Apriamo il dibattito sul Mannarino (Domenico Urgesi)

Adesso che disponiamo del pensiero del Mannarino su Mesagne e su quel mondo di 400 anni fa, da lui espresso nel manoscritto “Storia di Mesagne” ora pubblicato, penso che

sia maturo il tempo per un  dibattito su “ciò che è vivo e ciò che è morto” di questa opera, parafrasando una famosa espressione di Benedetto Croce a proposito della filosofia di Hegel.

Questo accenno al Croce – un filosofo, storico e letterato di incalcolabile valore – deve spingerci a non ridurre il pensiero del giovane (non aveva più di 28 anni quando scrisse quest’opera) Mannarino a puro localismo, o campanilismo; fare ciò sarebbe far torto anzitutto allo stesso Mannarino.   Il discorso del Nostro è, inoltre, illuminante non solo per ciò che dice esplicitamente, ma per quello che noi posteri possiamo leggere in controluce: un qualsiasi testo dice molto più di quello che vuol dire. Non mi soffermerò sugli aspetti teologici, né su quelli letterari; né sui moltissimi riferimenti alle antichità mesagnesi. Metterò in evidenza, delle sue frasi, da un lato ciò che ci avvicina, dall’altro lato ciò che ci allontana.

A-Ciò che ci avvicina:

1-per prima cosa il fatto che lui è stato il capostipite della mesagnesità, ossia l’inventore dei connotati identitari mesagnesi… basta leggerne i brani sulla forma del centro abitato a forma di cuore oppure sul castello, espressioni che sprizzano un profondo innamoramento per la sua città adottiva. Dopo di lui altri, quali Epifanio Ferdinando, il figlio Diego, ma con altre argomentazioni più fredde e distaccate, sosterranno perfino che il nome della città fosse Messapia e che nell’antichità fosse stata la capitale della dodecapoli messapica, ossia di tutti i Messapi, opinioni contraddette dalla ricerca storica e archeologica del ‘900, ma ancora vive nel Mavaro (fine ‘700) e nel Profilo (fine ‘800), ecc. Ma è stato lui il capostipite, pur senza saperlo.

2-poi, il continuo riferimento alla ricchezza e fertilità dell’agricoltura mesagnese, vista nelle sue varie tipologie, forse esagerate, ma tuttora persistenti.

B-Che cosa ci allontana:

1-innanzitutto, la modestia personale che lo impronta. Le sue affermazioni non sono frutto di una personale intuizione o di un suo personale sistema filosofico. Esse scaturiscono dai grandi Filosofi e dalle Sacre scritture, che cita continuamente.

2-inoltre, è chiaramente evidente la distanza che ci separa dal suo linguaggio.

3-ma, soprattutto, siamo lontani da quella sua visione, dall’unitarietà – e linearità – della sua visione del mondo; tenuta insieme dal continuo richiamo alla mitologia classica e alla sua confluenza nel grembo della teologia cristiana; che confluiscono a fare di quella mesagnese una comunità ideale.

C-Che cosa persiste

Quella sua concezione, filosofica, teologica – diciamolo – è stata sconfitta dall’illuminismo, dalla scienza, dal libero pensiero.

Ma, da un altro lato, le basi materiali (non tutte, ma buona parte) di quella concezione persistono nei fatti (nella struttura urbanistica, architettonica,  ecc.) e chi svolge la sua vita a Mesagne, la vive tutti i giorni; nel passare ogni giorno davanti alle chiese, nelle strade, davanti al castello, vero genius loci di questa città; e spesso senza neanche pensarci tanto, senza neanche saperlo.

E quindi mi pongo una domanda, da mesagnese, che attualizza il discorso del Mannarino: il castello, le chiese, i siti archeologici, i monumenti, in una parola “i nostri beni culturali”, che posto hanno nella nostra visione della comunità di Mesagne? ma anche del mondo?

Pensiamo, forse, che il nostro modo di pensare sia del tutto avulso da quello del Mannarino? E il suo riferimento ai colori? “la speranza che si figura nel verde; la vendetta nel vermiglio”, ecc. Basta questo per farci vedere quanto Mannarino sia vicino a noi, più di quanto possiamo immaginare. E a cosa rimandano questi accenni al significato dei colori, se non a visioni che affondano le radici in teorie ancora più antiche?

E ancora: il continuo rimando alla mitologia: i riferimenti mitologici non sono forse presenti nella nostra vita quotidiana? Quante volte leggiamo sui giornali parole come: Venere, Bacco, Ercole, Penelope, o espressioni come: “il tal dei tali ha fatto il volo di Icaro”, “quell’altro ha usato il cavallo di Troia”, “tizio re Mida” o “caio è stato colpito nel tallone di Achille”; oppure nel campo della meteorologia: Caronte, Minosse, ecc. Né deve sorprendere che la mitologia fosse presente in opere del 5-seicento: era stata sdoganata, nel ‘400,  da un personaggio come Marsilio Ficino.

Su ciò che ci allontana vorrei sottolineare questo: quante volte ricorre la parola io? “Io penso, secondo me…”. Nessuna, se non per ciò di cui egli è diretto testimone, da perfetto cronista. Si dovrebbe forse discutere sulla storicità del Mannarino, se egli sia uno storico oppure un cronista; ma qui vorrei mettere in risalto che nel ms. del Mannarino prevale il “noi”, ossia un fortissimo senso di comunità, quasi celestiale. Il ms., in definitiva, è una specie di fotografia idealizzata della comunità mesagnese di fine ‘500, una città ideale, piena di armonia tra la natura e le cose umane: da un lato la ricchezza dei giardini, dall’altro l’impianto stradale a stella, convergente nella piazza, ecc.

Ed è stridente la distanza tra la modestia del Mannarino e l’arroganza, l’intolleranza, il cinismo e l’egoismo oggi prevalenti; basta seguire solo un po’ le cronache odierne, oppure l’abuso dei mezzi di comunicazione (cosidetti social), perfino da parte di chi detiene il potere reale. Sembra quasi che il turbo-capitalismo della società opulenta odierna abbia innescato il turbo-egoismo. Certamente, ai tempi del Mannarino, l’egoismo era molto presente; ma si viveva in una società sostanzialmente povera, di sussistenza, il capitalismo stava ancora muovendo i primi passi.

Tuttavia, anche ai suoi tempi, i contrasti erano forti; ed erano veri conflitti, tra famiglie aristocratiche, tra dinastie, tra ceti. Il Mannarino preferisce tacere i contrasti reali esistenti nella città, fra i vari ceti, tra il Comune (allora si chiamava Università) ed il Marchese; contrasti e divisioni già presenti ai suoi tempi e che ci saranno nei secoli successivi al ‘500, come ad esempio quelli tra sanfedisti e giacobini alla fine del ‘700, oppure tra carbonari e legittimisti nel primo ‘800, e poi tra monarchici e repubblicani nel secondo ‘800, ecc.

Mannarino, in questo ms., è teso ad evidenziare una presunta sintonia (ideale o auspicata) tra il mondo terreno ed il mondo celeste. In questo c’è una distanza incolmabile tra lui e noi.

Ma non vorrei essere frainteso: nessuna nostalgia per quel tipo di comunità: era un mondo in cui i ritmi erano scanditi dal suono del campanile, era un tipo di società sostanzialmente omologata ad un unico modello di pensiero; ma il desiderio di comunità, e il senso di pace e di naturale, e lineare, svolgersi della vita, espressi dal Mannarino, non possono che essere condivisi ed auspicabili ancora oggi.

Vorrei concludere con un breve accenno al posto che occupa Mannarino nella storiografia mesagnese. Egli è il primo, il più antico, che si conosca; leggermente più antichi sono il Riccio ed il Moricino; sul primo non si conosce molto, sul secondo qualcosa è stata fatta, ma si deve continuare. Quanto ai Ferdinando, ci stiamo lavorando, ne riparleremo fra un anno o anche meno, nell’ambito di un progetto di History Digital Library, che sta portando avanti la Sezione brindisina della Società di Storia Patria, dal quale potrebbe trarre qualche spunto il progetto di Community Library di Mesagne.

Quindi, il Mannarino, pur non essendo poi stato il modello di base per gli storici mesagnesi successivi, và letto e studiato per la fotografia concreta e filosofica che ci ha trasmesso; andrebbe consigliato ai licei come testo sussidiario e antologico di filosofia, letteratura, teologia, astrologia, e storia, tutte materie applicate ad una concreta realtà, quella mesagnese.

C’è ancora da indagare, infine, sul posto che occupa la storiografia del Mannarino nel panorama delle storie municipali di Terra d’Otranto. Qui si aprono delle prospettive di studio di un certo peso; ci auguriamo tutti – penso – di aver contribuito, con questa pubblicazione, a fornire un ulteriore tassello anche per questa impresa.

Domenico Urgesi (Presidente della Società Storica di Terra d'Otranto).

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