Disuniti un tempo ma oggi Uniti nella ricerca delle uguaglianze (di Tindaro Giunta)

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo del Presidente dell’Associazione per i Diritti e tutela degli Anziani

I medici che curavano gli appestati indossavano una maschera a forma di becco, dove erano contenute essenze aromatiche e paglia che fungevano da filtro. | MATRIOSHKA | SHUTTERSTOCK

Qual è il futuro che ci aspetta?

L’ADA (Associazione per i diritti degli anziani) è molto attenta ai temi che colpiscono la salute degli anziani e delle persone fragili.  Sicuramente al primo posto, come accade in ogni pandemia, bisognerebbe salvaguardare la “Vita e la Salute” dell’umanità. 

Numerosi sono gli interventi per far fronte all’emergenza sanitaria Coronavirus, ma anche sono necessarie risorse a sostegno delle famiglie, del terzo settore, del lavoro e delle imprese.  Avremo un’economica terribile, serve oltre a una sanità Sanificata superare anche l’emergenza economica.

Il papa Bergoglio manifesta, a tutti noi, la sua intenzione di considerare l’ultima domenica di marzo come “la giornata del pianto” da dedicare agli eroi che hanno sacrificato la loro vita nella lotta al CoVID - 19. Anche noi, quindi, come gli ebrei, abbiamo la nostra giornata del pianto oltre al giorno dei morti.

Questa è una giornata indicativa che serve a ricordare e a pensare “a tanta gente che piange, gente isolata, in quarantena, agli anziani soli, i ricoverati, le persone in terapia intensiva e genitori, i quali non avendo uno stipendio non riescono a dare da mangiare ai figli”.

Il pensiero va ai sofferenti e a chi è morto in solitudine senza avere una mano da stringere e due occhi da incrociare. Lo spirito è rivolto anche a chi vive nel dolore la memoria di un padre, di una nonna, di un amico, di un figlio e di un giovane studente o lavoratore lontano dagli affetti familiari.

Un abbraccio silenzioso e virtuale è verso chi, proprio in questo tempo, ha capito il valore della solidarietà e della prossimità, “quanto sia importante potersi e sapersi abbracciare”.

La pandemia è insita in un percorso storico nella vita dell’uomo; il cui vissuto ci racconta un iter di flagelli, dovuto a epidemie, che l’uomo ha subito nel suo cammino.

Il coronavirus “Covid-19”, che ci sta colpendo, è un virus che appartiene alla famiglia delle zoonosi, quindi un batterio, che riesce a essere uno “spillover”, zoonotico (salto di specie) da un animale a un umano, titolo profetico del romanzo di David Quammen, edito in Italia da Adelphi; il “paziente zero”, conseguentemente, può infettare i suoi simili.

Il coronavirus non fa eccezione. La sua forma ricorda una corona, e racchiude circa il 10% dei raffreddori comuni, la cui principale causa è insita nel rinovirus. La CoVid-19, anche se presenta errori di trasparenza per i funzionari di Wuhan. Il suo nome ufficiale è Sars-CoV-2, dove C sta per corona, V per Virus, D per disease (malattia) e 19 per 2019, anno in cui è stato intercettato. I sintomi sono simili all’influenza, ma può provocare una polmonite, il cui virus penetra negli alveoli polmonari provocando crisi respiratorie che richiedono ossigeno e terapia intensiva. Questo mette in crisi il sistema sanitario, poiché presenta rapidità di contagio, presenza contemporanea di lato numero di pazienti in ospedale e lunga permanenza (3 settimane) in terapia intensiva.

La storia ci racconta che prima del Covid -19, almeno altre 13 pandemie hanno infierito nel nostro mondo, tutte o quasi generate da zoonosi, animali selvatici o da allevamento: Polli, anatre, suini, topi, pulci, bovini, dromedari, zibetti e pipistrelli, linee conduttrici di virus e di batteri soprattutto in Asia e in particolare in Cina.       

Nel Medioevo le cause erano dovute alle città sporche e sovrappopolate. Nell’epoca della globalizzazione, invece, le epidemie sono indotte dagli allevamenti intensivi, che hanno fatto stragi mondiali: in totale hanno provocato tra 500 milioni e un miliardo di vittime nel corso dei secoli.

Si rilevano, secondo calcoli approssimativi, (influenza di Hong Kong 1968 – 1969) un milione di morti, causale virale: (A/H3N2), mutazione del (A/H2N2); asiatica (1957 – 1958) 1,1 milioni, dovuta alla causa virale (A/H2N2).

 La Spagnola (1918 -1920) causa virale la cifra dei morti varia da 50 a 100 milioni – causa virale (H1N1); LA Peste Nera 1346 – 1353 (da 25 a 100 milioni) dovuta a una causa batterica (Yersina Pestis) cosi come la Peste Giustinianea nel 541 -542 fino al 750 anche qui con i suoi oltre 50 milioni di morti, la quale segna la fine dell’impero romano d’Oriente.

 La pandemia da zoonosi ha colpito non solo gli ateniesi e i romani nel periodo più importante degli imperi, ma anche nel Medioevo la Chiesa nel periodo della Peste Nera dal 1346 al 1353, originata dalle pulci dei ratti, a seguito delle invasioni dell’Orda d’Oro tartaro-mongola, lungo la via della Seta, la cui piaga che chiedeva “vita e salute” nelle preghiere e processioni che non arrivavano avviò le riforme e nel 1517 causò lo scisma di Lutero.

L’altro protagonista della pandemia non è un virus, ma un batterio: lo Yersinia pestis, con l’appellativo di Morte o Peste Nera, comparsa a metà del XIV secolo, originata dal Kazakhstan sudorientale.

Negli ultimi cento anni è possibile ricordare il virus dell’HIV – Aids del 1980 che causò 36 milioni di vittime nel mondo, il cui untore è stato lo scimpanzé dei Laghi, in Africa, avendo morsicato un essere umano.  

Il percorso della pandemia, però, è stato decisivo non solo sulla salute, ma ha anche agito sulla vita dell’uomo generando cambiamenti politici, sociali, di economia e finanza.

A causa di queste epidemie si sono associate migrazioni, crolli d’imperi, guerre, persecuzioni ideologiche e nuovi poteri religiosi, ma anche crisi della produzione e del consumo coinvolgendo tutta l’Europa e gli Usa, diventandone concause indirette della Seconda Guerra Mondiale. 

Nel 2003 la Sars, prima pandemia di questo secolo, fu portata dalle anatre selvatiche cinesi di Guangdong. Fu molto contagiosa, avendo causato 8200 vittime nel mondo e tra queste il virologo italiano Carlo Urbani, che ne identificò il virus.

Un’altra testimonianza importante è nella scoperta dell’antenato dl virus Ebola, che colpì negli anni 430 – 426 a.C. Pericle e con lui oltre 70 mila ateniesi durante la guerra con Sparta.

La scoperta è avvenuta nel 2005, mentre era isolato un batterio di febbre tifoidea nel Dna estratto da uno scheletro ateniese.

Il riscontro, invece, del morbillo o il vaiolo risale alla peste Antonina dal 130 d.C., con la morte dell’imperatore Lucio Vero e di 5 – 10 milioni di vittime, importato dalle legioni romane dopo la campagna contro i Parti, (ant. persano Parthava), rivali storici di Roma.  

L’epidemia ha bisogno di conoscenze; la Sars del 2003 è una grave influenza e la Mers del 2012, diffusa nel Medio Oriente, è più grave della Sars non è stata ancora debellata. Il coronavirus ha colpito 90 Paesi, tra cui l’Italia, in poco tempo; ha bisogno di essere tracciato, di attendibilità e di trasparenza. Occorre che la scienza abbia carattere mondiale in uno studio continuo poiché, secondo gli scienziati, il virus “non scompare per incanto”.

Le informazioni che si ricevono, purtroppo, non sono considerate credibili, perché cambiano e con il tempo sempre di più, dice Branswell, “le conoscenze sull’epidemia possono cambiare” e quindi è necessario ricevere informazioni il più possibile certe, anche se sappiamo che bisogna essere pronti a questi cambiamenti e includerli nel ricevere le comunicazioni per metterli in luce sui numerosi aspetti dal punto di vista culturale.

Hanno un ruolo cruciale ora di filtro, ora di cassa di risonanza, seguita e diffusa sia dagli organi di stampa, dalla social media e dal social network.

Spesse volte, però, influiscono le “Bufale”, come la storia dell’Avigan, il farmaco miracoloso contro il CoVID – 19 o in quello di Zaia, il governatore del Veneto, nel racconto dei “cinesi che si mangiano i topi”.

Queste sono storie che dovrebbero far riflettere la nostra lesiva classe politica che, come accade dietro ogni tragedia, c’è chi ci specula in Borsa facendo tantissimi soldi, alla faccia di chi muore, di chi combatte tante battaglie con una “piccola spada di legno” spuntata con il risultato del quasi centinaio morti tra medici e infermieri, solo di operatori sanitari e delle migliaia di contagiati e di vittime italiane.

 A tal proposito gli organi di stampa avevano cominciato a divulgare la pandemia del CoVID -19, quando ancora il virus era considerato solo un loro problema cinese.

Proprio il confronto tra la comunicazione pre-Codogno e post-Codogno ha tracciato il percorso del virus che ha valicato i confini nazionali e la gestione traumatica come se fosse di utilità universale nella sua legittimazione sociale dei metodi di gestione all’emergenza, sia scientifico-sanitario sia sul piano politico ed economico.

Si riscontra nell’utilizzo delle metafore belliche, sia nei media ufficiali, nella comunicazione informale, in espressioni come “la trincea” oppure nelle indicazioni più esplicite come “siamo in guerra” insieme all’aspettarsi di qualche rigurgito razzista, focalizzata nell’”immagine del nemico” incapsulata in particolare sia sulla “stretta di mano” sia nei confronti del vicino italiano o della collaborazione degli Stati europei oppure verso la comunità cinese in Italia.

L’immagine è di difendersi “restando a casa”. La concessione nel limite della tollerabilità, della dissonanza e del panico si raccoglie in un legame sistematico condiviso nei testi linguistici della comunicazione, come “paura”, “Vade Retro, virus” oppure “Contagi e morte: il morbo è tra noi” (Il Resto del Carlino, 22 febbraio 2020).

E allora che cosa bisogna fare? Molte bufale come la donna di Wuhan, la quale avrebbe cucinato una zuppa di pipistrello causando un coronavirus, nato Mengyun nel sud del Pacifico, dovuto a un programma di viaggi del blogger cinese, Wang Mengyun.

Gli italiani sanno che tre quarti delle malattie infettive, risponde al risultato di spillover zoonotici (salti di specie).

Strumenti utili ad affrontare nel futuro, in modo efficace e a superare le emergenze del discorso pubblico, che evidenziano, oggi, oltre 660 mila contagi accertati negli Stati Uniti, in Spagna, in Cina e in Italia in tutto il mondo.

Il nuovo coronavirus, purtroppo, non è un’eccezione: “Il virus non scompare per incanto- Per avere chiarezza bisogna arrivare almeno fino alla fine di aprile e prevedere di allungare il blocco almeno per altre due settimane”, secondo il direttore del dipartimento di malattie infette nell’Istituto Superiore di Sanità Giovanni Rezza (ISS).

Il raffreddore è provocato dal virus del cavallo; l’addomesticazione dei polli causò la varicella, l’influenza aviaria e il fuoco di Sant’Antonio.

Il morbillo, vaiolo e tubercolosi derivano dal ceppo dei bovini. Nel nuovo secolo il salto di specie che si è diffuso tra gli uomini, ha causato epidemie mortali con la SARS (Severe acute respiratory syndrome, sindrome respiratoria acuta grave) alla fine del 2002, la MERS (Middle East respiratory syndrome, sindrome respiratoria medio-orientale) nel 2012 e, infine la COVID-19 (Coronavirus disease 2019, malattia da coronavirus 2019) all’inizio di questo inverno.

Oggi il CoVid-19 ci descrive in modo esaustivo la complessità della comunicazione tra gli operatori istituzionali (Governo, Protezione civile ed esponente del mondo scientifico) e i divulgatori professionisti della comunicazione. Questi ultimi rappresentano la grande novità rispetto alle emergenze del passato.

Per gli Stati Uniti che hanno subito l’epidemia dopo di noi, il presidente Usa Donald Trump ha accantonato, di fatto, l’ipotesi di una quarantena per i tre stati, anche se il numero dei contagiati è salito a più di 120 mila.

 La Germania, invece, in ritardo scopre la sua fragilità. Registra, purtroppo, un aumento di contagi quasi lineare in Baden-WUrttemberg, che confina con la Francia e la Svizzera, in Baviera a Sud che confina con l’Austria e la Repubblica Ceca e in Renania Settentrionale – Vestfalia, la zona più popolata della Germania e che confina con Belgio e Olanda. 

Boris Johnson, invece, inviato a tutti i 30 milioni di famiglie del Regno Unito, una lettera dove prefigura successive restrizioni ai movimenti e alcune regole di distanziamento sociale.

Il primo ministro Conte non ha allentato le misure restrittive, teme l’allarme a New York che, secondo il presidente del Consiglio, “Potrebbe essere peggiore di Wuhan e della Lombardia” oppure esplosiva come in Spagna o di ritorno come in Cina.

Il Presidente Conte, il 22 marzo, ha deciso, attraverso il suo appello: “I lavoratori non sono carne da macello!” di chiudere tutte le attività produttive ad eccezione di quelle che forniscono servizi e beni essenziali. 

L’idea è stata nell’evidenziare la differenza, come sottoscrive il presidente della regione Puglia Michele Emiliano, tra “ciò che serve” la difesa della salute rispetto a “ciò che è utile” nella vita dell’uomo.

La costrizione del coronavirus ci sollecita a ripensare alcune criticità e scelte errate, compiute in passato, in particolare sulla sanità, in richiesta d’interventi rapidi e stanziamenti adeguati, ma anche nell’adozione di politiche a favore delle imprese, necessarie alla tenuta del sistema economico, bisognose di filiere produttive e di ammortizzatori sociali.

Fare previsioni su tali temi potrebbe essere spinoso se non si attuino misure di potenziamento per il Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per le famiglie, i lavoratori e le imprese connessi all’emergenza epidemiologica da CoVid -19.

La necessità è nel salvaguardare la “vita e la salute” dell’uomo e quindi occorre mettere in quarantena la popolazione, anche se è considerata una misura esagerata, ma “per fermare un’epidemia è necessario agire presto”, …. proibendo “i raduni pubblici”, anche se il “patogeno con cui abbiamo oggi a che fare non è fatale quanto quello che provocò la pandemia medievale”.

Su questi bisognerebbe orientarsi per una risposta esigente e per una tenuta economica e occupazionale logicamente incisiva, rapida, mirata e condivisa ai fini delle tenute di” vita e salute” su alcune aree specifiche, quali il socio-sanitario, i servizi, gli investimenti nei settori lavorativi della meccanica, dell’agricoltura, del florivivaismo, del settore turistico, della pesca, dell’acquacoltura e del rafforzamento per la cassa integrazione e per i lavoratori titolari di partita IVA. 

L’apprezzamento va ai nostri eroi; in loro s’intravedono prospettive sul futuro e aperture politiche democratiche decisive sulle sfide globali da affrontare, partendo dai cambiamenti climatici allo sviluppo sostenibile, dall’intelligenza artificiale alla disoccupazione tecnologica.

L’epidemia, mutatosi poi in Pandemia, da coronavirus costringe tutti noi indistintamente a ripensare sul perché la sanità italiana, migliore nel mondo, abbia subito più morti rispetto agli altri paesi? Sul perché le Asl siano state impreparate su: mascherine, respiratori, protocolli ? sul perché non siano stati protetti in primis medici e infermieri, operatori, forze dell’ordine, cassiere, e servizi di pulizie?

La domanda è dov’erano i tamponi richiesti? Qual è la risultante reale nella sua certezza pragmatica di fatto?

Questa disamina però, c’invita a ripensare il passato che ha scombinato le nostre certezze e tramortito le nostre vite dall’inizio del millennio.

Dopo l’attacco alle Torri Gemelle del 2001, della crisi finanziaria del 2008, le guerre in Africa e in Asia Minore, anche le pandemie dal 2003, come la Sars, l’Ebola e oggi il CoVid – 19, nemici nascosti e invisibili, figli dello sviluppo insostenibile hanno sottoposto l’uomo a dure prove e continuano a minacciare il percorso della sua vita e salute.

Essa intende avviare una nuova fase, non più avvitata sul vuoto di un esistenzialismo assurdo o di “un re che muore” (Ionesco), ma sul “Credo” del futuro prossimo e protagonista che verrà anche in attesa del vaccino, luce e desiderio di salvezza, attendibile nelle prossime settimane o mesi oppure, di certo, tra il 2021 e il 2022.

È ammissibile, quindi, pensare a un piano programmabile su obiettivi a breve e medio termine da raggiungere nel rispetto delle regole di vita.

 “Rimanere a casa”, è un obbligo, un diritto e un dovere di vivere in salute; però ha un costo enorme sociale, psicologico e finanziario e come dicono gli esperti.

L’uomo sa che bisogna affrontare anche la vita con tutti i suoi vuoti da convivere in attesa del vaccino.

Il rischio per le imprese potrebbe essere di trovarsi a corto di liquidità come sostiene il presidente di Confindustria Boccia, costringendo i lavoratori nel “blocco delle attività produttive non essenziali”, invece di convertire la propria attività, come ha fatto nei suoi stabilimenti di moda Giorgio Armani, nella produzione di camici monouso per tutti gli ospedali e gli operatori sanitari in propria linea di lotta al Coronavirus.

Sullo stesso avviso del presidente di Confindustria è l’ex premier Matteo Renzi che sul giornale cattolico Avvenire, afferma di riaprire tutto: “Dobbiamo convivere con il virus, la gente non può morire di fame in un’Italia ibernata per un altro mese”. Duro è il commento degli scienziati che definiscono la proposta del segretario di Italia Viva “una vera follia”: è giusto pensare al futuro “ma serve molta attenzione” e non creare “false speranze” a un possibile ritorno del virus .

Per Matteo Renzi la sensazione è che occorre “agire” e “convivere” con il coronavirus per evitare che “si accenda la rivolta sociale”, costretti dai “tentacoli dell’usura”, dalla “disperazione” e per “restare ibernati per un altro mese”, di certo “a macchia di leopardo” lavorando con attenzione e nel rispetto della “gradualità” e della “distanza”. L’indirizzo è in un’iniezione di fiducia verso le aziende e il lavoratore sospendendo: tasse, affitti, mutui eliminando le scadenze oppure offrendo una straordinaria iniezione di liquidità automatizzando nei nostri conti correnti sulla base del fatturato nell’anno prima e della garanzia dello Stato.

In questo penso alla rinascita che verrà e che farà emergere la verità in futuro tra la gente disunita ma unita che non ha paura di un virus che vorrebbe riportarci al Medioevo o all’epoca più buia dell’Ottocento.

La risposta è nelle parole di papa Bergoglio della “Fitta nebbia” o della “barca nella tempesta”. Ciò mi fa ricordare Recueillement de Baudelaire “une atmosphère obscure la ville” e che il virus “comme un long linceul” ha trascinato i nostri morti senza aspettare la dolce carezza dei propri cari. La speranza è nella fiducia del passare il “durante”, come nella poesia di Leopardi “la Quiete dopo la tempesta”, che chiede di superare quest’ostacolo al quale sicuramente“Faremo fatica, ma ce la faremo” e dipingeremo come i grandi pittori impressionisti della seconda metà dell’Ottocento l’arcobaleno sopra i nostri mari.

È utile, quindi, superare tutte le nostre incertezze, gli errori, i ritardi e le paure che oggi vedono il premier Conte avviare “con cautela, mantenendo un equilibrio pazzesco tra il diritto alla salute e il dovere di continuare per tornare alla normalità, eseguendo fondamentali test diagnostici (art13 del D.L. 9 marzo 2020 n.14) anche con la ripetizione nel tempo, a produrre in modo da non trovarsi, a emergenza finita, in condizioni davvero critiche”.

La sfida è nel fare fronte e combattere questa battaglia e dando indicazioni percettive alla realtà del presente. E poi chi pagherà il debito accumulato? Se non a Noi toccherà di certo ai nostri figli. Gli italiani sopravvivranno a questa tempesta, ma occorre far rinascere dalle sofferenze un nuovo umanesimo che costruisca il futuro, altrimenti il parassitismo sarà pagato dai lavoratori e dalle loro famiglie. La politica, quindi, deve fare la sua parte, come la stanno facendo in questi giorni gli operatori della sanità, la protezione civile e i trasportatori e tutte le filiere essenziali d’emergenza alimentari. Spendiamo bene la nostra programmazione di vita.

In questi anni non abbiamo voluto ascoltare gli esperti della salute; l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ci ha sempre informati sulla zoonosi, (salto di specie). Essa è un’influenza che uccide gli uomini adulti in salute e le persone anziane con malattie esistenti e anteriori. Il Covid – 19 è forse il patogeno che risponde alle previsioni informative della comunità scientifica. I dati fino ad oggi rispondono a una percentuale superiore al 3,4%, superiore al 2% dell’epidemia Spagnola del 1918. Questo significa il virus del CoVID – 19 ha un tasso esponenziale di trasmissione alto, la cui efficienza del contagio riguarda anche persone asintomatiche, pre-sintomatiche, o paucisintomatiche (con pochi sintomi). La marea della diffusione del virus ci dirà quali sono gli effetti che arrivano da noi nell’epoca della globalizzazione, il cui segnale di allarme denuncia la scarsa cooperazione tra i governi, denunciato anche dal papa Bergoglio nel suo lessema di essere nella stessa “ Barca di tempesta”.

L’emergenza del diritto alla salute riconsidera il valore del diritto, che non può vivere in isolamento e che trascina i diritti sociali in costante attrito con i profitti della finanza e delle leggi dell’economia causando una caduta del Pil. In Italia il dilemma fra salute ed economia (e lavoro) per il Covid – 19, non fa eccezione.  Le strategie operate sono quelle del modello di “distanziamento sociale” oppure del “non contrasto del contagio”. L’azione è stata quella fondata sui valori culturali e quindi di stile etico - politico. Non si poteva per il governo accettare la politica del Laissez faire che inficiava il modo in cui funziona del sistema economico, invece della constatazione pragmatica che colpiva, in larga misura da persone anziane /o già malate.

Il coronavirus ha causato i suoi effetti sull’economia mondiale com’è accaduto nel 2007-2008, che ha avuto i suoi colpevoli nella finanza americana mettendo alla gogna i loro algoritmi, la spregiudicatezza degli operatori e i loro mutui gonfiati. In quello cinese potremmo pensare ai peccati della superbia oppure alle loro usanze gastronomiche.

Anche questo virus, però, sta generando i suoi effetti nel fare emergere le falle del sistema economico che rimandano alla precarizzazione del lavoro, alla morte di molte piccole e medie imprese, ma anche al merito di prossimità, di solidarietà e di sussidiarietà.

                                            

La necessità è di superare l’onda d’urto del virus e sostenere il “valore del nostro Sistema Sanitario Nazionale del 1978”, come bene comune e conquista politica e sociale della nostra società e dispositivo istituzionale più rivoluzionario ed efficace in Europa nel settore del Welfare.

Il Diritto alla Salute, che ha realizzato una crescita della sanità pubblica fino al 2008 del 14,8%, con la scusa della riduzione del debito, ha lasciato “lacrime e sangue” in tutti i settori provocando la riduzione per la spesa del personale sanitario del 6% dal 2010 al 2016, il blocco del turnover, l’abbattimento di 70 mila posti letto, la chiusura di 175 unità ospedaliere e l’accorpamento compulsivo delle ASL da 642 negli anni ’80 a 101 nel 2017.

Cosi l’urto della pandemia ha colto la nostra sanità impreparata, causata da tagli di 25 miliardi tra il 2010 e il 2012 con pesanti ricadute sui cittadini dando l’idea editoriale della sanità pubblica inutilmente costosa, inefficiente, corrotta (ad eccezione della smentita di questi giorni) rispetto a quella privata.

Quest’ultima era considerata come scelta italiana inevitabile e sensata.  Essa causava un’esplosione di costi per la spesa privata che si calcolava solo nel 2017, secondo il Censis-Rbm, in 40 miliardi di euro, e metteva in ginocchio 8 milioni d’italiani, costretti a ricorrere a prestiti per accedere alle cure sanitarie. 

Oggi è necessaria, come abbiamo detto prima, una svolta che contemperi la coerenza fra percorso universitario e sistema salute attraverso un servizio sanitario centralizzato (e non spezzettato in strategie regionali) con la riapertura di strutture e presidi sanitari chiusi e con avvii a forti investimenti nella ricerca scientifica.

La devolution sanitaria ha creato le disuguaglianze e spesso inefficienze territoriali scoprendo le differenze sanitarie fra le regioni del Nord e quelle del Sud, riscontrabile nel commissariamento della sanità calabra e ovviamente dimostrabile nel fallimento alle condizioni di emergenza della sanità lombarda e, quindi, nel farsi una ragione sull’autonomia differenziata delle regioni.

La necessità è di superare anche gli effetti economici del coronavirus per non cadere agli effetti per la crisi economica della finanza americana del 2007-2008, di cui l’Italia ne paga ancora le conseguenze.

La verità odierna è nel bisogno di speranza, di creare progetti che sviluppano idee democratiche e non nella scelta di pieni poteri di Orban o nella richiesta di Matteo Salvini per un sovranismo o un populismo, l’opposto della nostra democrazia.

La situazione, come abbiamo detto, chiede di ripensare alla ripartenza, per non essere in ritardo com’è accaduto nell’emergenza sanitaria, di pensare in un futuro prossimo all’appuntamento anche con l’emergenza economica, altrimenti avremo un collasso sociale: “oltre all’ecatombe dei morti negli ospedali avremo un’ecatombe di posti di lavoro”.

“Qualsiasi azienda chiusa e qualsiasi posto di lavoro perso oggi”, come dice la Uil, “è impensabile il licenziamento anche di un solo lavoratore o la chiusura di una sola azienda”. Il motto è, quindi, “non delocalizzare, ma garantire l’assoluta sicurezza ai lavoratori”.

La visione non può essere quella miope dell’assistenzialismo, ma quella di un programma con obiettivi ben definiti sull’emergenza della vita economica che non si basi sull’assistenzialismo, ma su un aiuto che dia garanzie alle banche per mettere in moto liquidità da ripartire alle aziende avviando un percorso costruttivo di ravviamento impostato sull’analisi del presente e la previsione costruttiva del futuro.

Siamo ormai in una fase diversa rispetto a quello che l’Italia ha vissuto. Stiamo superando la crisi con un modello che gli altri ci stanno imitando. Oggi è importante avviare una stagione di grande riscatto affrontando il presente per agire in un’economia che possa ridare benessere dopo prevedendo un ingresso scaglionato ed evitare una “devastazione economica senza precedenti”.

La necessità è, quindi, d’immaginare a spegnere con efficacia il dramma che stiamo vivendo dando priorità a un “reddito di base” che protegga chi perde il lavoro. L’Italia ha bisogno di politologi che amino l’Europa e che sostengano Schengen per tutelare il benessere, forse con dottrine molto democratiche e poco decidenti, ma non di dottrine populisti che volevano illuderci e poi indurci in tesi e in scenari da incubo che ci hanno con propagande elusive che volevano portare il nostro Paese fuori dall’euro-zona o addirittura, dall’Unione europea, invece di affrontare il dibattito pubblico sia trasparente. 

La ricostruzione del Paese potrebbe essere vicina e forse più forte e più giusta se lo Stato aiuta, come ha fatto con i territori  comunali intervenendo con 40 milioni all’emergenza alimentare.

Allo stesso modo occorre tutelare le industrie meccaniche e i costruttori italiani sfruttando questo momento di stop territoriale per investire, per riassestare le strade del nostro paese, per mettere in moto le industrie, l’agricoltura e il turismo.

La necessità è di fare qualcosa adesso nel periodo delle piantagioni aiutando gli agricoltori, che per le loro sementi hanno bisogno di liquidità. La stessa urgenza è valida per l’avvio alla stagione turistica dell’accoglienza, la cui liquidità serve per le spese da inoltrare in preparazione del soggiorno per i turisti.

Il lavoro è necessario; sicuramente non tutti in massa, ma di certo scaglionato nel tempo.

Il blocco delle attività lavorative punta il suo focus anche sulle persone che lavorano in nero, che non hanno un reddito e sono vittime dell’economia sommersa, in particolare nel nostro Mezzogiorno. La speranza è di avere nel nostro Paese un turismo gradito, ma la fiducia in esso sarà, probabilmente, scarsa, perché gli italiani sono considerati untori di questa pandemia.

Le dinamiche saranno sicuramente complesse a risollevarci da questa crisi profonda che chiede non un “MES attenuato” in una soluzione strutturata “in soldi prima si danno e poi ti strozzano restituendoli”.

La condizione deve essere nel superare le situazioni di emergenza sanitaria con politiche serie, univoche e immediate rendendoli “open source” e valicando attraverso l’economia della salute, secondo la virologa Ilaria Capua, i numerosi decessi provocati da antibiotico-resistenza, che sono stati una concausa della forte mortalità da Coronavirus nel nostro paese.

Questo non può essere un pensiero, espresso da una volontà istintiva e irrazionale. Lo spirito non è nell’espressione politica di un modello avversativo, ma nella sua identità di “programmare per ripartire” concetto del logico-razionale; il cui conferire necessita “Vita e salute” pensando a obiettivi attuabili “già da oggi” e poi nella fase del “durante” e infine in quella del “come”.

La pandemia fa pensare a “agire” nel concetto universale di una Sanità dei Popoli che metta in comune formazione e ricerca condivisa. In Italia non si riescono a comprendere le dislessie esistenti, già nei termini di un presidente di regione che si considera Governatore, copia incolla inappropriato di quello americano e di quello tedesco, che però sono due Paesi federali. La Costituzione Italiana fa fede all’articolo 117, che affida allo Stato i compiti in materia di profilassi internazionale e all’Art. 120, che consente al governo di sostituirsi alle Regioni in casi di pericolo grave per l’incolumità e infine alla legge 833 del 1978, che assegna al ministro della salute il compito d’intervenire in caso di epidemie. Quello che, purtroppo, è accaduto oggi, ma che chieda una gestione della sanità, non fatta da localismi, ma centralizzata a livello nazionale per non essere più vittima di disuguaglianze territoriali.

Il concetto è nella definizione di un servizio sanitario che abbia un’organizzazione uniforme nella sua funzione territoriale di organo composito Stato-regioni, tenendo conto che dopo il 1970 molte Regioni svolgono le loro funzioni in affanno.

Adesso ci chiediamo quando finirà questa situazione di emergenza? Quando possiamo abbracciarci? Tornare alla nostra vita normale? E liberarci da questo coronavirus?

Non abbiamo, purtroppo, una risposta da dare, ma questa è la nostra paura, e pure quella dei nostri governanti.

Vi sono tre modelli da rispettare: il primo è il “soft o il non far nulla”, poi il “duro o il preventivo” e infine “ il prudente o l’educativo”. Il nostro governo ha preferito alla maniera “soft”, che lascia la malattia libera di circolare provocando la morte di milioni di persone e il collasso dei sistemi sanitari, scegliere quella “prudente” o “educativa”, come condotta di responsabilità con provvedimenti di costi economicamente “accettabili”. È un’azione sopportabile, ma che lascia sempre delle vittime e potrebbe salvare milioni di vite. Lo dimostrano, da alcuni mesi, il modello di chi non ha fatto nulla all’arrivo del contagio (Regno Unito, Stati Uniti e Spagna), chi ha agito preventivamente (Giappone, Taiwan) e chi ha reagito attraverso durezza normativa (Italia, Cina e Corea del Sud). Ciò ci fa capire che il sistema educativo è il migliore, mentre ”il non far nulla” induce ad avere un quotidiano di responsabilità e momenti di follia che potrebbero condurre e causare milioni di morti non solo in Italia, ma in tutto il mondo.

La logica è, quindi, quella del convivere con il ConVID -19 nell’assumersi il senso di responsabilità a servizio della salute che potrebbe causare in primis vittime, ma anche di essere utili alla “Vita”, almeno con soggetti asintomatici, “senza chiudere aziende e perdere posti di lavoro” attraverso provvedimenti straordinari in settori strategici dando liquidità alle banche per porre al centro, secondo la Uil del segretario nazionale Carmelo Barbagallo, “una nuova politica industriale che corregga gli errori del passato”, per avviare un modello di sviluppo diverso che sostenga gli investimenti pubblici e privati.

Il decreto “Cura Italia” va nella direzione giusta, ma è necessario assicurare liquidità alle imprese e sostegno al reddito ai lavoratori dipendenti e ai cittadini in tutti i rapporti di lavoro.

Per l’umanità intera la sfida è nel superare l’impatto prodotto dal coronavirus CoVID – 19, come la più grande tragedia dell’uomo del XXI secolo sta vivendo.

 Dopo la diffusione del virus occorre che il governo affronti le questioni politiche attraverso scelte attuative anche per i nostri eroi morti, le loro famiglie a supporto di un’emergenza sanitaria ed economica.

Non si chiedono più vincoli, che hanno causato tagli alla sanità e allo stato sociale con chiusura degli ospedali, con troppe disuguaglianze, troppi particolarismi e troppe inefficienze.

Questi non hanno non hanno prodotto nulla, ma solo la richiesta di un’autonomia delle regioni differenziata a vantaggio delle disuguaglianze, invece di porre rimedio per  superare le criticità cambiando paradigma a vantaggio di una sanità efficiente attraverso una salutare dose di rispetto e con umiltà verso le vittime e tutti noi.

Il presidente dell’Ada Provinciale di Brindisi

Tindaro Giunta

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