il vangelo non si trova all’interno delle mura

Gaillot non è stato un vescovo qualunque.

Nel suo primo messaggio pasquale nel 1983 disse: “Cristo è morto al di fuori delle mura, come è nato al di fuori delle mura. Se vogliamo vedere la luce, il sole della Pasqua, noi stessi dobbiamo andare fuori le mura”. A seguito di questo egli ha poi precisato che: “Non sono qui per convincere il convinto o prendersi cura del bene, io sono qui per sostenere i malati e offrire una mano a chi si è perduto. Un vescovo deve rimanere in cattedrale o andare per strada? Io ho fatto la mia scelta”. Le notizie delle sue attività cominciarono a giungere quasi subito negli anni ’80. Diceva quello che pensava sul disarmo, le armi nucleari, l’oppressione dei palestinesi, gli insegnati delle scuole cattoliche sottopagati, gli emarginati, la guerra e l’emabargo in Iraq, gli esperimenti nucleari francesi in Polinesia, il celibato dei preti, l’amore omosessuale. Inviato a dimettersi non lo ha mai fatto e nel 1995 GPII lo sposta dalla diocesi di Evreuex  ad una inesistente (come si fa, ad esempio, con i i vescovi della Curia romana o manager di ospedali ). Non ha mai avuto uno stemma o un motto come gli altri vescovi perché considerava questa un’abitudine nobiliare che non aveva nulla a che fare con la chiesa. Oggi a 85 anni fa quello che ha sempre fatto, sta fuori le mura e frequenta gli emarginati. Di seguito una sua recente intervista.

intervista a Jacques Gaillot, a cura di Jérôme Cordelier

in “Le Point” del 12 marzo 2019 (traduzione: http://www.finesettimana.org)

È stato il vescovo ribelle della Chiesa di Francia, e lo ha pagato caro. Nel 1995, Mons. Jacques Gaillot fu allontanato  da Roma dalla sua diocesi di Evreux che dirigeva da tredici anni, perché interveniva a tutto campo sui media, con una parola libera, e la sa gerarchia se ne risentiva. Non fu dimesso dalle sue funzioni, ma “trasferito” come vescovo di Partenia, una diocesi fantasma, da secoli senza chiese né cattolici, sugli altopiani nella zona di Sétif in Algeria. Il prelato, oggi ottantaquattrenne, è stato riabilitato da papa Francesco, che lo ha ricevuto a Roma ed è rimasto a parlare a lungo con lui a quattr’occhi nel 2015, e mantiene la sua libertà di parola, ma concede molto raramente interviste.

Mons Gaillot vive – da vent’anni – in un convento tenuto da religiosi spiritani (Congregazione dello Spirito Santo, fondata nel XVIII secolo), dietro il Panteon a Parigi e continua, discretamente, a portare avanti le battaglie a cui ha dedicato tutta la vita. Presiede sempre l’associazione Droits devant!, che aveva fondato con Albert Jacquard e Léon Schwartzenberg, e continua ad aiutare delle famiglie di migranti alloggiati, grazie all’associazione Droit au logement, in una scuola dell’8° arrondissement, dietro la chiesa di Saint Augustin, e “non lontano dall’Eliseo”, dice ammiccando con i suoi occhi azzurri maliziosi. Mons. Gaillot visita anche dei carcerati, tra cui Yvan Colonna, da quindici anni nella prigione di Arles, o anche Georges Ibrahim Abdallah – capo della Fraction armée révolutionnaire libanaise (Farl), condannato all’ergastolo per complicità in assassinio nel 1987 – a Lannemezan, ai piedi dei Pirenei. E, da algerino nell’anima, segue, giorno per giorno, l’attuale rivolta di “questo popolo ammirevole, giovane, dinamico”.

Abbiamo proposto a Mons Gaillot di uscire un istante dal suo silenzio mediatico per commentare gli avvenimenti che scuotono la Chiesa cattolica. Come vedrete, l’uomo non ha perso la sua libertà di parola, né la sua capacità di comprendere il presente e il futuro con speranza. “Sono un uomo di speranza”, afferma Jacques Gaillot, “è una cosa che mi viene dalla fede. Il Vangelo non è limitato all’istituzione. Ovunque nel mondo, si trova traccia della vitalità della Chiesa; sono tanti gli uomini e le donne che percorrono la loro strada e fanno vivere le loro convinzioni cristiane”. Come lui, Jacques Gaillot, vescovo di Partenia. Intervista con un iconoclasta.

Lei che ha sempre avuto una grande capacità di indignazione, è indignato e in che modo, perciò che sente sulla Chiesa oggi?

Il mio sguardo non va di solito alla Chiesa, ma al mondo degli esclusi: i senzatetto gettati per strada, abbandonati. Inaccettabile! Quando arrivano a Parigi, questi uomini, queste donne, questi bambini hanno ormai un solo bene: la loro dignità. Si ammassano lungo la circonvallazione o sotto i ponti. È una vergogna! Nel mondo nessuno vuole le minoranze in cerca di una terra e di un futuro. Ecco ciò che mi indigna, oggi, prima di ogni altra cosa. Per rispondere alla sua domanda, quello che sento dire sulla Chiesa non mi preoccupa. Ho sempre preferito occuparmi della sorte degli individui che di quella delle istituzioni e, in questo momento, sono dalla parte delle vittime degli abusi sessuali. Le loro parole mi toccano profondamente. Le loro ferite diventano le mie ferite.

Il film di François Ozon sullo scandalo Preynat, un documentario di Arte su abusi sessuali commessi da preti su religiose… La Chiesa è fortemente interpellata dalla società, in particolare in Francia. Lei ha visto questi film? Come reagisce?

Mi è piaciuto il film di François Ozon che è rispettoso e pieno di emozioni. Come è difficile per la verità uscire dall’ombra e venire alla luce! Il segreto è talmente nascosto e protetto! È un coperchio pesante da sollevare. Le famiglie coinvolte si dividono e sono sconvolte. Nessuno ne uscirà indenne. Ma “la verità vi farà liberi”, dice Gesù. Il documentario sulle religiose abusate sessualmente da preti è stato uno choc. Mi sono sentito umiliato e indignato davanti all’ingiustizia fatta a quelle religiose. Come diceva Victor Hugo: “Si fa la carità quando non si è saputo imporre la giustizia”. La carità presuppone la giustizia. Lo si era dimenticato.

Sente una “cattofobia” attualmente in Francia?

Non l’ho constatato. C’è soprattutto un sospetto sui preti, che causa loro un grande dolore, anche quando non lo esprimono. Ne soffro con loro.

La Chiesa di Francia è sempre più reazionaria, come mostra lo storico e sociologo Yann Raison du Cleuziou nel suo ultimo libro, Une contre-révolution catholique (Seuil)?

C’è sempre stata una frangia conservatrice nella Chiesa di Francia. È influente e si fa sentire oggi. Il discorso identitario ha il vento in poppa. Affermiamo la nostra fede. Comunichiamo le nostre convinzioni. Non si può accettare tutto. Se si fa come fanno tutti, non si ha più niente da dire. Questo discorso identitario può essere rassicurante, ma non va al cuore del Vangelo, cioè la solidarietà con coloro che sono abbandonati dalla società. “Ero straniero e mi avete accolto”. Se si vibra a queste parole, si può essere certi di non essere come tutti quanti!

La condanna del cardinal Barbarin segna una svolta per la Chiesa di Francia? Rimette in discussione il suo sistema di governo?

La condanna e le dimissioni del cardinale sono atti forti che parlano più di qualsiasi discorso. È una vittoria per le vittime presenti e future. Finalmente si è voltato pagina. La cultura del segreto appartiene al passato. La trasparenza è chiamata ad essere esercitata, a tutti i livelli della Chiesa. Gli abusi sessuali devono essere denunciati e portati a conoscenza della giustizia. La tolleranza zero diventa la regola. Siamo tutti cittadini sottoposti alla giustizia degli uomini. Lo Stato laico si è imposto. Questo determina molti cambiamenti! Le mentalità hanno bisogno di tempo per evolvere. Queste nuove pratiche avranno bisogno di tempo. Ci vorrà una generazione.

La società francese è entrata in un’ “era post-cristiana” come sottolinea il direttore dell’Ifop, Jérôme Fourquet nel suo ultimo libro L’Archipel français (Seuil)?

Credo di sì. Siamo scivolati in un mondo nuovo. C’è un nuovo modo per l’individuo di abitare lo spazio e il tempo e di vivere la propria fede se è credente. La Chiesa cattolica in Francia è diventata minoritaria, con una cancellazione delle sue strutture e della sua cultura. Non è più un riferimento. Si fa a meno di lei. Ma il Vangelo è sempre giovane. Non è rinchiuso nell’istituzione Chiesa. Continua la sua corsa, rivolto al futuro, fuori dai confini e fuori da ogni quadro religioso. È vissuto in piena modernità, vissuto da donne e uomini liberi, solidali con i più indifesi.

Papa Francesco prende le decisioni giuste per lottare contro gli abusi sessuali, nello specifico a partire dal summit a Roma?

Quel summit che ha riunito i presidenti delle conferenze episcopali del mondo intero è un evento mai successo prima. Ha permesso ai vescovi di ascoltare insieme le testimonianze delle vittime. Testimonianze forti. Si sono visti anche alcuni di loro scossi da quei racconti. Così molti hanno potuto capire che la pedofilia non era riservata a certe regioni del mondo. È dappertutto, anche nella loro Chiesa. Ma il discorso finale del papa mi ha deluso: mi aspettavo degli atti forti che aprissero al futuro. Ad esempio, tornare sullo statuto del prete. Sarebbe stato interessante che il papa mettesse sul tavolo la questione del celibato dei preti. È una domanda di molti cristiani o non cristiani.

Il papa l’aveva ricevuta a quattr’occhi nel 2015. Lei continua a sostenerlo?

Sono molto vicino a papa Francesco che porta la primavera del Vangelo. Ciò non mi impedisce di criticarlo quando ha parole che io trovo deplorevoli: ad esempio, a proposito del suo sostegno a dei vescovi durante il suo viaggio in Cile, o della sua valutazione sul “gender”, o ancora della sua riflessione sugli omosessuali…

Per che cosa questo papa resterà nella storia?

Resterà per me il papa dell’apertura, che supera i confini dando la mano ai migranti.

Ci sono momenti in cui la delude?

Purtroppo sì! In questo momento sono deluso nel vedere che le riforme di fondo si fanno ancora attendere. Il diritto della Chiesa resta immutato. La riforma della curia romana non è ancora fatta.

Accetta il fatto che la deluda?

Mi ci rassegno! È senza dubbio preso da questi problemi di pedofilia che non hanno fine! Ha la preoccupazione dell’unità e non vuole provocare scismi, è prudente. Ma è al sesto anno di pontificato. Bisogna che agisca adesso, o mai più.

È ostacolato nella sua azione da un potere gay onnipresente in Vaticano, come sostiene il giornalista e ricercatore Frédéric Martel nel suo libro Sodoma?

Non ho letto quel libro, ma mi ricordo del titolo di un altro, François au milieu des loups (Francesco tra i lupi). Il papa ha dei nemici. Dei cardinali esprimono il loro disaccordo nei suoi confronti. Che Francesco riesca restare un uomo libero in Vaticano, è veramente un’impresa. Ma l’esistenza di un “potere gay onnipresente” in Vaticano mi sorprende e mi lascia perplesso.

I reazionari stanno vincendo ai vertici della Chiesa?

Spero di no. Aspetto da parte di Francesco delle iniziative che sorprenderanno. Francesco d’Assisi, di cui ha preso il nome, fu un riformatore radicale del Vangelo.

L’esistenza stessa della Chiesa cattolica è minacciata dalla crisi attuale?

La Chiesa cattolica non è chiamata a sparire, ma a rinascere. Gli sconvolgimenti che sta vivendo preparano questa difficile nascita. Le braci del Risorto non sono spente. La linfa dello Spirito santo continua ad irrigare il popolo di Dio. Sono felice di vivere quest’epoca che prepara una primavera alla Chiesa.

Perché non c’è più una voce forte che sostiene la parola della Chiesa, in Francia in particolare?

Attraversiamo una zona di turbolenze. In Francia in particolare. La parola è assente. Quando i gilet gialli hanno cominciato a scendere in piazza nel novembre scorso, avrei desiderato che una voce della Chiesa si facesse sentire per far brillare la giustizia, dato che l’ingiustizia sociale di cui soffriamo tutti e le disuguaglianze non smettono di scavare.

Ha sempre risentimento verso la Chiesa romana che l’ha scartata?

Non ho mai avuto risentimento verso la Chiesa romana. Per fortuna! Si vive male quando si ha risentimento nel cuore. Ho sofferto per una ferita di ingiustizia. Ma la Chiesa ha saputo aprirmi una strada che mi era sconosciuta per il Vangelo. Gliene sono riconoscente.

Se bastasse prendere una decisione importante per cambiare la Chiesa, quale sarebbe dal vostro punto di vista?

Sono consapevole che una decisione, per quanto importante, non potrebbe cambiare la Chiesa.  ne vorrebbero molte… Oso comunque proporne una. Nei paesi che risentono del desiderio di cambiare la Chiesa. Nei paesi che ne hanno la necessità, dovremmo poter chiamare donne e uomini di esperienza, sposati o no, che abbiano un lavoro, ad esercitare un ministero nella Chiesa. Non sono mai stato contrario ai preti sposati. Ma perché non cominciare a permettere questo accesso alle donne? Questi cambiamenti significativi dovrebbero essere fatti con l’accordo delle comunità e del vescovo, e per un certo periodo di tempo. Non si tratterebbe di aspettare dei candidati che si presentano, ma di prendere l’iniziativa di chiamarli in funzione dei bisogni della Chiesa.

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