Grecia. Italia. Mesagne (di Michele Graduata).

Moltissimi commentatori politici, analizzando il risultato del referendum in Grecia, hanno parlato di vittoria della democrazia.

Dopo sei anni di sacrifici per risanare i debiti accumulati dalle banche (soprattutto Tedesche e Francesi), i Greci non hanno avuto paura: si sono ripresa la parola ed hanno detto: No alle politiche di austerità imposte dalla Troika. Qual è il senso di questo successo? Perché in tanti paesi europei molti leggono questa vittoria della democrazia come un pericolo per il destino dell’Europa ed altri come il primo segnale positivo di una inversione di tendenza? Quali le possibili ripercussioni nel nostro paese?

Per rispondere a queste domande bisogna riandare alla torsione in senso elitario che la democrazia ha subito nei paesi occidentali, compreso il nostro, a partire dalla metà degli anni Settanta. Storicamente la democrazia, in base ai rapporti di forza esistenti in ogni singolo paese, si è sempre presentata con un doppio volto: o come pratica di governo riservato a pochi, o come progetto di liberazione portato avanti da molti. Dopo la democrazia negata durante il fascismo, per la prima volta, l’Italia sperimentò una nuova forma di democrazia allargata che favorì la partecipazione al voto di oltre il 90% degli elettori, la militanza alla vita civile di milioni di iscritti ai partiti e le consentì di essere annoverata fra le più grandi potenze del mondo.

Nel corso degli anni Settanta, si incaricò la Trilaterale, un club esclusivo di finanzieri, banchieri e uomini d’affari, guidati dal miliardario americano Rochefeller, di offrire alla Destra le armi per una rivoluzione culturale e politica. Dopo aver affidato a tre intellettuali il compito di redigere un rapporto volto alla costruzione di un nuovo ordine mondiale, Huntington, Crozier e Joji Watanuki risposero con questa analisi: “In un’epoca di grande diffusione dell’istruzione secondaria e universitaria, di invasione dei mezzi di comunicazione di massa….questo sviluppo rappresenta per il sistema democratico una minaccia altrettanto grave, almeno potenzialmente di quella posta in passato dai gruppi aristocratici, dai movimenti fascisti e dai partiti comunisti”.

Attraverso questo progetto, per la prima volta, il denaro scese in campo in prima persona e individuò nel patrimonio culturale accumulato dalla sinistra il nemico da abbattere. Da quel momento la democrazia dei partiti, allargata, partecipata, cominciò ad essere accusata di essere un eccesso insopportabile e, al suo posto, si diffuse la democrazia delle elites che si fonda sul protagonismo di pochi e la rassegnazione di molti. Dopo vari tentativi falliti in Italia (maggioranze silenziose, colpi di stato, terrorismo ecc.), nel 1993, si incaricò la Confindustria di cavalcare la rivoluzione neoliberista, rilanciando in grande stile l’attacco contro il finanziamento pubblico dei partiti e il sistema proporzionale, a favore di quello maggioritario, promuovendo la raccolta di firme per la preferenza unica. Attraverso questa riforma elettorale si puntò a verticalizzare il Potere trasferendolo dal Parlamento al Governo e a sostituire i partiti di massa con le caste del denaro e del sapere tecnico che, da quel momento, regolarmente si autocandidano a svolgere una missione salvifica.

Contro questa deriva antidemocratica Tsipras ha chiamato a raccolta il popolo greco, invitandolo a non avere paura, perché il denaro è ovunque meschino e vile, non discute e non argomenta, sa solo comprare e corrompere; se non ci riesce, utilizza i suoi servi, per tentare di delegittimare e intimidire.

In presenza di questa profonda asimmetria tra la potenza del denaro e la debolezza della politica, da oltre trent’anni, la sinistra europea e il centrosinistra italiano, in assenza di un pensiero critico, ogni tanto vincono o perdono una elezione, ma regolarmente perdono egemonia sul piano politico e diritti sul piano sociale. In questo contesto generale, io penso vada letta la vicenda italiana e quella mesagnese, un paese che, dopo decenni durante i quali ha sfornato intere classi dirigenti di quasi tutti i partiti, non conta più nulla in provincia di Brindisi, la provincia di Brindisi non conta nulla in Puglia, le regioni meridionali non contano nulla in Italia, l’Italia non conta nulla in Europa.

In presenza di questa sfida internazionale lanciata dalla Destra sul piano culturale e democratico, è in grado l’inedito cartello elettorale mesagnese di dare un contributo per consolidare la democrazia, rigenerare la sinistra, riavvicinare gli elettori alla vita democratica, presentarsi come modello, come prospettiva per le nuove generazioni, oppure è una pericolosa scorciatoia destinata ad accentuare il distacco dalla politica? Quando la politica si riduce a inciucio, furbizia, il più furbo incontrerà sempre sulla sua strada uno ancora più furbo e così all’infinito fino a quando la democrazia non si trasformerà in uno scontro fra briganti. Non si tratta di pregiudizi verso le persone, ma di giudizi verso un progetto politico.

Tutti i movimenti populisti costruiscono le loro fortune elettorali in nome del popolo sovrano e contro i partiti. L’esperienza storica, però, dimostra che il popolo scompare subito dopo per essere sostituito da cerchi magici e i partiti, in seguito, ricompaiono sotto vesti padronali.

Si parla tanto di merito nella selezione degli amministratori: si tratta di una qualità che non basta possedere, ma necessita anche di essere riconosciuta per non rimanere sprecata. Esistono due metodi per valorizzarlo: uno oggettivo, come per esempio la scelta che poggia sull’etica della responsabilità del popolo sovrano che liberamente esprime le sue preferenze e l’altro soggettivo che, invece, si affida all’etica della convinzione di pochi e affossa la democrazia riducendola ad un gioco inutile. Anche in questo caso non si tratta di pregiudizi, ma di valutazioni politiche. Ed ancora: l’avversione contro i partiti è imperitura oppure è momentanea in attesa di ereditarne qualcuno per disposizione testamentaria e sulla base di accordi di vertice condotte all’oscuro e contro la volontà del popolo mesagnese?

E’ in grado chi ha ideato, promosso e realizzato questo progetto mesagnese di uscire finalmente da un’ingiustificata afasia, andare oltre il meschino mi piace su Facebook e motivare, in un discorso compiuto, le sue ragioni politiche?

In assenza, come giustamente denunciano in un loro documento dai giovani del Pd, di una iniziativa condivisa e coraggiosa del governo italiano e della sinistra europea contro un diffusa deriva antidemocratica che ha coinvolto l’intero continente, il compito delle nuove generazioni è quello di mettere in campo la loro intelligenza, la loro passione civile, per riprendersi tutto quello che viene loro tolto ogni giorno: il lavoro, la dignità, il futuro, la parola. Si tratta di un lavoro immane, perché bisogna organizzare una riscossa culturale e politica partendo dalla realtà per trasformarla e non arrendendosi ad essa. In discussione, infatti, insieme al destino della Grecia, vi è anche quello delle future generazioni e della democrazia italiana ed europea.

Michele Graduata

12 Luglio 2015

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