Ricordi: Cesare Marangio, l’epigrafista che rifondò il Museo di Mesagne.

Da pochi reperti ad un notevole «Lapidarium»

Nel dicembre del 1970, a Mesagne, un paio di mesi dopo l’insediamento della prima amministrazione del neo sindaco Elio Bardaro, l’assessore Antonio Nitti, che aveva la delega allo Sport e Beni culturali, fu convocato dal Comandante dei Vigili Urbani, il tenente Umberto Bilancini con l’esplicita richiesta di risolvere una questione. Si trattava di trovare una sistemazione ad alcune scatole di cartone contenenti frammenti di ceramica provenienti dal museo civico «Ugo Granafei» chiuso ormai da decenni. Il tutto era depositato nel vecchio garage delle auto dei Vigili Urbani, allora dislocato al piano terreno della sede municipale dove oggi c’è l’Ufficio tecnico.

Aperti i cartoni, si constatò che non vi era nulla di interessante e, tra le altre cose, non esisteva un inventario, un qualcosa che potesse far risalire alla vecchia collezione civica.

Al termine della riunione, l’assessore Nitti si impegnò per trovare una soluzione che non doveva essere difficile atteso che quel che era rimasto era ben poco; si pensava di chiamare la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e definire la faccenda nel modo più logico: chiudere definitivamente il Museo.

Una di quelle mattine, tuttavia, si presentò presso la sede municipale Cesare Marangio per la richiesta di un certificato anagrafico e casualmente si incontrò con l’assessore Nitti e, dopo il classico «che novità ci sono?», si parlò di questi reperti archeologici e delle ipotetiche intenzioni di chiudere il Museo.

Cesare Marangio consigliò prudenza e, visto che da molti anni questi reperti giacevano anonimamente presso il Municipio, si poteva cercare di riattivare il Museo. Sembrò un’idea impossibile da poter realizzare perché non c’erano reperti, locali e soprattutto competenze che potessero costituire un Museo su Mesagne.

Marangio spiegò molto bene quale era la situazione in campo provinciale, ma soprattutto era a conoscenza di quanto materiale archeologico era presente negli scantinati della Soprintendenza di Taranto riveniente da Muro del Tenente. Spiegò che, con un poco di attenzione, si potevano seguire gli scavi edili sul territorio di Mesagne, in particolare nella zona dell’Amendoleto e della via di San Pancrazio segnalate come siti archeologici ancora inesplorati.

Fu così che, dopo vari incontri, si iniziò ad inventariare i reperti e si fece un centro di raccolta del materiale archeologico che era sparso incautamente nelle case private di Mesagne, frutto di ritrovamenti casuali durante i lavori di scavo di fondamenta di nuove costruzioni. L’assessore Antonio Nitti divenne, in quel periodo, ispettore onorario della soprintendenza di Taranto.

Dopo circa un anno di lavoro, e con la tavoletta di Mesagne e dintorni riportante i siti archeologici presenti, curata da Cesare Marangio, si contattò la direzione del Museo Provinciale nella persona della dott.ssa Benita Sciarra che venne personalmente a Mesagne ad accertarsi di quanto era presente presso il Municipio.

Nei mesi successivi fu fatta un’operazione di recupero di lapidi in contrada Calce, invitati dal Comando Carabinieri Mesagne dopo una sparatoria notturna con tombaroli di Latiano, che insieme ad altra lapide messapica dette inizio alla ricostruzione di un «lapidarium».

Sulla base di quanto era stato messo insieme ma soprattutto cominciando ad aggregare alla nostra città Associazioni e personalità del mondo della cultura, si costituì a Mesagne il Gai (Gruppo Archeologico Italiano), si invitò la società di Storia Patria con il presidente Francesco Maria de’ Robertis e soprattutto si stabilì uno stretto contatto con l’allora Soprintendente di Tarando il prof. Gino Felice Loporto.

Cesare Marangio fu colui che aveva tessuto i fili di collegamento con tutto questo mondo culturale che si dette poi appuntamento, a seguire nel 1973 nel «XIII Convegno dei Comuni messapici» che si tenne nell’attuale teatro Shalom del Carmine.

Due anni dopo, tutti gli sforzi compiuti si concretizzarono con l’inaugurazione del Museo civico; era il 7 giugno del 1975, una settimana prima delle elezioni amministrative. Il Museo fu collocato presso il Municipio. Le teche furono costruite in economia da artigiani locali guidati da De Carolis («don Piloni») e la catalogazione con le indicazioni scientifiche fu fatta sempre da Cesare Marangio a titolo gratuito. L’amministrazione propose a Marangio una convenzione per la gestione del Museo, ma lo stesso aveva iniziato il suo percorso di docente universitario e quindi si riuscì ad ottenere solo un impegno di collaborazione che durò per altri tre lustri. Ci fu un tentativo di convenzionare Titti Scarano Catanzaro che si era interessata del territorio di Mesagne scrivendo anche un testo dal titolo «La necropoli dell’Amendoleto», ma anche in questo caso non fu possibile realizzare un tale progetto per essere la stessa già docente presso una scuola brindisina. E fino al 1984 la gestione del Museo fu affidata ad Antonio Nitti per passare poi a Domenico Urgesi direttore di Biblioteca civica e Museo, a seguito di vincita di concorso.

Chi maggiormente profuse tutto il suo impegno per la costituzione del Museo civico fu tuttavia Cesare Marangio che con la sua indubbia competenza riuscì non solo a mettere in moto l’Istituzione ma coinvolse anche e soprattutto un mondo culturale ed accademico tale da stabilizzare l’istituzione stessa per diversi anni a seguire.

Infatti tutto il mondo accademico legato alla storia romana cominciò a gravitare su Mesagne con la realizzazione di una collana  denominata «Testi e Monumenti», inizialmente diretta  diretti dallo stesso Marangio con Antonio Nitti, Ciro Santoro e Giovanni Uggeri.

Basta scorrere un qualsiasi repertorio bibliografico per rendersi conto della produzione scientifica di Cesare Marangio, il quale con il suo solito stile intriso di umiltà e discrezione, ci ha lasciato senza alcun preavviso lo scorso 26 febbraio e con la notizia data dai suoi familiari a tumulazione avvenuta.

E se gli amici hanno fatto sentire la vicinanza alla famiglia e tra loro ricordando quanto abbia prodotto Cesare, occorre sottolineare che l’Amministrazione comunale è stata totalmente assente. Sindaco e assessori, del resto, non erano neanche nati quando Cesare era impegnato a Mesagne.

A guardare i nomi dati ad alcune strade mesagnesi ed a luoghi dedicati possiamo dire che Cesare Marangio potrebbe stare a buon diritto a testimoniare quanto donato a Mesagne. Ma le norme esistenti, i dieci anni che devono passare dal decesso, l’istruttoria abbastanza complessa che si dovrebbe attivare sconsigliano questa strada. Piuttosto, per via breve, considerato che Cesare Marangio è stato negli ultimi anni uno tra i  migliori epigrafisti, sulla scia dei vari Giancarlo Susini e Giovanni Uggeri, forse si potrebbe organizzare con le lapidi del Museo, il «lapidarium» in una apposita stanza, ed intitolarlo proprio a questo illustre figlio di Mesagne. Nel contempo l’assessorato alla cultura potrebbe predisporre una attività ricognitiva per collazionare una bibliografia ed una emerografia del Nostro, per lasciare traccia dell’operato sia in biblioteca che nel Museo a futura memoria, utile strumento di lavoro per altri studiosi del settore. I posteri potranno in seguito decidere se Cesare Marangio dovrà rimanere in un dimenticatoio o merita un’attenzione diversa per aver dedicato la propria vita allo studio di queste nostre zone in età antica.

Giuseppe Giordano

Pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 3 aprile 2022

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