Il paesaggio agrario: mutamenti problematici (di Giovanni Galeone)

Il paesaggio è ritenuto una componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni,

espressione del loro patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità (Convenzione Europea del Paesaggio). La stessa normativa europea riconosce il paesaggio agrario come realtà umana, economica, culturale ed emotiva da tutelare nel suo insieme. Il paesaggio agrario è un elemento chiave del benessere individuale e sociale e non va considerato come un concetto statico, bensì come un processo dinamico che nel rispetto di identità, cultura e storia si misura con le trasformazioni ambientali, sociali ed economiche che vanno maturando. Si tratta perciò di un tema di grande rilevanza che generalmente viene molto sottovalutato e con il quale si ha spesso un approccio molto superficiale.

 L’osservatore attento che percorre oggi con frequenza le strade provinciali della pianura brindisina non può non accorgersi della rapida e spesso traumatica trasformazione che sta subendo il paesaggio agrario locale e che si riflette nella modifica della percezione visiva che ha accompagnato per molto tempo il nostro vissuto e la nostra relazione con gli elementi paesaggistici del territorio.

Da oltre un decennio facciamo i conti con l’introduzione di elementi estranei al paesaggio rurale salentino: campi fotovoltaici con i quali si tenta tuttora di occupare e sottrarre ulteriore terreno agricolo, serre fotovoltaiche con attività umana e agricola inesistente e installate unicamente per lo sfruttamento energetico, ed è paradossale adesso che le province di Brindisi e Lecce hanno il più alto tasso di pannelli fotovoltaici d’Europa.

Da qualche tempo il nostro sguardo extraurbano incontra diffusamente scheletri di alberi di ulivo la cui vegetazione è stata distrutta dall’arrivo della xylella fastidiosa, si sta perdendo così un patrimonio arboreo- paesaggistico-ambientale di grande pregio che al momento, anche in conseguenza dei gravi ritardi delle politiche regionali, si risolve nell’abbandono delle campagne o nell’estirpazione degli alberi. In ogni caso trattasi di un danno che si spera solo temporaneo, è noto infatti che la presenza di alberi da un punto di vista ecologico è preferibile alla presenza di piante erbacee anche coltivate perché l’albero sottrae anidride carbonica all’atmosfera, immagazzinandola per più anni nelle sue strutture legnose, la pianta erbacea invece restituisce l’anidride carbonica catturata con la fotosintesi clorofilliana alla fine del suo ciclo, con l’ossidazione.

Il risultato è che quella che una volta era una campagna lussureggiante e ordinata che ha aiutato anche a nascondere e mimetizzare le nostre sciagure urbanistiche, oggi, appare per molti tratti una realtà disadorna, preda di vegetazione spontanea e incuria, con strade rurali costeggiate da cumuli di rifiuti talora speciali che la (in)civiltà degli uomini non è riuscita a smaltire diversamente.

Ed anche le visuali appaiono nuove e profonde ma purtroppo desolate, se ieri percorrendo le nostre campagne la visione era limitata a pochi metri di profondità per la presenza di barriere vegetative arboree, oggi, lo svellimento di estesi uliveti che si aggiunge alla perdita negli anni scorsi di importanti superfici di frutteti e vigneti, svela agli occhi dell’osservatore elementi una volta celati alla vista: auto che sfrecciano su strade provinciali e statali distanti diversi chilometri dal punto di osservazione, remote periferie cittadine o sperduti fabbricati rurali cadenti, lontani camini, pale eoliche, tralicci di alta tensione, antenne telefoniche, etc.

Certamente riproporre modelli agricoli del passato e della tradizione oggi sarebbe limitante perché le condizioni ambientali, sociali ed economiche sono irrimediabilmente cambiate e impongono tecnologie e pratiche colturali innovative assieme ad una pianificazione che valorizzi le specificità territoriali emerse in questi anni, punti sulla difesa integrata e la sostenibilità, sul recupero di colture mediterranee che possono ritagliarsi uno spazio sul mercato.

Ma è anche opportuno ridefinire nuovi paesaggi culturali con un più alto grado di biodiversità, da inserire in una rete ecologica ben pianificata di boschi mediterranei periurbani, stimolare il ripristino dell’ecosistema dei muretti a secco oggi riconosciuto patrimonio mondiale dell’umanità, riformulare i rapporti tra turismo costiero, rurale e culturale, migliorare ed equilibrare il rapporto tra costa ed entroterra, tra zone urbane ed extraurbane.

Questo richiederebbe, anche alla luce della devastazione operata dalla xylella, un piano strategico di rigenerazione ambientale e territoriale, ridefinendo e integrando il piano paesaggistico regionale, i piani territoriali di coordinamento e il piano di sviluppo rurale con un approccio multidisciplinare che indirizzi anche i piani urbanistici locali, facendo della Puglia un laboratorio di pianificazione e progettazione del paesaggio e di rinascita dell’agricoltura.

La consapevolezza e l’attenzione su queste problematiche finora è risultata inadeguata e i risultati sono stati deludenti, purtroppo il degrado sempre più evidente del paesaggio rurale comporta ricadute sul piano ambientale, economico, turistico, sociale, culturale e questo può seriamente indebolire anche la capacità attrattiva esercitata dal territorio.

Quello che è certo è che il paesaggio agrario non può vivere senza l’uomo, come diceva lo storico del paesaggio italiano Emilio Sereni, “il paesaggio agrario è quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini della sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente, imprime al paesaggio naturale.”

Giovanni Galeone

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