Brindisi nella prima Guerra Mondiale (Il discorso svolto il 10 settembre scorso da Domenico Urgesi)

Chiarisco preliminarmente che questo intervento neanche lontanamente si prefigge  di essere esaustivo.

Mi limiterò, quindi, ad un semplice elenco di alcuni dei fatti salienti riguardanti il tema; e mi soffermerò su due avvenimenti.

Brindisi si segnala per i segg. motivi:

1-vede la rapida, benché tardiva, realizzazione della base navale, solo pochi anni prima dell’entrata in guerra;

2-diventa teatro di guerra, fin dal primo giorno, sul mare; e nei giorni immediatamente successivi, sulla terra, quando subisce i primi bombardamenti aerei;

3-reagisce alla minaccia aerea con la base idrovolanti;

4-diventa il baluardo alla marina austro-ungarica;

5-rappresenta uno dei principali momenti di collaborazione interforze ed inter-alleata.

All’entrata in guerra dell’Italia, la popolazione di Brindisi era di circa 26.000 persone, quella di un grosso paese, per lo più contadini, pescatori, commercianti. La guerra cambiò, ovviamente,  la vita di molti brindisini, ma cambiarono anche le attività lavorative. Prosperarono le attività legate alle vicende belliche; ma si ridusse il commercio estero, specie con il duplice impero Austro-ungarico. Il porto di Brindisi era stato il terminale italiano più importante del “Lloyd Austriaco” e del “Lloyd Triestino”, le due principali compagnie di navigazione austro-ungariche; quando iniziò la guerra le sedi brindisine furono chiuse. Prosperavano i fornai: bisognava dar da mangiare a migliaia di soldati (ricordiamo che era di stanza a Brindisi anche un grosso contingente di bersaglieri); e prosperava, quindi, il commercio della farina. La pesca, invece, era stata vietata, per ragioni di sicurezza, sia nel porto interno che in quello esterno.

Bisogna dire che la città di Brindisi non era preparata per la guerra, non era cioè una città dalle antiche e consolidate tradizioni militari marinare; tutt’altro. Si pensi che il castello era stato adibito a bagno penale per tutto l’800, e poi a carcere semplice fino al 1909. Solo nel 1905, con l’Amm. Candiani, dopo decenni di discussioni politiche e tecniche, ci si rese conto che per troppo tempo si era lasciata la supremazia nell'Adriatico alla marina austro-ungarica; e si cominciò a pensare a Brindisi, quale sede strategica per la marina militare italiana. E, nonostante l’Alleanza con l’Austria-Ungheria e la Germania, si corse rapidamente ai ripari, senza dar troppo nell’occhio. Nel frattempo, l’Amm.ne Comunale di Brindisi, pur preoccupata che l’uso del porto a scopi militari avrebbe potuto nuocere all’uso commerciale, espresse un parere favorevole dopo che, grazie all’intervento del deputato brindisino Pietro Chimienti, fu ricevuta dal presidente Giolitti. In quell’occasione, la delegazione brindisina ebbe rassicurazioni che la Marina Militare si sarebbe limitata a realizzare una base di rifornimento ed approvvigionamento della flotta operante nell’adriatico; e che il porto sarebbe stato, comunque, adeguatamente fortificato. Così, finalmente, dopo la decisiva relazione dell’Amm. Bettolo (nel 1909), ci si rese conto della necessità di adeguare il castello e lo stesso porto per le necessità conseguenti. E soltanto nel 1910, con il R.D. nr. 527, fu ufficializzato che a Brindisi era stato attribuito il ruolo di piazzaforte militare. Nei 5 anni seguenti, furono realizzati molti e importantissimi lavori: per adeguare i fondali, per bonificare le zone malariche, per stabilizzare i moli, per le condutture dell’acqua potabile, per i depositi del carburante, ecc.

Negli anni di guerra, la base arrivò ad ospitare una flotta di ben 80 imbarcazioni militari, compresa una squadra di sommergibili, e una di idrovolanti (tra i quali anche idrovolanti francesi).

Ma, se nelle alte sfere ci era voluto tanto, per convincersi dell’importanza strategica del porto di Brindisi, figuriamoci nella popolazione locale! Perciò, è necessario soffermarci brevemente su un episodio doloroso, ma essenziale, che segnò una svolta nella percezione di quella guerra.

Alle 8 del 27 settembre 1915, le solite attività mattiniere furono squarciate da un boato terribile. Una densa e alta colonna di fumo si levava dal porto medio; quando il fumo si diradò, la nave da battaglia “Benedetto Brin” non c’era più. Quello che ne restava era adagiato sui bassi fondali. Dalle navi vicine, ma soprattutto da quella francese Borée, che era la più prossima, partirono velocemente i soccorsi, per raccogliere i superstiti, per soccorrere i feriti.

Alla fine delle operazioni di salvataggio e recupero delle salme, si contarono i morti: 456 marinai e 21 ufficiali, tra cui lo stesso C.te della nave, il Cap. di Vascello Fara Forni; fu un grave disastro.

Ho voluto ricordare questo avvenimento tragico, perché con esso la popolazione non soltanto brindisina, ma della Provincia di Lecce, e di tutta la Puglia, prese viva consapevolezza della portata della Grande Guerra; essa non si svolgeva soltanto sulle montagne del Nord, ma anche nelle tranquille coste pugliesi.

  Non mi soffermerò sulle inchieste, sulle ipotesi delle cause dello scoppio, sui processi, sulle conclusioni, sulle condanne inflitte sbrigativamente ai presunti colpevoli di sabotaggio, che alla luce di approfondite analisi risultano errate; ne ho trattato ampiamente in una relazione, nel convegno svoltosi a Brindisi nel 2015, e recentemente pubblicata.

Pochi anni dopo la fine della guerra, il Comune di Brindisi deliberò di realizzare, in una piazza centrale di questa città, un monumento ai caduti della Brin. Ci fu uno scambio epistolare tra il Sindaco di Brindisi e l’Amm. Thaon di Revel, Ministro della Marina, che nel luglio del 1924 si oppose molto diplomaticamente a quell’obiettivo, proponendo che lo si erigesse non in una piazza, bensì nel porto esterno, in prossimità del luogo del disastro. La reticenza del Revel era dovuta, molto probabilmente, anche al fatto che egli conosceva bene i famosi documenti dei servizi segreti austriaci, trafugati a Zurigo dal servizio segreto della Marina Italiana, i quali confermavano che il disastro della Brin non era dipeso da sabotaggio, ma da altri fattori. Del monumento alla Brin non se ne fece più nulla.

L’episodio merita di essere ricordato anche per un altro motivo: perché in seguito ad esso, si realizzò a Brindisi un salto nella organizzazione dell’assistenza sanitaria, a partire dalla Croce Rossa che si installò presso l’albergo Internazionale; nacque anche un piccolo ospedale di marina, per impulso del prof. Angelo Titi. Nei paesi vicini, come a Mesagne, Francavilla Fontana e Lecce, vennero istituiti dei presidi ospedalieri militari.

Se un monumento ai caduti della Brin non fu mai fatto, una lapide, invece, fu posta sui muri  della capitaneria di porto, a ricordo di  un altro avvenimento che vide il porto di Brindisi al centro di un’operazione passata alla storia come “il salvataggio dell’esercito serbo”. Vediamola!

Essa recita:

DAL DICEMBRE MCMXV AL FEBBRAIO MCMXVI / LE NAVI D’ITALIA / CON 584 CROCIERE PROTESSERO / L’ESODO DELL’ESERCITO SERBO / E / CON 202 VIAGGI TRASSERO IN SALVO / 115.000 DEI 185.000 PROFUGHI / CHE DALLA OPPOSTA SPONDA TENDEVANO LA MANO.

(vedremo che questi numeri sono errati per difetto)

L’antefatto dell’operazione sta nella disfatta dell’esercito serbo, avvenuta nel  Novembre del 1915. A tale tragica sconfitta seguì, il 16 dicembre, l’SOS serbo agli alleati, con cui si chiedeva un immediato aiuto. Si trattava di salvare circa 400.000 persone, di cui 260.000 militari, il resto profughi civili, che fuggivano sia dall’avanzata austriaca che dalla ferocia bulgara. Come è stato osservato: «La rotta dei serbi si era ormai trasformata, più che nella ritirata di un esercito sconfitto, nella disperata marcia di un popolo verso la sopravvivenza». Le operazioni si svolsero con l'armata austriaca incombente, appena ritardata dal piccolo esercito montenegrino, che era supportato da un contingente italiano.

Le operazioni, come ricorda l’Amm. Thaon di Revel in una circostanziata relazione, furono realizzate in 4 fasi:

-La prima riguardava il Rifornimento di vettovaglie e munizioni all'Esercito serbo:

essa ebbe inizio il 22  novembre 1915, fu ultimata nel maggio 1916.

-La seconda fu l’Esodo dall’Albania dei resti dell'esercito serbo e montenegrino, nonché dei profughi e, infine, dei prigionieri austriaci: iniziata il 12  dicembre 1915, fu ultimata il 5 aprile 1916.

-La terza fase fu il Trasporto e rifornimento del Corpo di Spedizione Italiano in Albania: iniziato il 1°  dicembre 1915, continuò per tutta la guerra.

-La quarta fu lo Sgombero del Presidio Italiano da Durazzo a Valona: il 25 e 26 febbraio 1916.

In queste operazioni furono impiegati 45 piroscafi italiani, 25 francesi e 11 britannici; operarono inoltre, per i malati e i feriti, 5 navi-ospedale e 2 navi-ambulanza italiane, una nave-ospedale francese e una britannica. Di tali unità andarono perdute 6 italiane (2 delle quali piroscafi greci requisiti) e 2 francesi, quasi sempre a causa di mine.

Furono effettuati in totale 560 viaggi per trasporto di persone: 440 quelli italiani, 101 quelli francesi, 19 quelli britannici. Nel complesso furono trasferiti per mare 342.750 uomini (di cui 260.895 militari serbi dai porti albanesi a Corfù, più 80.000 prigionieri e profughi condotti in Italia e in Francia), 26.358 cavalli (10153 per l'Esercito serbo), 328 pezzi di artiglieria (68 serbi) e molte decine di migliaia di tonnellate di materiale bellico e civile.

Su un totale di 1159 missioni, la R. Marina Italiana ne eseguì 584 (4 con navi da battaglia, 106 con incrociatori ed esploratori, 270 con cacciatorpediniere, 63 con torpediniere, 141 con sommergibili), la Marina Francese 340, la Royal Navy 235. Nel corso delle operazioni la Marina italiana perse il cacciatorp. Intrepido e un dragamine, quella francese il cacciatorp. Renaudin e 2 smg.

I militari serbi e montenegrini vennero trasferiti a Corfù, per essere riorganizzati, sotto il comando generale della Francia, che aveva occupato preventivamente l’isola e che aveva il comando delle operazioni militari nel settore balcanico, alle quali diedero poi un contributo notevole.

A Brindisi, invece, furono sbarcati (e ospitati in varie sedi), i profughi civili che venivano poi trasportati in Francia, dove si era installato il governo serbo, con il re Pietro I, che era approdato a Brindisi il 24 dicembre 1915. Il 15 gennaio arrivò a Brindisi la regina del Montenegro, il 21 il re Nicola I. Tra Brindisi e Corfù faceva la spola il principe ereditario Alessandro III.

Sempre a Brindisi vennero temporaneamente trasportati i prigionieri austriaci (ben 23.000), ma vi facevano soltanto un breve scalo in porto, prima di essere inviati nelle prigioni dell’Asinara.

Mi pare che questa operazione di salvataggio sia la prima, in assoluto, di queste proporzioni, comparabile con il salvataggio dell’esercito britannico e parte di quello francese nell’operazione Dynamo della 2a G. M. (mag-giu 1940); in totale, dalla spiaggia di Dunquerque, furono salvati 338.000 militari, e trasportati in Inghilterra. In quell’occasione furono però persi tutti gli armamenti e le provviste. Fu un’operazione portentosa, condotta sotto i bombardamenti delle artiglierie e degli aerei tedeschi.

Ma... voglio ripetere i numeri dell’operazione di salvataggio dell’esercito serbo: 342.750 uomini (di cui 260.895 militari dai porti albanesi a Corfù, 23.000 prigionieri e circa 60.000 profughi), 26.358 cavalli (10153 per l'Esercito serbo), 328 pezzi di artiglieria (68 serbi) e oltre 20.000 tonnellate di materiale. Anche in questo caso, le operazioni furono condotte sotto i bombardamenti delle artiglierie austriache e le incursioni dei sommergibili austro-tedeschi.

Furono ben consapevoli di questo immane sforzo, non solo bellico, ma anche umanitario, sostenuto dalla base navale e dalla città di Brindisi, gli esponenti politici ed economici, in poche parole le classi dirigenti brindisine, quando nel 1924 chiesero che il monumento nazionale al marinaio fosse eretto proprio a Brindisi. I documenti di allora mettono in evidenza l’accento posto

proprio su quelle operazioni; specialmente la relazione svolta dal summenzionato prof. Angelo Titi che si ispirava a quel salvataggio e si richiamava al proclama della vittoria marinara emanato dal Grande ammiraglio Revel proprio da Brindisi E, oggi, ritengo che questo monumento sia ancora un valido esempio di memoria militare per la marina italiana, ma anche un fulgido simbolo di accoglienza civile e umanitaria.

Ma non posso concludere senza ricordare, almeno con un accenno, le operazioni continue che impegnarono per tre anni le forze navali alleate, per lo sbarramento del canale di Otranto, allo scopo di impedire alla flotta austro-ungarica di scorrazzare nel mediterraneo. Oltre a francesi e inglesi, ci fu anche un contingente australiano. In queste operazioni ci fu il forte contributo del porto di Otranto. Anche se con alterne vicende, quelle azioni furono un successo dal punto di vista strategico e ne va dato atto al comando italiano che, da Brindisi, aveva la responsabilità operativa della difesa del mar adriatico.

Domenico Urgesi

(Presidente della Società Storica di Terra d’Otranto)

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