Un nostro concittadino prematuramente scomparso 38 anni fa, scriveva in merito alla rieducazione ed al reinserimento dei detenuti .....

Abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo una nota del nostro amico Vito De Guido che ha trovato nelle carte di famiglia un lavoro dell’indimenticabile fratello Dino, nostro caro ed indimenticabile amico che riguarda il contesto carcerario e la rieducazione. Lo pubblichiamo volentieri con la breve nota di introduzione di Vito. Lasciamo, ai nostri lettori, come sempre la libertà del giudizio buono o cattivo che sia!

A distanza di  43 anni, alla luce degli ultimi accadimenti romani, sono andato  a rileggere la relazione di Dino che Ti invio in allegato che mi ha indotto a  una profonda riflessione. 43 anni inconcludenti in merito alla rieducazione  e  al reinserimento dei detenuti  e quindi la scottante consapevolezza del  fallimento del sistema carcerario italiano che, paradossalmente, reintegra nel  "consorzio civile" ex detenuti che, collusi con la ignobile politica italiana,  costituiscono una perfetta organizzazione criminale che, con meccanismi  diabolici, sottrae risorse pubbliche contribuendo al dissesto finanziario della  nostra amata Italia democratica. Svegliamoci dal torpore!  Un abbraccio. Vito

Breve relazione con notazioni critiche sulle visite di studio effettuate presso alcuni Istituti penitenziari italiani organizzate dall’Istituto di Diritto Penale dell’Università degli Studi di Bari nell’anno 1971

 

Affrontando il problema della finalità rieducativa della pena, secondo il dettato dell’Art. 27 Cost., ci sembra doveroso sottolineare che, per quanto riguarda i minori, più che di “rieducazione giuridica” si debba parlare di educazione vera e propria. E’ chiaro che il trattamento dell’Istituto minorile deve supplire alle carenze ambientali ed affettive che hanno determinato la reazione antisociale dei ragazzi; il Centro dei Colli Aminei ci è parso sufficientemente idoneo a tal fine. Fra gli aspetti positivi va sottolineato che l’apertura delle scuole interne all’Istituto anche a ragazzi esterni, consente una comunicazione di esperienza con soggetti provenienti da ambienti sociali normali estremamente utile. Infatti il ragazzo è posto in una posizione psicologica di uguaglianza che evita il formarsi di deleteri complessi di inferiorità e i tentativi di autoisolamento, mentre favorisce la partecipazione ad una vita comunitaria allargata all’esterno.

Tale sistema costituisce un elemento assai incisivo ed efficace per operare il riadattamento sociale del ragazzo ed il suo futuro definitivo reinserimento nella società.

Terminato il periodo di permanenza nell’Istituto, il ragazzo ritorna in seno alla famiglia o, se non ne ha, viene affidato ad istituti specializzati preposti a tale fine. Una figura di assoluta preminenza nel processo di rieducazione dei minori è data dall’assistente sociale che segue il ragazzo per un certo periodo di tempo fuori dall’istituto. Su questa circostanza è doveroso osservare che l’assistente sociale interviene soltanto alla fine del trattamento mentre, a nostro parere, sarebbe più proficua la presenza continuata al Centro per  consentirgli di conoscere e penetrare efficacemente la psicologia dei ragazzi che gli sono affidati ed operare fin dall’inizio una indispensabile intermediazione con la famiglia in modo che questa sia predisposta a riaccogliere il ragazzo nel migliore dei modi.

Per quanto attiene ai manicomi criminali si deve in via preliminare ricordare che gli artt. 88 e 222 del nostro Codice Penale dichiarano gli infermi totali di mente non imputabili e dispongono per essi il ricovero in manicomi giudiziari per scontare una misura di sicurezza determinata dalla legge solo nel minimo.

L’aspetto principale che vogliamo sottolineare riguarda la differenza di trattamento fra il malato di mente che commette un atto criminoso e l’internato in un manicomio civile.

Allo stato delle attuali conoscenze medico-scientifiche ci sembra di potere affermare che non vi è una sostanziale differenza tra le due categorie di malati delle quali discorriamo. L’atto criminoso, infatti, commesso da un pazzo non è che una manifestazione, un sintomo della sua malattia.

In relazione allo stato clinico degli infermi di mente, si ricava l’insufficienza degli istituti riservati a questa categoria di malati. Il malato di mente che ha delinquito deve essere soggetto ad un trattamento psichiatrico che tenga pure conto, ma ciò al solo fine di individuare la più idonea terapia, della manifestazione concreta della sua malattia, ma non si può per ragioni di mera sicurezza sociale, privare il paziente delle cure dovute alla sua condizione patologica. E’ universalmente riconosciuto che i mezzi di costrizione, come quelli che spesso vengono usati, non aiutano certo l’infermo di mente a ritrovare la via della ragione. La situazione, quindi, che a questo proposito si verifica nei manicomi criminali, è molte volte l’opposto di ciò che sarebbe auspicabile.

La carenza di personale specializzato nella cura e nella assistenza di questi pazienti,  nonché l’assoluta deficienza di strutture ed infrastrutture atte a facilitare l’opera di recupero dei malati di mente, contrasta con le moderne teorie cliniche.

E’ necessario , perciò, eliminare il persistere di tale intollerabile situazione e creare strumenti idonei al recupero dell’internato sotto il profilo clinico ed al suo reinserimento sociale.

Potrebbe, come ipotesi, prospettarsi la soppressione di tali Istituti,  e la realizzazione nei manicomi civili , di sezioni speciali riservate agli infermi di mente che abbiano delinquito.

E’ chiaro, però, che tali innovazioni non possono prescindere dalla considerazione del fondamentale problema della difesa sociale, che si presenta soprattutto per quegli infermi già rivelatisi socialmente pericolosi. Quando si auspica l’identità di trattamento per tutti i malati di mente, ci si riferisce esclusivamente all’aspetto clinico ed umano ed ai mezzi e alle attrezzature ad esso preposti; non si vuole cioè  escludere che, ove necessario, e per fini prettamente precauzionali, possa attuarsi per i “pazzi-criminali” un trattamento con modalità particolari quali, come ipotesi limite, l’isolamento.

Ci pare infine che il parere del collegio medico debba avere un valore preminente rispetto all’intervento del magistrato in ordine alla dimissione del soggetto, una volta constatata l’avvenuta guarigione.

E’ da auspicare che il parere favorevole dei clinici consenta, con maggiore snellezza, la dimissione del soggetto anche prima del termine prefissato dall’applicazione della misura di sicurezza.

Per quanto riguarda gli Istituti di Orvieto e di Rebibbia occorre rilevare che quello di Orvieto è una casa di rieducazione per detenuti condannati ad un periodo di detenzione non superiore a dieci anni e non inferiore a due, i quali però devono aver superato l’età di 25 anni. In questo istituto i detenuti sono avviati al lavoro senza una preventiva terapia sorretta da un esame della loro personalità e dei fattori che li hanno condotti al crimine.

Potremmo forse asserire che ad Orvieto si attua solo il principio di umanizzazione della pena e non già quello della rieducazione.

L’istituto di Rebibbia, invece, è fornito di un centro di osservazione dove i detenuti vengono sottoposti ad esami attitudinali e psicologici idonei a studiarne la personalità. Al centro di osservazione si acquisiscono tutti quei dati che possono poi consentire un trattamento individualizzato che conduce alla rieducazione del reo così come prescritto dalla carta costituzionale.

A Rebibbia si dà al detenuto la possibilità di esplicare le proprie attività ricreative e lavorative ed esprimere la propria personalità con una vita di gruppo ed una vita fuori dal gruppo.

La differenza con l’Istituto di riadattamento sociale di Orvieto consiste nel fatto che in quest’ultimo, al contrario di Rebibbia, mancano i mezzi per un articolato e diffuso esame dell’individuo in tutti gli aspetti della sua personalità.

Solo con adeguati mezzi, infatti, si può ottenere un effettivo reinserimento nella società e soltanto con un conseguente trattamento si può sperare di rieducare chi ha delinquito.

Non crediamo, però, che solo con il lavoro si possa rieducare un individuo in quanto occorrono strumenti idonei a far leva soprattutto sulla coscienza giuridica del soggetto. Il lavoro, in particolare se considerato fine a se stesso, come mero strumento di produzione dei beni, certo non è da solo sufficiente ad operare la rieducazione del condannato; occorre soprattutto incidere sulla sua soggettività facendogli ritrovare il senso e la misura dei valori obliati e violati.

Ben vengano, quindi, attrezzature sportive, celle più confortevoli e personalizzate, centri di cultura e di attività ed in particolare un interscambio di esperienze fra gli ambienti universitari e gli istituti di rieducazione, così come è avvenuto, in un singolare connubio, a Rebibbia.

Le innovazioni che si auspicano non debbono costituire inutile pietismo, o peggio, incentivo alla criminalità, bensì debbono essere strumenti per il raggiungimento di un grande obiettivo: salvare l’uomo agendo sulla sua spiritualità.

Sul tema dell’individualizzazione della pena la parte più avanzata della dottrina afferma come necessaria una sintesi dei due momenti della comminatoria della pena e del trattamento.

Si sostiene, infatti, che il magistrato una volta accertata la responsabilità penale dell’imputato, nel determinare il quantum della sanzione, debba avvalersi della collaborazione e della consulenza di una équipe di tecnici che gli sottoponga dati sicuri sulla personalità del soggetto. La pena verrebbe così  comminata tenendo presente non solo l’obiettività del fatto ma anche i dati soggettivi così acquisiti. Una tale ipotesi bene realizzerebbe l’enunciato dell’art. 133 c.p. ;  questa norma, infatti, è attualmente di difficile esplicazione nella sua interezza, e comunque rende  necessaria una profonda revisione del codice di procedura penale.

Questa teoria, così brevemente enunciata, per noi eccellente dal punto di vista teorico, comporterebbe non poche difficoltà nella sua pratica attuazione; non ultima una eccessiva lunghezza dell’iter giudiziario; il che lederebbe gli interessi dell’imputato.

Fra le due estreme tendenze, la più innovatrice e quella tradizionale per la quale è valido l’attuale sistema normativo, si pone una terza tesi che riteniamo più accoglibile.

Si ritiene che il momento della comminatoria della pena debba rimanere di esclusiva competenza magistratuale a tutela di tutte le garanzie giurisdizionali. D’altra parte si auspica una analisi attenta e scrupolosa del detenuto allo scopo di definire un programma correzionale che tenga conto delle peculiari caratteristiche del soggetto.

La possibilità di compiere un tale programma, cosa oggi realizzabile esclusivamente nell’Istituto di Rebibbia, presuppone una totale ristrutturazione degli istituti di pena.

Alla luce dei risultati, delle esperienze compiute e di quanto si è potuto osservare dalle visite di studio effettuate presso manicomi criminali ed istituti carcerari, è fondamentale porre l’attenzione sulla figura del detenuto e dell’internato per svolgere alcune considerazioni.

Il detenuto è per noi un essere umano con tutti i suoi diritti, opportunamente limitati nel loro concreto esercizio, i suoi doveri, i suoi ideali, le sue esperienze, le sue speranze e i suoi timori; la fase di detenzione in un carcere o in un manicomio non deve costituire un ribaltamento o la negazione addirittura dei valori umani sociali e morali più originari e inviolabili.

Abbiamo constatato con amarezza che il detenuto, allo stato, non è efficacemente e sufficientemente tutelato nei suoi diritti fondamentali che spesso vengono ignorati o, peggio, violentati.

Una parola, infine, sul tema fondamentale della individuazione delle cause della criminalità. Ricercare nei fenomeni endogeni o esogeni l’arché, la matrice del crimine significa a volte travisare la questione imbarcandosi in una indagine non già sulle cause ma più facilmente sui motivi della criminalità.

Le condizioni patologiche endogene svolgono, nella maggior parte dei casi, una funzione sì determinate ma pur sempre limitata al carattere della complementarietà e della sussidiarietà: giammai possono assurgere a canoni fondamentali su cui fondare la genesi della criminalità.

Pur prendendo atto della realtà e della influenza di quei fattori,  l’uomo per noi resta sempre il valore supremo, nel senso che gli riconosciamo una personalità libera e autodeterminantesi, una capacità di scelta e di valutazione.

E proprio su questa linea ci pare si sia posto il costituente allorchè impone che il fine della pena debba consistere nella rieducazione del condannato intesa quale formazione o riacquisizione nel soggetto della coscienza di quei valori giuridici calpestati e violati col delitto.

Se non ritenessimo valide queste premesse, il soggetto finirebbe col dover essere considerato alla stregua di una macchina da programmare debitamente, un automa senza alcuna coscienza di se stesso e degli altri, un essere con una personalità impostagli, a-personale, se ci si consente il termine.

Il ritorno effettivo e fattivo alla società, viceversa, deve rappresentare per l’ex detenuto la profonda recezione di quei valori che primieramente egli aveva rigettato e negato.

Il reinserimento sociale deve segnare un momento di vitale importanza: la fase ultima di un processo di responsabilizzazione. In sostanza, in tanto si potrà parlare di una positiva profilassi, in quanto sarà dato constatare gli esiti positivi del processo di rieducazione la cui verifica si tradurrà nel fatto che il detenuto ritornato nella società abbia affrontato l’impatto col mondo esterno col minimo attrito.

L’uomo, quindi, quale complessa entità psicofisica, non può essere assoggettato a qualsivoglia schema precostituito, ma deve essere considerato, pur sempre, come un essere capace di esprimersi nelle forme più poliedriche per cui anche con riferimento alla realtà penitenziaria egli va considerato nella sua “globalità” ai fini della realizzazione del processo rieducativo.

 Ottobre 1971                                                                          

Leonardo De Guido

 

 

 

 

 

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