Nabil Bey Salameh racconta la convivenza della Palestina in una interista di Giovanni Galeone

Continua sino a mercoledì 30 giugno la mostra “La Palestina della convivenza” che si tiene nella sala dell’Associazione Amici della Di Vittorio

in via Castello 20 a Mesagne. Nei giorni scorsi sono stati tramessi 5 cortometraggi alcuni dei quali hanno partecipato al festival internazionale Nazra Palestine Short Film Festival.

Abbiamo intervistato il curatore della mostra, Nabil Bey Salameh, scrittore italo-palestinese nonché musicista, voce e autore dei Radiodervish, storica formazione espressione di una musicalità originale che trova i suoi riferimenti nelle tradizioni raffinate e popolari del Mediterraneo, in questi giorni impegnato anche in sala di registrazione.

Nella serata inaugurale Nabil Bey che è anche docente di Etnomusicologia e Culture musicali al Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce ha raccontato la sua esperienza di profugo nato in Libano, da genitori palestinesi che vivevano a Giaffa, oggi sobborgo marino di Tel Aviv, un tempo il principale e antico porto della Palestina, città nota anche per i suoi agrumi.

Nel 1948 alla fine del mandato britannico e in coincidenza con la proclamazione dello Stato di Israele che diede inizio alla guerra arabo-israeliana più di 700.000 palestinesi furono espropriati ed espulsi (l’esodo è definito nakba in arabo, letteralmente catastrofe) e successivamente si videro rifiutare ogni loro diritto al ritorno nelle proprie terre dando origine alla problematica dei profughi palestinesi che permane tuttora. I genitori del musicista ripararono in Libano e non videro mai più i loro luoghi d’origine.

Nabil Bey, qual è il senso di questa esposizione fotografica accompagnata da notizie di carattere storico?

Il senso della mostra è quello di evidenziare un altro racconto della storia della Palestina, spesso narrata con interessata mistificazione.  Non è mai abbastanza ricordare quella che era una meravigliosa terra prima che piombasse in un incubo che dura da 73 anni e smascherare le falsità della propaganda sionista e il mito della “terra senza popolo ad un popolo senza terra”. La Palestina della convivenza è un percorso fotografico che fa riferimento a degli archivi storici mettendo in mostra le riprese di due fotografi dell’epoca, il francese Felix Bonfils e la palestinese Karima Abbud, dalla fine dell’Ottocento sino agli anni quaranta dello scorso secolo. È una prova inconfutabile di quella che era la Palestina in quegli anni, un paese ricco e plurale con una borghesia colta e condizioni di vita tra i più elevati del Medio Oriente e non dissimili dagli standard europei dell’epoca, proiettato verso un futuro prospero, un sogno infranto da un progetto coloniale che ha giustificato la creazione di uno stato che non esisteva sulla distruzione di un altro stato la cui popolazione era insediata su quelle terre da secoli.

Qual è la situazione attuale della Palestina?

La situazione in Palestina oggi è drammatica, lo sentiamo ogni giorno, ma i mezzi di informazione non riportano che c’è una popolazione che vive sotto occupazione da 73 anni e che lotta doverosamente per la propria autodeterminazione. La Palestina viene tuttora espropriata continuamente, subisce confische oppressioni, limitazioni, attacchi continui nelle zone che sono ormai configurabili come prigioni a cielo aperto (Gaza e Cisgiordania) e dove continua la nefasta politica di insediamenti coloniali israeliani che ha frammentato la continuità territoriale e impedito l’accesso alle risorse naturali per la popolazione araba favorendola invece per i coloni israeliani, tuttavia questo non ci impedisce di coltivare la speranza, come dice il nostro sommo poeta Mahmud Darwish “siamo condannati alla speranza”. Ci auguriamo per lo meno che questa storia venga narrata con uno spirito di autenticità, di verità, penso che nel momento in cui verrà svelata al mondo la verità su questo dramma, il mondo capirà quale torto è stato fatto ai palestinesi negli ultimi 73 anni e come sia necessario procedere al riconoscimento dei diritti dei palestinesi. Se è difficile ipotizzare oggi i due stati per i due popoli, può essere più concreta la tesi di un unico stato fondato però su un sistema di diritto e non sulla discriminazione razziale, nel quale diritti e doveri sono condivisi da entrambi, israeliani e palestinesi.

Giovanni Galeone

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