DPCM del 25 ottobre 2020: stop a cinema e teatri, salvi i musei.

Sono sospesi gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi anche all’aperto

recita il Dpcm del 25 ottobre 2020. Una realtà durissima da affrontare, per un settore che fin dall’inizio della pandemia ha dovuto scontrarsi duramente con limitazioni e carenza di introiti, con pesanti conseguenze economiche su lavoratori, artisti, professionisti e con la sopravvivenza delle stesse attività, già fortemente minate dalla prima “chiusura”. Una questione cruciale, tanto che, qualche giorno prima dell’approvazione del dpcm del 18 ottobre, i lavoratori dello spettacolo avevano organizzato una protesta pacifica di grande impatto visivo in Piazza del Duomo, allestendo 500 bauli per le attrezzature di scena, mentre dieci Assessori alla Cultura dei capoluoghi di regione italiani avevano inviato al Governo una lettera invitandolo a tutelare tale settore. E tutti erano rimasti sollevati e soddisfatti dalla prosecuzione delle attività, tanto da dichiarare inizialmente fuori pericolo cinema e teatri.

Con la chiusura totale di cinema e teatri si profila uno scenario drammatico per l’intero settore dello spettacolo. Una decisione che poco fa è stata commentata anche dal Ministro per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo Dario Franceschini, che ha scritto: “Un dolore la chiusura di teatri e cinema. Ma oggi la priorità assoluta è tutelare la vita e la salute di tutti, con ogni misura possibile. Lavoreremo perché la chiusura sia più breve possibile e come e più dei mesi passati sosterremo le imprese e i lavoratori della cultura”. E mentre Franceschini invoca una chiusura “più breve possibile” è lecito chiedersi se questo sia lontanamente plausibile: a differenza della prima “chiusura”, già deleteria di per sé, ora abbiamo davanti a noi una stagione autunnale e una invernale, che con tutta probabilità aggiungerà complicazioni in termini sanitari, all’interno di un paese già prostrato sul piano economico. Si tratta di un dramma umanitario che investe una parte centrale del tessuto culturale. E che di certo il settore non si meritava, avendo lavorato duramente in questi mesi per il rispetto di tutte le norme anti contagio, senza innescare focolai.

A poche ore dalla firma del decreto si fa sentire nuovamente la voce degli assessori alla cultura delle più grandi città italiane, con l’appello Stop teatri e cinema ingiustificato e disastroso, subito aiuti concreti.

Gli unici a salvarsi, per ora, sono musei e istituzioni culturali, come si legge nel testo: “il servizio di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di cui all’art. 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, è assicurato a condizione che detti istituti e luoghi, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali aperti al pubblico, nonché dei flussi di visitatori (più o meno di 100.000 l’anno), garantiscano modalità di fruizione contingentata o comunque tali da evitare assembramenti di persone e da consentire che i visitatori possano rispettare la distanza tra loro di almeno un metro”. Si fa fatica a capire la logica che vede pericolosi i teatri (dove ormai si va in 40 in sale che potrebbero ospitare 500 persone) e non i musei. Misteri dei Dpcm.

Estratto dell’articolo di Giulia Ronchi pubblicato su Artribune, testata di arte e cultura contemporanea.

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