Per la privacy dell'oblio riportiamo la risposta al quesito chiesto all'avv. Giuseppe Rizzo del foro di Lecce.

Egregio Direttore,

 

riscontro alla Vostra pregiata richiesta di parere legale in merito al comportamento da assumere dinanzi alle istanze di cancellazione delle notizie di cronaca pubblicate sulla testata giornalistica «www.mesagne.net» risalenti al passato.

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”

Questo è quanto prevede l’art. 21 della nostra Costituzione a cui promana il diritto di cronaca.

La cronaca è la narrazione dei fatti rivolta alla pluralità di persone considerate nel loro insieme; la sua preminente, se non addirittura esclusiva, funzione costituzionalmente garantita è quella di informare la collettività, intesa nell’accezione di popolo “sovrano” per individuato nell’art. 1 della Costituzione nell’ambito della delega della gestione della res publica. Infatti, la cronaca, come raccolta di informazioni e loro diffusione, consente al popolo un corretto e consapevole esercizio della “sovranità” di cui al richiamato art. 1 Cost.

Strettamente connesso al diritto di cronaca è il diritto all’informazione. È evidente, infatti, che la collettività non si interessa solo ed esclusivamente della res pubblica e che innumerevoli argomenti e questioni destano interesse collettivo e diffuso.

Sotto tale profilo la collettività vanta un vero e proprio diritto alla informazione, anch’esso tutelato dalla Costituzione al fine di favorire la crescita culturale e intellettuale.

Specularmente a tali principi costituzionalmente garantiti, si pone il dovere di informazione, certamente non in capo al singolo giornalista o editore, ma solo per quei soggetti che esercitano un servizio dichiarato pubblico dalla legge, perché inteso in favore della collettività: secondo quanto previsto dall’art. 7 co. 2 lett. b) del d. Lgs. n. 177/2005 -T.U. della radiotelevisione- (e prima dall’art. 20 co. 6 della legge n. 223/1990 -legge Mammì- e dalla legge n. 112/2004 -legge Gasparri-), i soggetti titolari di concessione per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale sono tenuti a trasmettere quotidianamente telegiornali o giornali radio.

Mentre, corre l’obbligo di precisare che la legge sulla stampa n. 47/1948 non prevede alcun obbligo di informazione analogo a quello dei concessionari radiotelevisivi nazionali.

I limiti alla libertà di manifestazione del pensiero sono rappresentati dal rispetto dei diritti inviolabili riconosciuti all’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità di cui all’art. 2 Cost.: onore, decoro, reputazione, ovvero diritti della persona che l’Ordinamento giuridico tutela specificatamente con la previsione di reati come l’ingiuria (art. 594 c.p.) e la diffamazione (art. 595 c.p.).

Ma se nel conflitto tra libertà di manifestazione del pensiero e diritto inviolabile è sempre quest’ultimo a prevalere, così non è nel caso del diritto di cronaca che, per quanto sostenuto in precedenza, gode di una tutela rafforzata e prevale sul diritto del singolo individuo. In ipotesi come quella di che trattasi, non si configurano il reato di diffamazione o l’illecito civile in quanto è lo stesso Ordinamento giuridico che lo consente: l’art. 51 c.p. esclude la punibilità per l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere.

L’orientamento interpretativo prevalente, della Corte di Cassazione riconosce al diritto di cronaca, in special modo quella giudiziaria, la natura di diritto pubblico soggettivo, relativo “alla libertà di pensiero e al diritto dei cittadini di essere informati, onde poter effettuare scelte consapevoli nell'ambito della vita associata”.

I cittadini, secondo la Corte di Cassazione, hanno interesse di essere informati su eventuali violazioni di norme penali e civili, di conoscere e controllare l'andamento degli accertamenti e la reazione degli organi dello Stato dinanzi all'illegalità, onde potere effettuare consapevoli valutazioni sullo stato delle istituzioni e sul livello di legalità caratterizzante governanti e governati; hanno diritto di ricevere informazioni su chi sia stato coinvolto in un procedimento penale o civile, specialmente se i protagonisti rivestono posizioni di rilievo nella vita sociale, politica o giudiziaria.

Sulla base di tali presupposti viene meno, per il soggetto sottoposto ad indagini giudiziarie o a processo, il diritto alla tutela della propria reputazione a condizione che vengano rispettati i seguenti limiti: la verità o il serio accertamento della notizia pubblicata; l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto; la correttezza delle modalità espressive della notizia, che devono rispettare i limiti dell'obiettività.

Nel peculiare campo dell'esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, la Cassazione ha ritenuto che costituisce legittimo esercizio di tale diritto solamente riportare i fatti ed i giudizi critici correlati allo svolgimento del procedimento: “riferire atti di indagini e atti censori provenienti dalla pubblica autorità”.

Da ciò consegue che il giornalista non può legittimamente “effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tali attività”.

L’autonoma valutazione anticipatoria di futuri ed eventuali accertamenti da parte del giornalista fa venir meno la configurabilità della scriminante del diritto di cronaca giudiziaria. (Cassazione penale Sez. V, 17.11.2010 n. 7103).

La cronaca giudiziaria è lecita quando si limita a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé ovvero a riferire o commentare l'attività investigativa o giurisdizionale.

Nell’ipotesi in cui i limiti dell'esercizio del diritto di cronaca giudiziaria siano superati, ed in particolar modo quando “le informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario vengano utilizzate per ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti ed autonomamente offensive”, la prevalente Giurisprudenza richiede, perché la condotta venga comunque scriminata sulla base del diritto di cronaca, che il giornalista si assuma “direttamente l'onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza”. (Cassazione penale Sez. I, 28.01.2008 n. 7333)

Secondo la Cassazione, i criteri in base ai quali l’esercizio del diritto di cronaca può prevalere sul diritto alla riservatezza e all’onore del soggetto protagonista della notizia sono: la continenza, la pertinenza e la veridicità dell’informazione.

Con riferimento al criterio della continenza, è stato precisato che il limite della veridicità assume una duplice accezione relativamente alla pubblicazione della notizia: il giornalista deve garantire non solo che il fatto sia vero, o quantomeno ragionevolmente vero rispetto alle fonti da cui proviene, ma anche che questo non sia stato esagerato nel resoconto delle circostanze effettuato da lui o da terzi.

Il giornalista è sempre chiamato a verificare la fondatezza delle informazioni, sia quando sono state da lui stesso ricavate, sia quando gli sono state riferite da un terzo.

Il giornalista non si può limitare a ricevere passivamente la notizia, ma deve accertarne l’attendibilità secondo i doveri di correttezza.

È legittimo l’esercizio del diritto di cronaca quando viene riportata la verità oggettiva o anche solo putativa purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca dei fatti esposti, che non può ritenersi rispettata quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o anche soltanto colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato.

La Corte di Cassazione ha delineato anche i limiti entro cui può e deve muoversi il così detto giornalismo di inchiesta che, come noto, si differenzia per la ricerca e l’autonoma acquisizione della notizia da parte del giornalista il quale gode di ampia tutela ordinamentale “tale da comportare, in relazione ai limiti regolatori dell'esercizio del diritto di cronaca e di critica già individuati dalla Giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa, e comunque diversa, applicazione della condizione di attendibilità della fonte della notizia; venendo meno, in tal caso, l'esigenza di valutare la veridicità della provenienza della notizia, che non è mediata dalla ricezione passiva di informazioni esterne, ma ricercata, appunto, direttamente dal giornalista, il quale, nell'attingerla, deve ispirarsi ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali, tra l'altro, menzionati nella legge 3.2.1963 n. 69 e nella Carta dei doveri del giornalista”.

L’informazione di che trattasi non comporta violazione dell'onore e del prestigio di soggetti giuridici, con relativo discredito sociale, qualora ricorrano l'oggettivo interesse a rendere consapevole l'opinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti, l'uso di un linguaggio non offensivo e il rispetto della

correttezza professionale.

Il requisito della verità deve essere rispettato nell’articolo nella sua interezza, con particolare attenzione al titolo ed al sottotitolo, essendo questi in grado di attirare l’attenzione del lettore o di fuorviarlo circa in contenuto dello stesso. In buona sostanza, il carattere diffamatorio di un articolo non va valutato sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni, ma con riferimento all'intero contesto della comunicazione, comprensiva di titoli e sottotitoli e di tutti gli altri elementi che rendono esplicito, nell'immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo, come tali in grado di fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi, dovendosi dunque riconoscere particolare rilievo alla titolazione, in quanto specificamente idonea, in ragione della sua icastica perentorietà, ad impressionare e fuorviare il lettore, ingenerando giudizi lesivi dell'altrui reputazione.

Il requisito della verità va poi valutato rispetto alle circostanze che rappresentano l’effettivo nucleo del fatto riportato, non essendo necessario estendere il campo di indagine agli elementi secondari o meramente accidentali del fatto storico, ove questi non alterino la portata della notizia, atteso che la verità dei fatti oggetto della notizia non è scalfita da inesattezze secondarie o marginali che non modifichino, nel contesto dell'articolo o di altro mezzo di diffusione, la portata informativa dello stesso rispetto al soggetto al quale sono riferibili.

Il criterio della veridicità della notizia divulgata vuole, quale suo necessario corollario, quello della temporaneità: la verità dell’informazione viene infatti valutata con riferimento al momento in cui le notizie sono state divulgate, non potendo assumere alcun rilievo le eventuali evoluzioni successive delle circostanze oggetto di narrazione. Ciò è di particolare importanza soprattutto in tema di cronaca giudiziaria nel cui ambito l’effettiva falsità della notizia o il suo scostamento dal vero devono essere accertati rispetto al momento di diffusione della stessa e non per le susseguenti fasi d’indagine o del processo, che ben potrebbero condurre, come sovente accade, a risultati differenti nel corso del tempo.

La verità dell’informazione rappresenta infine, per ormai consolidata Giurisprudenza, la base per il legittimo esercizio del diritto di critica da parte del giornalista, che rappresenta un momento successivo, seppur mai completamente separato, dal diritto di cronaca, in quanto il primo si concretizza nell’interpretazione che il giornalista fa di un fatto storico che, per poter essere lecitamente divulgato, deve corrispondere a quella verità richiesta affinché si possa qualificare tutta l’attività come esercizio di un diritto.

La critica, in quanto elaborazione di personali convincimenti riguardante determinati eventi, non può ritenersi soggetta, con pari intensità, al rispetto del limite della verità.

Tale assunto non deve comunque portare ad affermare che la critica possa essere fantasiosa o svincolata da qualsivoglia profilo di verità, ponendosi come strumentale pretesto per diffamare l'altrui reputazione, ma nel solo significato che questa, in quanto lettura personale di un determinato fatto, rappresenta un’attività di interpretazione positiva o negativa che sia dell'esistenza e della natura di quello

stesso fatto.

In tema di diritto di critica, è stato ritenuto dalla Giurisprudenza che i presupposti per il legittimo esercizio della scriminante di cui all'art. 51 c.p., con riferimento all'art. 21 Cost., sono:

  1. a) l'esistenza concreta di un pubblico interesse al racconto ed alla divulgazione, ravvisabile anche quando non si tratti di interesse della generalità dei cittadini, ma di quello generale della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la comunicazione;
  2. b) la correttezza formale e sostanziale dell'esposizione dei fatti, che propriamente si sostanzia la c.d. continenza, nel senso che l'informazione non deve assumere contenuto lesivo dell'immagine e del decoro;
  3. c) la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti; e che sussiste diffamazione quando il legittimo dissenso contro le iniziative e le idee politiche altrui si trasforma in una mera occasione per aggredirne la reputazione altrui con affermazioni che non si risolvono in critica, anche estrema, delle idee e dei comportamenti altrui, nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni e commenti tipicamente "di parte", cioè non obiettivi, ma in espressioni apertamente denigratorie della dignità e della reputazione altrui ovvero che si traducono in un attacco personale (c.d. attacco ad hominem) o nella pura contumelia, da escludersi comunque quando le espressioni usate nell’articolo siano contenute nell’ambito della tematica attinente al fatto dal quale la critica ha tratto spunto, si presentino funzionali all’economia dell’articolo e comunque strumentalmente collegate alla manifestazionedi un dissenso ragionato dall’opinione pesa di mira.

Un particolare aspetto del diritto di critica è rappresentato dalla satira, definita dalla giurisprudenza come “modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all'obbligo di riferire esclusivamente fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito”.

Nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato.

Diversamente dalla cronaca, si ritiene che la satira sia sottratta al parametro della verità, da ciò conseguendo che quello che rileva al fine di valutarne la liceità è che la satira non si traduca in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato, in quanto la satira viene quasi ad assurgere ad una vera e propria modalità di cronaca, attuata attraverso il paradosso e l'ironia.

Per quanto concerne la continenza nell’esposizione, si deve precisare che essa investe il modo in cui la notizia viene divulgata: anche una notizia vera, se riportata in termini denigratori o dispregiativi per la persona coinvolta nelle circostanze, può assumere un carattere diffamatorio. Il limite della continenza espressiva si identifica con la correttezza formale dell'esposizione e la non eccedenza da quanto strettamente necessario per il pubblico interesse, sì da garantire che cronaca e critica non si manifestino tramite strumenti e modalità lesivi dei diritti fondamentali all'onore ed alla reputazione. La continenza coincide con la correttezza formale di linguaggio che consente di evitare che la divulgazione di un fatto storico si tramuti in uno strumento di lesione degli altrui diritti.

Il giudizio di liceità della notizia sotto il profilo della continenza non può limitarsi a una valutazione degli elementi formali ed estrinseci, ma deve estendersi anche ad un esame dell'uso di espedienti stilistici che possono trasmettere ai lettori, anche al di là di una formale ed apparente correttezza espositiva, giudizi negativi sulla persona che si mira a mettere in cattiva luce; le espressioni usate dal giornalista non devono quindi essere dirette all’offesa altrui, mediante l’uso di un linguaggio aggressivo o insultante, e neppure volte al giudizio dell’individuo oggetto di notizia, in quanto il lecito esercizio del diritto di cronaca verte sempre sulla divulgazione di un fatto storico e non sulla morale degli individui.

Il limite della continenza espressiva deve essere riferito all’intero contesto in cui la notizia viene divulgata: titolo, sottotitolo, testo, fotografie, tutti gli elementi componenti un articolo devono essere caratterizzati da una modalità di presentazione delle informazioni idonee a impedire che le circostanze vengano percepite come negative o diffamatorie dal destinatario.

Anche rispetto all’esercizio del diritto di critica la continenza assume una importanza rilevante: in tutti casi in cui il giornalista riporti il fatto e contestualmente esprima la propria valutazione delle circostanze, deve aver cura, specialmente nel riportare il proprio commento, di non esprimersi attraverso un linguaggio non consono e connotato da termini ingiuriosi o oltraggiosi o che consentano di qualificare la sua valutazione come meramente dispregiativa dell’altrui condotta.

In ambito politico è consentito il legittimo esercizio del diritto di critica con il ricorso a toni aspri e di disapprovazione più pungenti e incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti tra privati; ad ogni buon conto rimane invalicabile il limite della continenza intesa come correttezza formale dell'esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse. Ove la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme ad opinioni dell'autore in modo da costituire al tempo stesso esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza richiede un bilanciamento dell'interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, bilanciamento ravvisabile nella pertinenza della critica all'interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, ma di quella interpretazione del fatto.

Per quanto attiene il pubblico interesse alla divulgazione della notizia previsto per il legittimo esercizio del diritto di cronaca, la Giurisprudenza prevalente ha chiarito che deve risultare la necessità che una notizia, sia pure vera e comunicata con adeguato linguaggio, risponda all’interesse che la collettività può manifestare rispetto alla conoscenza dell’informazione stessa. La pertinenza della notizia deve essere valutata sull’aderenza della sua divulgazione alle necessità informative dei destinatari, avendo riguardo anche alla notorietà o meno dei soggetti coinvolti, nonché alla rilevanza del fatto. Il rilevante interesse pubblico per la notizia deve considerare la natura delle circostanze da divulgare: fatti che generano un particolare allarme sociale sono sempre considerati di pubblico interesse, proprio per la carica negativa che essi esprimono. La Corte di Giustizia europea si è pronunciata a favore della rilevanza per la collettività di una notizia avente ad oggetto fatti di reato, privilegiando il diritto-dovere di informare i propri consociati a scapito del diritto alla riservatezza degli individui coinvolti, anche se poi scagionati dalle accuse, addirittura considerandosi lecita la diffusione delle trascrizioni delle intercettazioni, una volta venuto meno il segreto istruttorio. Anche il criterio della pertinenza è comunque caratterizzato da una propria temporaneità: laddove una ritardata diffusione delle informazioni rischierebbe di privare la notizia della sua rilevanza sociale, una divulgazione di notizie passate, o superate da nuovi eventi, non può certamente essere qualificata come pertinente, atteso che l’interesse pubblico alla conoscenza di un dato fatto è legato all’attualità dello stesso. Conseguentemente, “la persistente pubblicazione e diffusione, su un giornale on line, di una risalente notizia di cronaca esorbita, per la sua oggettiva e prevalente componente divulgativa, dal mero ambito del lecito trattamento di archiviazione o memorizzazione on line di dati giornalistici per scopi storici o redazionali, configurandosi come violazione del diritto alla riservatezza quando, in considerazione del tempo trascorso, sia da considerarsi venuto meno l'interesse pubblico alla notizia stessa.”

Dopo aver affrontato, sia pur succintamente, il diritto di informazione, il diritto di cronaca e il diritto di critica, è doveroso soffermarsi sul diritto alla riservatezza.

Gli interventi legislativi in tema di tutela della privacy hanno notevolmente inciso sul diritto di cronaca: è un diritto dell’individuo oggetto della notizia divulgata quello di non veder rivelati dati in misura maggiore di quanto necessario per assicurare la correttezza dell’informazione per il lettore destinatario (Reg. CE 2016/679).

Con Regolamento dell’Unione Europea è stato previsto che devono essere tutelati e protetti i dati sensibili degli individui, comprendenti non solo il dato personale ma anche i dati genetici, biometrici e sulla salute, ovvero tutte quelle informazioni identificative dell’individuo, che permettono di isolarlo nella comunità analizzandone il profilo. L’individuo deve prestare un valido consenso per l’immissione del dato nel circuito informativo attraverso una esplicita e chiara richiesta in tal senso; il titolare del trattamento dei dati deve assicurare la liceità della gestione e delle finalità della stessa; deve garantirne la sicurezza, adottando misure tecniche e organizzative idonee a consentire un livello di protezione adeguato al rischio. Alla tutela della privacy è immediatamente connesso il diritto alla cancellazione dei dati, il così detto diritto all’oblio sul quale mi tratterrò nel prosieguo.

Tuttavia, anche nella vigenza del Regolamento comunitario, la protezione della privacy si diversifica in ragione della posizione che un determinato soggetto ricopre nella vita sociale e politica della comunità.

La corte di Cassazione ha ritenuto che il diritto all'oblio prevale sulla satira quando il personaggio noto non è figura pubblica, precisando come l'oblio prevale sulla satira ingiustificata per il personaggio noto che non riveste un ruolo primario della vita pubblica nazionale (figura pubblica) e la cui vicenda non abbia lo spessore di un contributo al dibattito pubblico come le vicende su fatti criminali, di preminente interesse politico o economico o ancora su fatti di ordine pubblico o sulla sicurezza delle persone.

Il personaggio pubblico (come, ad esempio, l’uomo politico), in quanto impegnato su una scena di collettivo interesse, per il principio secondo cui chi ha scelto la notorietà come dimensione esistenziale del proprio agire si presume abbia rinunciato a quella parte del proprio diritto alla riservatezza direttamente correlato alla sua dimensione pubblica, gode pertanto di una protezione della propria sfera privata notevolmente inferiore a quella accordata al personaggio noto (un attore, uno sportivo…), nei cui confronti il giornalista deve limitarsi a riportare le notizie riguardanti l’ambito per cui il personaggio è, appunto, conosciuto.

Il diritto di cronaca giornalistica presuppone che le vicende riportate sulla testata siano attuali, rilevanti e supportate da un interesse pubblico che ne giustifichi la permanenza in rete per il tempo necessario a soddisfare le esigenze di conoscibilità.

Questi presupposti vengono meno nel momento in cui la notizia perde di rilevanza, ovvero quando essa non è più attuale e, di conseguenza, obsoleta; l’elemento del trascorrere del tempo rappresenta la condizione fondamentale e primaria del diritto alla cancellazione dei dati personali dal web.

Infine, l’ultimo argomento da affrontare è quello relativo al diritto all’oblio, ovvero al diritto dell’individuo ad essere dimenticato.

Il diritto all’oblio è stato positivizzato con l’art. 17 del Regolamento generale per la protezione dei dati personali 2016/679 (General Data Protection Regulation o GDPR) dove viene sancito che l'interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l'obbligo di cancellare senza ngiustificato ritardo i dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti:

  1. a) i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;
  2. b) l’interessato ritira il consenso su cui si basa il trattamento e non sussiste altro motivo legittimo per trattare i dati;
  3. c) l'interessato si oppone al trattamento dei dati personali e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento;
  4. d) i dati sono stati trattati illecitamente;
  5. e) i dati devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto

dell'Unione o degli Stati membri cui è soggetto il titolare del trattamento;

  1. f) i dati sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione.

Inoltre sempre l’art. 17 chiarisce che il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbligato a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione prende le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i responsabili del trattamento che stanno trattando i dati della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali.

Nell’ipotesi in cui il soggetto sia apparso in numerosi articoli di giornale relativi a vicende giudiziarie ormai concluse e risalenti nel tempo, può esercitare il diritto all’oblio contattando direttamente il webmaster del sito web che ospita la notizia oppure, qualora la mole sia rilevante e le informazioni sulla vicenda occupino diverse pagine dei risultati di ricerca, inviando la domanda di cancellazione a Google. In quest’ultimo caso, il motore di ricerca deve essere considerato alla stregua di qualsiasi titolare del trattamento, il quale è tenuto a dare esecuzione alla richiesta di rimozione qualora ne ricorrano i presupposti.

Nel caso di articoli aventi ad oggetto notizie di cronaca giudiziaria, per il valido esercizio del diritto all’oblio è necessario che le informazioni non siano attuali: deve trattarsi di fatti di cronaca risalenti nel tempo e non più recenti; il diretto interessato non deve aver rivestito cariche dirigenziali o, in generale, non deve essere un personaggio pubblico e non deve esserci un concreto ed effettivo interesse della collettività al mantenimento in rete della notizia.

In presenza di tutti questi presupposti, è obbligo del titolare del trattamento (che sia il webmaster del sito o il motore di ricerca stesso) provvedere alla immediata cancellazione dei dati personali da internet.

La conservazione dei dati è lecita quando è necessaria per esercitare il diritto alla libertà di espressione e di informazione, per adempiere un obbligo legale, per eseguire un compito di interesse pubblico o nell'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, per finalità di archiviazione nel pubblico interesse, per finalità di ricerca scientifica e storica o finalità statistiche o per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria.

Secondo parte della Dottrina, il diritto all’oblio è il diritto di un individuo ad essere dimenticato, o meglio, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca. Il suo presupposto è che l’interesse pubblico alla conoscenza di un fatto è racchiuso in quello spazio temporale necessario ad informarne la collettività, e che con il trascorrere del tempo si affievolisce fino a scomparire. In pratica, con il trascorrere del tempo il fatto cessa di essere oggetto di cronaca per riacquisire l’originaria natura di fatto privato.

Il diritto all’oblio è la naturale conseguenza di una corretta e logica applicazione dei principi generali del diritto di cronaca. Come non va diffuso il fatto la cui diffusione lesiva non risponda ad un reale interesse pubblico, così non va riproposta la vecchia notizia lesiva quando ciò non sia più rispondente ad una attuale esigenza informativa.

Il diritto in esame tutela l'interesse del soggetto a che non vengano riproposte vicende ormai superate dal tempo. Ognuno ha il diritto a non restare indeterminatamente esposto ai danni ulteriori che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare all'onore e alla reputazione, salvo che, per eventi sopravvenuti, il fatto precedente ritorni di attualità e rinasca un nuovo interesse pubblico all’informazione.

A tal proposito, osservo che il Codice di deontologia nella parte in cui affronta la questione del trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica distingue chiaramente cosa sia o meno di interesse pubblico e all’art. 6 parla di essenzialità dell'informazione chiarendo che una notizia può essere divulgata, anche in maniera dettagliata, se è indispensabile in ragione dell'originalità del fatto, della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti.

In buona sostanza è legittima la richiesta del soggetto di cancellazione dei dati che riflettono un’immagine così risalente nel tempo da non corrispondere più all’attuale modo di essere.

Il diritto all’oblio è quindi la naturale conseguenza di una corretta e logica applicazione dei principi generali del diritto di cronaca. Come non va diffuso il fatto la cui divulgazione lesiva non risponda ad un reale interesse pubblico, così non va riproposta la vecchia notizia lesiva quando ciò non sia più rispondente ad una attuale esigenza informativa.

Ma con dei limiti. Vi sono fatti talmente gravi per i quali l’interesse pubblico alla loro riproposizione non viene mai meno. In simili ipotesi non si può parlare di diritto all’oblio perché i fatti non diventano mai privati. Al contrario, sarebbe proprio la loro mancata riproposizione a porsi in contrasto con l’interesse pubblico che qui prevale sempre sul diritto del singolo individuo a non essere più ricordato. Ad eccezione dei casi in cui l’interesse pubblico è destinato a non affievolirsi, il diritto all’oblio scatta sempre a partire dal momento in cui cessa l’interesse pubblico intorno ad un fatto perché ormai acquisito.

La Corte di Giustizia ha ravvisato un’eccezione alla prevalenza del diritto all’oblio nella sola ipotesi in cui “risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto dalla persona interessata nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi” (Corte Giustizia, 13/05/2014, C131/12, Google Spain).

Si può quindi concludere che, in tema di diritto alla riservatezza, dal quadro normativo e giurisprudenziale nazionale (artt. 2 Cost. 10 c.c. e 97 della l. n. 633/1941) ed europeo (artt.8 e 10 comma 2 della legge CEDU e 7 e 8 della c.d. Carta di Nizza), si ricava che il diritto fondamentale all’oblio può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza dei seguenti specifici presupposti:

1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico;

2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia;

3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica del Paese;

4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione;

5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica della sua divulgazione al pubblico.

In ultimo, il giornalista è legittimato a divulgare i dati senza il consenso del loro titolare né l’autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, a condizione che la divulgazione sia essenziale ai sensi dell’art. 6 del codice deontologico dei giornalisti, ovvero indispensabile in considerazione dell’originalità del fatto o dei modi in cui è avvenuto, e che la valutazione della sussistenza di tale requisito costituisce accertamento in fatto, che il giudice di merito deve compiere caso per caso.

In assenza di tali presupposti, la pubblicazione di una informazione concernente una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare la violazione del fondamentale diritto all'oblio, come configurato dalle disposizioni normative e dai principi giurisprudenziali suesposti.

Tale indirizzo è stato ripetutamente confermato dalla Cassazione che ha accolto il ricorso proposto avverso la decisione di denegata rimozione dal sito web di un quotidiano a tiratura nazionale delle notizie relative alla vicenda giudiziaria in cui era rimasto coinvolto un professionista, rimarcando come il riconoscimento del diritto all’oblio viene specificamente ravvisato non già nel contenuto e nelle originarie modalità di pubblicazione e diffusione on line dell'articolo di cronaca e nemmeno nella conservazione e archiviazione informatica di esso, ma nel mantenimento del diretto ed agevole accesso a quel risalente servizio giornalistico pubblicato diverso tempo addietro e della sua diffusione sul web, con conseguente pregiudizio per i soggetti coinvolti, in assenza di sopravvenuti aggiornamenti atti a denotarne il permanere di interesse sociale, anche limitato ad una collettività locale, integrando infatti i presupposti dell'illecito trattamento di dati personali la conservazione di un articolo di cronaca nell'archivio online di una testata giornalistica che si protragga per un rilevante lasso di tempo dalla originaria pubblicazione, specie allorquando sia trascorso un significativo arco temporale dalla richiesta, inviata dall'interessato al giornale, di rimozione dell'articolo ed in mancanza di aggiornamenti della vicenda pubblicata.

Non può dubitarsi che il mantenimento della fruibilità della notizia sul sito internet del quotidiano a distanza di anni dai fatti e senza alcuna indicazione dei successivi positivi sviluppi della vicenda processuale a carico della parte costituisca ulteriore specifico fondamento della pretesa risarcitoria.

Il trattamento dei dati non può infatti avvenire per un periodo superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti ed in proposito occorre notare che la rete internet costituisce una realtà ove le informazioni non sono archiviate, organizzate e strutturate, ma soltanto memorizzate senza limiti e senza tempo, poste tutte al medesimo livello senza una valutazione del relativo peso, prive di contestualizzazione e di collegamento con altre informazioni pubblicate: di qui, appunto, il diritto del soggetto cui le informazioni si riferiscono ad ottenere la cancellazione delle stesse ove, pur se lecitamente diffuse, risultino inutilmente lesive in ragione della loro perdita di attualità.

Con l’avvento di internet il significato del diritto all’oblio è cambiato atteso che in rete un’informazione resta per un tempo illimitato e può essere condivisa rapidamente da migliaia di persone. È fondamentale, quindi, comprendere la portata di un’informazione e fare in modo che l’identità del soggetto non venga falsata o snaturata. Così il diritto all’oblio assume il significato di diritto alla contestualizzazione dell’informazione che consiste nel collocare la pubblicazione dei fatti avvenuti molti anni prima nel contesto attuale.

Nel caso di pubblicazioni di natura online il soggetto leso avrà diritto alla cosiddetta deindicizzazione, ossia la rimozione dal motore di ricerca dell’indirizzo web del link che conduce allo spazio in cui è pubblicata la notizia che ha violato il diritto all’oblio.

La Corte di Giustizia Europea ha stabilito che l’attività svolta dai motori di ricerca come Google costituisce una vera e propria attività di trattamento dei dati personali e che pertanto il soggetto gestore deve osservare le prescrizioni della direttiva comunitaria n. 95/46, con la conseguenza che il soggetto leso deve ottenere la cancellazione dei dati (Corte di Giustizia, C-131/12, 13.05.2014).

Qualora si accerti la sussistenza del diritto all’oblio, il gestore del motore di ricerca ha l’obbligo di cancellare tutte le informazioni relative alla persona lesa anche se acquisite lecitamente. Il soggetto che ritiene di essere stato leso può rivolgersi direttamente al gestore del motore di ricerca per ottenere la rimozione delle notizie su cui si è formato l’oblio e in caso di esito negativo della richiesta potrà adire l’Autorità giudiziaria.

Se non ricorrono le caratteristiche di attualità e interesse pubblico della notizia, il gestore di ricerca è obbligato alla cancellazione dei dati o dell’articolo ovvero alla deindicizzazione dello scritto; in caso contrario, l’interessato è legittimato a ricorrere alle autorità competenti.

Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, prima dell’adozione del Regolamento predetto, aveva riconosciuto tutela al diritto dell’interessato ad ottenere che una notizia che lo riguardasse, a determinate condizioni, fosse rimossa dalla rete; in particolare la CGUE ha riconosciuto la prevalenza del diritto ad essere dimenticati rispetto all’interesse economico del gestore del motore di ricerca, nonché rispetto all’interesse pubblico ad accedere alle informazioni mediante ricerca del nome della persona interessata, imponendo al gestore del motore di ricerca on-line la deindicizzazione delle informazioni qualora ne venga fatta richiesta da parte degli utenti.

In particolare la Corte di Giustizia, trattando un caso in cui i dati personali di un soggetto continuavano a essere reperiti attraverso il motore di ricerca pur a distanza di molto tempo dai fatti, ha affermato che l’attività di un motore di ricerca, consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su internet, nell'indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come trattamento di dati personali, e che il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il responsabile del trattamento; ed inoltre che il gestore motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall'elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link che indirizzano a pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, qualora ne ricorrano le condizioni, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita.

Ringrazio per la fiducia accordatami e resto a disposizione per quant’altro possa occorrere.

Cordiali saluti.

Avv. Giuseppe Rizzo

Patrocinante in Cassazione

Via G. Parini n. 27 – 73100 Lecce

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