“Mentalità mafiose della porta accanto” di Anna Rita Pinto

A 30 anni dalla strage di Capaci avvenuta il 23 maggio del 1992, molti sono gli eventi che in questi giorni si stanno svolgendo

su tutto il territorio nazionale per commemorare il giudice antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, magistrato anche lei, e i tre uomini della scorta. Quelli erano gli anni in cui tutte le mafie avevano la mano pesante e le uccisioni e gli attentati erano quasi all’ordine del giorno, ma oggi com’è lo stato delle cose?

Spesso si parla di nuova mafia, chiamata anche bianca, silente, trasparente, sommersa, insomma quella che, rispetto al passato, ricorre meno alla violenza cruenta ma mantiene fermi gli stessi obiettivi, cioè ottenere vantaggi illeciti. Quindi il concetto di vecchio e di nuovo riguarda esclusivamente le modalità di azione. Un po’ come dire che la mafia ha solo cambiato l’abito ma la sua natura è rimasta identica a prima.

Questa differenza che può apparire solo superficiale, è invece importante per il lavoro che svolgono le forze dell’ordine e la magistratura, proprio per capire dove e come agire per contrastare le organizzazioni criminali. Ora, ancora più di prima, si parla d’infiltrazione nella politica, nelle istituzioni, nella pubblica amministrazione, nell’economia, nella finanza e nella stessa società civile, soprattutto si parla di trans-nazionalità utilizzata come strategia espansionistica e per il riciclaggio di capitali illeciti.

Da sempre le mafie si muovono secondo le esigenze del momento storico in atto e, come le migliori “aziende”, sono al passo con i tempi, talvolta addirittura anticipandoli ma, a differenza di prima dove i mafiosi spesso non avevano nemmeno un titolo di studio e andavano in giro con coppola e lupara, le nuove generazioni, figli della vecchia guardia, ora studiano nelle più prestigiose università del mondo, indossano abiti firmati e frequentano la società confondendosi facilmente in qualunque ambito si trovino.

In sintesi una volta avevamo la mafia feroce e violenta e più facilmente riconoscibile, oggi abbiamo quella silente e corruttiva e nel futuro prossimo, probabilmente, avremo quella virtuale e informatica. Diciamo che i giovani rampolli mafiosi hanno in qualche modo scelto il loro claim: “meno violenza e più affari” in un trinomio indissolubile di mafia, politica e finanza; un legame difficile da dissaldare dove, evidentemente, diciamolo, sono in molti a trarne vantaggi.

Ma al di là dei “mafiosi”, così propriamente detti, c’è anche un atteggiamento e una cultura mafiosa della porta accanto che, a prescindere dall’adesione o no a queste organizzazioni, si respira in certi luoghi e in certi ceti sociali. Tipi di cultura e di personalità che sono stati oggetto di studio da parte di molti esperti.

Bisogna dire che psicologia, psichiatria e pensiero mafioso hanno avuto, fino ai primi anni ’90, pochi punti di contatto. Solo recentemente si è indagato sulle peculiarità del pensiero criminale organizzato e su tutto quello che circonda questo mondo.

Ciò che ne è scaturito è che il pensiero principale che distingue i membri di un’associazione criminale organizzata, è sicuramente il senso di appartenenza all’associazione stessa; un gruppo coeso che spinge i membri ad identificarsi fortemente con la sua simbologia, con i suoi metodi e con i suoi riti, tutto ciò connesso ad un forte senso di essere un “Uomo D’onore”.

Molti studi, infatti, evidenziano quanto questi soggetti provengano da un mondo in cui i valori maschili della forza, del coraggio, dell’onore, della virilità, della freddezza e di un atteggiamento contro al mondo degli “sbirri”, dei giudici e delle forze dell’ordine in generale, vengano esaltati. Naturalmente questo si va a sommare a una cultura che si tramanda da padre in figlio e all’influenza sociale. Per l’identità mafiosa, l’alternativa è tra l’angoscia di essere nessuno ed un’esaltazione onnipotente del proprio sé data dall’appartenenza alla famiglia mafiosa.

Molti studi, soprattutto del Prof. Girolamo Lo Verso, hanno delineato che, DSM alla mano, il disturbo che più si avvicina al comportamento mafioso è quello “antisociale di personalità”. Questo profilo è organizzato in modo tale da avere a tutti i costi potere sulle altre persone o comunque un alto grado di manipolazione. A questo si aggiunge una mancanza di riconoscimento della persona altrui, un senso di colpa o di coscienza morale pressoché nullo e una distorta cognizione di cosa è “giusto” o “sbagliato”.

“L’uomo d’onore” si rappresenta come un essere speciale, addirittura a volte come Dio stesso, perché lui può esercitare il potere di vita o di morte sulle persone normali. Niente, per questi soggetti, è più temibile del non essere considerato.

Dunque per avere speranza di contrastare la mafia, bisogna agire sui giovani, già nella fase della formazione della loro personalità, nella speranza d’influenzare positivamente la loro percezione del mondo ma anche quella di sé stessi e degli altri.

A tal proposito concludo con un messaggio rivolto proprio ai giovani, che ha scritto Vincenzo Musacchio, uno dei più accreditati studiosi delle nuove mafie trans-nazionali e autorevole studioso a livello internazionale di strategie di lotta al crimine organizzato:

“Appassionatevi alla lotta perché è necessaria, oggi più che mai. Difendete la vita, la salute, lambiente. Amate la legalità. Aggredite la vita e non lasciatevi sopraffare dagli eventi. Abbiate fiducia in voi stessi, non lasciate mai che altri scelgano per voi. Non scendete a compromessi, non accettate raccomandazioni. Coltivate lamicizia e il confronto con laltro. Non lasciate che le mafie vi rubino il futuro.”

 

Anna Rita Pinto

23.05.22

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