno colpito i seguenti particolari:
- — lo stemma comunale è sormontato da una corona che designa la dignità di principe;
- — anche il mantello che lo incornicia è di pari dignità;
- — da sotto lo scudo escono le parti terminali dell’ Ordine dei Cavalieri di Malta;
- — é presente il Collare che designa l’appartenenza all’ Ordine di Gennaro; qui rappresentato in modo semplificato.
Altri particolari insoliti che si notano:
- — sullo scudo sembra rappresentato un albero di pino al posto di quello della palma;
- — invece che terrazzato, come nell’attuale stemma ufficiale della nostra città, l’albero è posto su di un monte.
Esiste una risoluzione capitolare del Io settembre 1783, ove si legge quanto segue:
“Sotto l’atto di fede del Sindaco di Mesagne, ... omissis ... si trova il Sigillo dell’Università di Mesagne, rappresentante un pino ad ombrello con due spighe ai lati.”
Non sono citati colori, e può essere che lo stesso stemma fosse già in uso. Lo si nota tuttora sui tombini della fognatura e sino a pochi anni fa anche sulla carta intestata dello stesso Comune.
Quelli che interessano la nostra ricerca sono i punti a,b,c,d.
La nostra Città non ha mai goduto di dignità nobiliare, pertanto dobbiamo concludere che la stessa dignità nobiliare doveva appartenere a qualche famiglia nobile nostra feudataria.
Teniamo presente che ogni feudatario tendeva ad eliminare l’emblema del precedente, e pertanto la conclusione che se ne trae è che quello che abbiamo sotto i nostri sguardi, anche se parzialmente ancora visibile, dovrebbe essere quello dell’ultima famiglia feudataria di Mesagne, ossia gli Imperiali.
Vediamo cosa ci dice al riguardo L’enciclopedia storico-nobiliare italiana in nove volumi di Vittorio Spreti:
IMPERIALI (o IMPERIALE): ARMA: D’Argento al palo d’oro cucito, caricato da un’aquila spiegata di nero coronata d’oro e linguata di rosso.
DIMORA: Napoli, Salerno, Firenze, Bruxelles.
Diramazione dell’antichissima famiglia Imperiali di Genova, detta originariamente Tartaro, una delle 28 che formarono Albergo, e salita per ben quattro volte alla suprema carica di Doge.
Tenne nel 1378 la signoria dell’isola di Corsica. Godè nobiltà a Milano, Vicenza ed a Napoli ove fu aggregata il 4 gennaio 1743 al Seggio di Capuana.
VESTI’ L’ABITO DI MALTA dal 1608, fu insignita del Collare del Toson d’oro, DEL RE AL ORDINE DI SAN GENNARO e del Granducato di Spagna di la classe.
Venne decorata dai titoli di: PRINCIPE DI FRANCAVILLA NEL 1639, PRINCIPE di Sant’Angelo dei Lombardi nel 1718, Marchese di Oria nel 1575 e Marchese di Latiano nel 1668.
Il ramo dei Principi di Francavilla si estinse nel 1782 con Michele, Grande di Spagna di la classe, Cavaliere del REALE ORDINE DI SAN GENNARO.
I titoli di PRINCIPE DI FRANCAVILLA e Marchese di Oria, passarono al ramo degli Imperiali di Latiano.
Pensiamo che i requisiti ci siano tutti.
Pertanto, per deduzione, l’ipotesi più logica e che l’Arma araldica del Comune di Mesagne fu sovrapposta a quella della Famiglia Imperiali.
Ci vorrebbe un lavoro di scollamento, sperando che quella sottostante sia ancora intatta; comunque potrebbe sempre essere facilmente ricostruibile data la semplicità (prerogativa questa delle famiglie autenticamente nobili) della sua espressione.
Ci sono però ancora alcune considerazioni che ci lasciano perplessi.
Antonio Profilo nella sua opera Vie, piazze, ecc., a pag. 20 dice:
“La odierna Porta fu riedificata nel 1784. Trovo scritto nell’ultima pagina del protocollo 1782- 1784 di questo notaio Domenico Serio che ai 23 agosto 1784 si cominciò a fabbricare la Porta Grande caduta da molto tempo. Che nello stesso giorno ... omissis ... la si costruì da molti fabbricatori venuti da Oria, da Torre ed anche mesagnesi, in modo che ai 31 di quel mese fu compiuta sino all’ arco maggiore. La spesa occorsa fu tutta del Duca di Simmari e perciò sulla Porta, nel 1° settembre, furono apposte le armi di lui; ai 14 ottobre fu posta l’ultima cornice e dopo un mese circa lo stemma reale. Ivi però non fu detto il motivo pel quale il Marchese Barretta duca di Simmari e signore di Mesagne riedificò così frettolosamente (otto giorni) e a sue spese la Porta Maggiore; ed io neanche lo dirò.”
Nella ristampa anastatica della suddetta opera, curata dal dott. Domenico Urgesi, alla Nota n. 8, pag. 372, è riportato quanto appresso: “La porta era parzialmente crollata nel 1764 ... omissis ... tra il pietrame caduto erano rimasti gli stemmi dell’Università di Mesagne, del Duca Giuseppe Barretta (che aveva sostituito quello dei De Angelis) e de’ passati Serenissimi Sovrani di questo Regno.
Doveva esserci una bella confusione!
Padre Anselmo Cosimo Leopardi, nella sua monografia del 1980 intitolata Universitas e Feudatari, nella Tavola cronologica conferma che nel 1749 Giuseppe Barretta, Duca di Simmari compra il Feudo di Mesagne e che nel 1791 questo passa alla Famiglia Imperiali che lo tiene fino al 1806, anno in cui si estingue il sistema feudale.
Luigi Antonio Montefusco, nel suo volume Le successioni feudali in Terra d’Otranto del 1996, a pag. 53, dice:
“Carmine de Angelis, Signore di Mesagne, morì nel 1729 e gli succedette la sorella Benedetta, la quale vendè il Feudo a Giuseppe Barretta, alla morte di questi gli succedette il figlio Francesco che il 19 settembre 1749 ebbe su Mesagne il titolo di Marchese. A Francesco successe il figlio Giuseppe che vendette con il patto “de remehendo” il feudo a Gaetano Montalto.
Giuseppe Barretta (a questo punto dovremmo dire II, ndr) riuscì a riscattare il feudo ed il 24 giugno 1791 (Atto notar Giuseppe Corvisiero di Napoli) lo vende per 320.000 ducati a
Vincenzo Imperiali, Marchese di Latiano.”
Una bella storia.
Ci sono due Giuseppe Barretta.
E se il secondo lo vende nel 1791, lo aveva già riscattato nel 1784?
Un’altra sovrapposizione fu fatta con lo stemma presente sull’ingresso di una abitazione alla fine di Via dei Dormio, in una rientranza all’ inizio di Piazza Sant’Anna dei Greci.
L’arma evidenziata ha due leoni rampanti contro affrontati reggenti con le zampe anteriori il primo una squadra ed il secondo un’ascia, il tutto con in capo un compasso aperto.
E chiaramente un simbolo di appartenenza alla corporazione dei Maestri muratori.
E fin qui niente di eccezionale.
Ma ad una più accurata osservazione, vediamo che al di sotto di questa prima immagine, spuntano due cordoni con nappe, situati ai lati dello stesso e partenti dalla sommità dello scudo.
Questo ci fa capire che molto probabilmente quello che si vede è stato incollato su una arma araldica di qualche prelato. Lo si deduce dal fatto che i due cordoni facevano parte di un cappello prelatizio contrassegnandone l’autorità.
Per riconoscere gli ornamenti religiosi dello scudo, non si poteva usare l’elmo né tantomeno la corona; si scelsero, quindi, copricapi liturgici, accompagnati da nappe, contrassegnate da un diverso numero di pendenti secondo la gerarchia, (esempio: Cardinale 5+5, Arcivescovo 4+4, ecc. sino agli arcipreti e cantori che ne hanno uno solo per lato).
Pertanto ne deduciamo che — anche con un certo senso di ironia — qualcuno ha sovrapposto un simbolo di quella congrega laica, a quello di un prelato.
Ipotesi sono difficili da farne.
L’unica che possiamo azzardare, e che partendo dal nome della Via che è intestata alla Famiglia dei Dormio, in quella casa abbia abitato qualche prelato appartenente a questa famiglia.
Sempre dal libro di Antonio Profilo già citato, a pag. 82 quando parla della famiglia in oggetto ci fa sapere: “dal matrimonio di Francesco con la nobile leccese Eleonora Panareo, nacque Tiberio, medico, poeta e poi sacerdote esemplare.
La famiglia Dormio si è qui estinta nel 1883 con la morte di Raimondo Dormio Cantore di questa Collegiata.
La presente ricerca è stata effettuata da Antonio Pasimeni con la collaborazione del figlio Raimondo.