Manifesto quattro ottobre: Una lettera sovversiva.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo dall'Associazione "Quattro ottobre" una mail con un comunicato dal titolo "Una lettera sovversiva".

 

Antonio Greco

Giovanni Miccoli, scomparso da poco e tra i più efficaci interpreti del priore di Barbiana, ha scritto: “Parlare o scrivere di don Milani è estremamente difficile. C’è il pericolo di appiattirne l’immagine, di semplificarne i contorni, assimilandolo frettolosamente all’una o all’altra delle grandi contrapposizioni che segnavano allora, e in parte segnano ancora oggi, la società italiana”.

Nell’anno appena trascorso, anniversario del 50° della morte di don Milani, non è difficile verificare la giustezza della osservazione di Miccoli. Dall’appiattimento dell’immagine della personalità di don Milani e dalla semplificazione dei contorni della sua opera si distacca nettamente il testo di Vanessa Roghi, La Lettera sovversiva, da don Milani a De Mauro, il potere delle parole, Editori Laterza, 2017.Vanessa Roghi è una storica. Insegna storia contemporanea all’Università Roma Tre. E’ anche autrice di un documentario sul priore di Barbiana (La-Grande-Storia---Don-Milani-il-dovere-di-non-obbedire) che è stato trasmesso a giugno scorso da Rai 3.

Lettera a una professoressa, scritta insieme dagli alunni della scuola di Barbiana e da don Milani, è stata pubblicata un mese prima della morte del priore. Con grande rigore storico e con uno stile chiaro, lineare e coinvolgente, il testo di Vanessa Roghi ci è sembrato, nel dibattito culturale odierno, punto essenziale per capire non solo don Milani ma anche il ’68, la scuola di ieri e di oggi, le nuove generazioni, il loro presente e il loro futuro.

Questa non è una recensione del testo della Roghi, che consigliamo caldamente di leggere. Riportiamo solo la brevissima cronaca di un incontro e una piccolissima parte di un interessante domanda-risposta tra alunni e la professoressa Roghi. Manifesto4ottobre, dopo aver letto il testo di Roghi, ha ritenuto di farlo leggere ad alcune classi del Liceo “Palumbo” di Brindisi e Latiano e della Scuola Media Salvemini di Brindisi.

Per introdurre alunni e insegnanti a questa lettura, il 19 gennaio 2018, è intervenuta la stessa autrice, la prof. Vanessa Roghi. In una assemblea molto partecipata la Roghi ha risposto ad alcune domande degli alunni, tutte molto interessanti. Per ragioni di spazio riportiamo una sola domanda con la relativa risposta della professoressa.

Domanda dello studente Angelo Saponaro:

“Nel capitolo 7 del suo testo (La Lettera sovversiva), dal titolo La Scuola Buona (non quella di Renzi), è riportata la questione circa la esportabilità del modello della scuola di Barbiana. Ci si chiede se è possibile riportare l’esperienza di Barbiana in una periferia urbana degradata invece che in una piccola comunità di montagna. Nel 1973, in piena società consumistica, in un articolo sul Tempo, Pasolini sosteneva che don Milani avrebbe visto la sua meravigliosa opera organizzativa scolastica come un conato inutile, divenuto anacronistico. La Lettera è del 1967. Pasolini, che pure era un grande estimatore della Lettera, aveva già dato, nel 1962 con il suo scritto Mamma Roma, una risposta negativa alla esportabilità del modello scolastico di Barbiana. Il protagonista di Mamma Roma, infatti, rifiuta la scuola perché rimasto travolto dalla società consumistica.

Dopo questa ampia premessa Le chiedo: non ritiene che sia la mancanza di valori che abita le periferie urbane della nostra società a rendere Barbiana un conato inutile? E che abbia ragione Pasolini?

Risposta di Vanessa Roghi*:

No. Non sono d’accordo con Pasolini.

Il punto di vista di Pasolini è quello di chi pensa che esiste un mondo incontaminato: quello dei contadini, dell’Italia non consumistica e industriale. I ragazzi di Barbiana sono per Pasolini l’ultimo conato di un mondo contadino, dopo del quale non vi sarà più niente. Non sono d’accordo con Pasolini sulla sua convinzione che la società rurale è pura e, invece, quella industriale-consumistica è impura. Perché? La società rurale era una società profondamente ingiusta: le donne non andavano a scuola ed erano ghettizzate in famiglia; nella famiglia vi erano rapporti di forza piuttosto violenti; c’era una gerarchia che non si poteva mettere in discussione. Che cosa ha liberato gli esseri umani da questo modello di famiglia? La società democratica e la scuola. Uscire di casa, sentirsi uguali e prendere la parola: solo la scuola ha fatto questo. E la scuola democratica e inclusiva è un prodotto di una società non contadina. Per una società industriale, nelle fabbriche servivano persone istruite. Le persone hanno chiesto di votare e per votare bisogna essere istruiti.

Poco tempo fa mi è stato chiesto: chi butteresti dalla torre: don Milani o Pasolini? Tra i due scelgo Pasolini. Spiego il perché. Di don Milani c’è una lezione bellissima sul ballo. Le ragazze di Vicchio chiedono di organizzare un veglione per ballare e l’unico posto dove possono ballare è la scuola. Adele Corradi, una loro insegnante, le porta a parlare con don Milani, il quale dice loro: perché volete ballare a scuola, perché volete perdere tempo in questo modo?

Non lo fa come avrebbe fatto Pasolini dicendo loro: è meglio quel mondo dove vivevate prima, rimpiangendo qualcosa. Don Milani sa che quel mondo non è meglio, che quel mondo ha impedito loro di andare a scuola. Quel mondo non dev’essere rimpianto. Il punto di vista di don Milani non è quello di dire: “perdete tempo” ma quello di dire: “pensate avanti”, a quando una vostra compagna lavorerà con voi dentro una fabbrica e quella verrà licenziata. Voi che farete? Prenderete la sua parte o starete zitte? E come imparate a prendere la sua parte? Solo studiando da oggi. Non perdendo tempo ma impegnandosi a sviluppare quella che è la politica.

Vi rendete conto di come è diverso il punto di vista di don Milani da quello di Pasolini? Don Milani non guarda indietro, guarda avanti: quando nei prossimi anni le ragazze saranno in città a lavorare, avranno la capacità di difendere i propri diritti? C’è una radicale differenza tra don Milani e Pasolini perché Pasolini è sempre con un occhio rivolto al passato, don Milani non vagheggia mai il passato come un mondo puro e incontaminato perché sa benissimo che non esiste. Per don Milani non bisogna mai perdere il punto di vista dell’ultimo. Il mondo sarà migliore quando l’ultimo può prendere la scuola”. *Il testo è tratto da un’audioregistrazione e non è stato rivisto dall’autrice.

Per concludere questi brevi appunti, riportiamo due citazioni.

La prima, da un altro testo importante di don Milani:

“A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola. E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola buona. La scuola è diversa dall’aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi” (Don Lorenzo Milani, Lettera ai giudici).

La seconda dal testo di Vanessa Roghi:

“Mia nonna, la mamma di mio padre, era una contadina. Andava a scuola scalza per non consumare le suole delle scarpe. E’ arrivata fino alla seconda elementare perché poi doveva guardare le oche. Mia madre ha frequentato l’istituto professionale, era figlia di un manovale e di una lavandaia, a scuola era sempre nell’ultimo banco. Io ho portato a termine un dottorato di ricerca. Nel giro di tre generazioni familiari il capitale culturale ha smesso di essere trasmesso per via ereditaria, e la scuola è stata la prima attrice sociale che si è incaricata di fare tutto questo. Le mie maestre, le mie professoresse, hanno creduto nel fatto che bisognasse avere tutti eguali posizioni di partenza, eppure mi hanno insegnato la grammatica, le date, Dante e Manzoni (che, come don Milano, amo tanto). Ma allora perché oggi alcuni professori e alcune professoresse sono tornati a rimpiangere la scuola di 50 anni fa, quella che metteva mia madre all’ultimo banco? Il punto vero, io credo, è che si è fatto loro credere che le conquiste di un secolo di movimenti educativi di “apertura democratica e promozione sociale” hanno cancellato, nei fatti, il loro ruolo di intellettuali trasformandoli in burocrati, la scuola come avanguardia esterna rispetto alla comunità, il professore come entità tangibile e incontestabile. Lo scalino in legno sul quale ergersi.

Ma quanti sono, veramente, i professori e le professoresse che vorrebbero tornare alla scuola prima della Lettera?” (da La lettera sovversiva, p. 204 – 205).

La risposta ai lettori.

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