"Le terze rime di Dante" con Aldo Manuzio ne "La Magna Capitana" (di Angelo Sconosciuto)

La Biblioteca provinciale di Foggia è l'unica in Puglia a possedere quest'opera.

«Passata la festa, gabbato lo santo», dice un adagio molto noto. Anche per il “Dantedì” – recentemente celebrato in una prima edizione decisamente inusuale e del tutto fuori dalle previsioni dell’immediata vigilia a causa della pandemia – può esserci questo rischio, solo in parte annullato dalla circostanza che si va verso le celebrazioni del settimo centenario della morte del Sommo Poeta (Ravenna, 13/14 settembre 1321). E poi, il topo di biblioteca, chiuso in una di esse in questo periodo di forzata privazione di contatti, volete che non faccia tesoro di tale temperie? È vero, si è fermato nel “Dantedì” per vedere che cosa si fosse prodotto e per apprezzare i diversi contributi ma, come aveva annunciato, il viaggio tra le edizioni di opere di e su Dante Alighieri, pubblicate in Italia nel XVI secolo, è appena iniziato e quindi intende proseguirlo con maggior lena e con gli stessi propositi.

Constatato, dunque, che in Puglia non vi sono edizioni dantesche del XV secolo, la prima tappa del viaggio è necessariamente Foggia, perché è nella Biblioteca provinciale “La Magna Capitana” che si conservano «Le terze rime di Dante», con copertina in pergamena rigida. Collocazione: “F. S. D 7 F. A. XVI”, leggiamo nello schedario ed eccolo il volume, in 8° di 244 carte non numerate.

Sul verso del frontespizio la scritta: «Lo 'nferno e 'l purgatorio e 'l paradiso di Dante Alaghieri» (in alcune varianti il cognome del poeta viene corretto in Alighieri), quindi senza prefazioni o altri preliminari inizia l’opera. «Nel 1502, Aldo Manuzio stampa la Commedia curata da Pietro Bembo, che rimarrà per molto tempo l’edizione ufficiale – la vulgata – del poema», si legge nel sito dell’Accademia della Crusca e qui va innanzitutto ricordato come era dal 1493 che Manuzio si trovava a Venezia e, se sono arcinoti i meriti – peraltro annoverati anche in occasione del recente, quinto centenario della morte – qui vanno ribaditi alcuni fatti pertinenti. Il primo: nel gennaio del 1496, Manuzio pubblicò il «De Aetna» di Pietro Bembo. Il secondo: nel 1500, Manuzio sperimentò il carattere corsivo che «si ispirava ai documenti ufficiali manoscritti (…) e si proponeva di diffondere l’eleganza e la bellezza», come leggiamo sul sito maremagnum.com  (cfr. Aldo Manuzio, una storia di “carattere”). Il terzo: iniziò in quelle date le innovazioni sulla punteggiatura. Il quarto: «con il Petrarca del 1501 e il Dante del 1502 introdusse, mutuati dal greco, la virgola uncinata, l’uso dell’apostrofo, degli accenti e del punto e virgola, accogliendo indicazioni e suggerimenti che gli provenivano dal Bembo».

Manuzio-Bembo, dunque, per questo tandem su “Le terze rime”. «Questa edizione, la prima che si conosca in sesto portatile, è molto stimata per amore della sua correttezza», leggiamo nella “Bibliografia dantesca”, compilata “dal Sig. Visconte Colomb de Batines”, tradotta in italiano e pubblicata nel 1845 a Prato dalla “Tipografia Aldina Editrice”. «Si vuole che fosse fatta sopra una copia manoscritta del cardinal Bembo, ora nella Vaticana, n.° 3197», leggiamo ancora, ma bisogna essere grati ad una personalità della levatura di Carlo Dionisotti (1908-1998), se conosciamo molti elementi in più di questo rapporto. Bembo del resto, possiamo dire esser stato l’amore della vita del filologo piemontese, se è vero che si laureò a 20 anni con Vittorio Cian, discutendo una tesi sulle «Rime» del cardinale; che egli curò l’edizione delle opere del Bembo. È vero: sono usciti postumi gli «Scritti sul Bembo» (a cura di C. Vela, 2003), ma ricordiamo che nel 1995 Dionisotti diede alle stampe «Aldo Manuzio umanista e editore», libro nel quale fa cogliere gli elementi delle vite parallele di Bembo e Manuzio, alcuni dei quali riguardano proprio la «Divina Commedia» ed erano stati anticipati “in nuce” nella voce dedicata al Bembo e pubblicata nell’«Enciclopedia dantesca» dell’Istituto Treccani (1970).

«L’edizione della Commedia altro non contiene che il nudo testo, senza il titolo ormai tradizionale, sostituito sul frontispizio dal nuovo titolo escogitato dal Bembo né mai più ripreso da altri, “Le terze rime di Dante”», scrisse Dionisotti e aggiunse poco dopo: «Nel testo sono per la prima volta escluse le abbreviazioni e divise le parole secondo grammatica. È abbondantissima la punteggiatura, e costante l’uso dell’apostrofe e dell’accento grave in è verbo (eccezionale l’acuto su e media: piéta). La novità del testo subito risulta da un confronto con la volgata di allora, cioè col Dante del Landino». Guardando all’opera del Bembo osservò ancora: «Vero è che egli potè servirsi di un buon codice, appartenente a suo padre (l’odierno famoso Vaticano lat. 3199, di ascendenza boccaccesca e petrarchesca); ma notevole è che egli non si contentò di correggere la volgata secondo questo o altro codice: ignorò la volgata, e di sua mano, in quel che oggi è il codice Vaticano lat. 3197, compilò intiero il nuovo testo, quasi fosse stato inedito». Il Bembo, secondo il curatore di quella voce fu determinante con quella «improvvisa e ostentata rottura della tradizione», alla quale si oppose l’edizione giuntina del 1506, «ma il testo del Bembo prevalse per la sua coerenza – concluse –, per l'eleganza della stampa, e soprattutto per il successo che nei decenni successivi ebbe la riforma linguistica e letteraria imposta alla cultura italiana dallo stesso Bembo». E se questo è il giudizio di un nostro contemporaneo, fu profeta, il buon Manuzio, quando a conclusione della sua opera, dopo l’ultimo verso del “Paradiso” . “L’amor, che muove ‘l Sole et laltre stelle” (così le leggiamo in questa edizione) fece comporre, in quattro righe di testo ed in caratteri maiuscoli: “VENETIIS IN AEDIB(US) ALDI/ ACCVRATISSIME/ MEN(SE) AVG(VSTI)/ M.D.III”, quindi la frase: «Cautum est ne quis hunc impune imprimat,/ uendat ne librum nobis inuitis» e nell’ultima pagina, poi, l’ancora col delfino e la scritta: Aldus.

Il testo curato dal Bembo e la stampa in corsivo sono dunque le facce di una stessa medaglia, compendiata nell’avverbio “accuratissime”, tanto da diventare, appunto, la vulgata della «Divina Commedia». Ciò è tanto vero che alla fine del secolo (1595) gli Accademici della Crusca partirono proprio da quella edizione aldina del 1502 e, confrontandola con altri manoscritti, pubblicarono «La Divina Commedia di Dante Alighieri, ridotta a miglior lezione dagli Accademici della Crusca». Dovranno passare 93 anni e tante edizioni.

Prima di riprendere il viaggio, conviene indugiare ancora su «Le terze rime», conservate a Foggia, un volume raro al Sud d’Italia se pensiamo che, oltre che in Daunia, nell’Italia meridionale ed insulare lo troviamo ancora a Napoli e Palermo e poi, spulciando tra due cataloghi, nati dallo stesso genitore, ma che non sempre dialogano tra loro, ci accorgiamo che gli esemplari noti non sono poi tanti.

“Edit 16” – il Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo – ne indica 83. Fra le copie, anche le cinque segnalate fuori dall’Italia e rispettivamente collocate nella Biblioteca Nacional de España di Madrid, nella Osterreichische Nationalbibliothek di Vienna, nella Biblioteca Apostolica Vaticana, nella Fondation Babier-Mueller della facoltà di Lettere dell’Università di Ginevra e nella British Library di Londra; l’Opac Sbn – il Catalogo del Servizio bibliotecario nazionale – annovera anch’esso 83 esemplari, ma il fatto che in tale catalogo non vengano ovviamente segnalati i volumi collocati in biblioteche estere, induce ad uno spulcio ulteriore e ad un confronto fra liste di libri. Ebbene, in “Edit 16” risultano segnalate copie (un esemplare a biblioteca) nella “Leoniana” di Pistoia e nella “Bartoliana” di Udine, che non troviamo nell’altro catalogo, ben più prodigo di dati – se vogliamo – visto che in esso sono censiti esemplari presso la Biblioteca civica di Sedico (Bl), presso la Biblioteca statale di Cremona e, ancora, presso la Biblioteca statale del Monumento nazionale di Montecassino e la Biblioteca della Società di storia patria ligure di Genova, nonché nella Biblioteca del Seminario vescovile di Padova e nella Biblioteca del Museo Correr di Venezia. Di più: quest’ultima biblioteca ha segnalato due esemplari, mentre la Statale di Cremona ha messo in rete la copia digitalizzata della propria Aldina.

In questi giorni di obbligate letture domestiche e con l’ausilio di quanto offre la rete, proprio in queste riscontriamo la nota del Ministero, con la quale si comunica che l’Iccu «prosegue anche in questo periodo a gestire e promuovere il catalogo e la rete del servizio bibliotecario Nazionale: dal prestito tra biblioteche alla revisione delle collezioni digitali, dalla pubblicazione delle immagini e dei documenti della Grande Guerra alle mostre virtuali, dal censimento dei manoscritti e libri antichi alla pubblicazione delle risorse digitali. In particolare, proprio il coordinamento della grande rete del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), realizzato in collaborazione con le Regioni e le Università, consente al cittadino la ricerca online sui cataloghi di tutte le biblioteche italiane e, in questi giorni, promuove il portale ioleggodigitale.it: oltre 2 milioni di risorse digitali gratuite, afferenti alla digital library ReteINDACO, sono accessibili a tutto il pubblico, non solo italiano, senza alcun obbligo di iscrizione (https://ioleggodigitale.dmcultura.it/opac/.do)».

Non è fatica inutile, quindi, ricercare nella rete le copie che biblioteche di tutto il mondo hanno messo a disposizione e poi, come scrisse Manuzio, «accuratissime» controllare anche se copie di questa importante edizione – ed unica per il titolo appostovi – passino o siano passate sul mercato del libro antico. Ricordiamo infatti che in quel 1502 – anno memorabile perché scoppiò un conflitto tra Spagnoli e Francesi per il possesso del Regno di Napoli; perché Cesare Borgia con l’aiuto dei francesi occupò Urbino e Senigallia, mentre nella vicina Roma Donato Bramante iniziò la costruzione del Tempietto di San Pietro in Montorio – Aldo Manuzio, nella capitale della Serenissima Repubblica, stampò titoli importanti, talvolta bilingue. Uno o più titoli al mese, a ben osservare. Infatti, se «men(se) Aug(usti) 1502», videro la luce «Le terze rime di Dante» di cui scriviamo, non è a dire che gli altri mesi furono infruttuosi. Anzi. «Mense Ianuario», infatti, uscì una raccolta di opere dei più grandi poeti latini dell’età augustea (Catullus. Tibullus. Propertius) ed il «De urbibus» bilingue del geografo Stefano di Bisanzio. «Mense februario» ed anche «mense martio», poi, Aldo sarebbe stato impegnato con le edizioni, anch’esse bilingue, di Lucio Flavio Filostrato e di Eusebio di Cesarea. «Mense aprili», poi, ecco le «M(arci) T(ullii) C(iceronis) Epistolae Familiares» e le opere di Lucano e Giulio Polluce. A maggio, quindi, sarebbe stata la volta della pubblicazione delle opere di Tucidite e da lì ad agosto, ecco la preparazione dei volumi più impegnativi. In quel mese estivo, infatti, oltre a «Le terze rime» di Dante, videro la luce le tragedie di Sofocle e le opere di Stazio. A settembre poi, ecco gli «Herodoti Libri nouem quibus Musearum indita sunt nomina Musearum nomina Clio, Euterpe, Thalia, Melpomene, Tersichore, Erato, Polymnia, Vrania, Calliope» e ad ottobre le opere di Valerio Massimo, «La vita, et sito de Zychi, chiamati Ciarcassi, historia notabile» di Giorgio Interiano e quindi la «Baptistae Egnatii Oratio in laudem Benedicti Pronuli recitata in qua et iuuenilis aetatis, et sacri ordinis obiter tractata defensio continetur» e tra ottobre e dicembre avrebbe concluso la pubblicazione delle opere di Ovidio.

«Accuratissime», infine, cerchiamo sul mercato del libro antico. La copia con il prezzo attualmente più alto è in una libreria americana, l’Antiquarian Bookshop Buddenbroks 19.500 dollari (maremagnum indica 19.439,91 euro), mentre la libreria Alberto Govi di Modena ne ha ancora una indicata in catalogo con la scritta “venduto” e la Libreria antiquaria Pregliasco di Torino – la storico punto di riferimento dei bibliofili tra i prediletti da Umberto Eco – pone sul mercato una copia «in bella legatura di fine Settecento in vitello marmorizzato, i piatti adorni da 3 bordature neoclassiche in oro…» e nella scheda, come di consueto “accuratissime” redatta, spiega: «Prima tiratura, con il verso dell’ultimo f. bianco, in luogo dell’àncora che figura nella seconda tiratura». Già, perché com’è noto al mondo della bibliofilia, «la nuova impresa tipografica aldina fu approntata in corso di edizione; pochissimi esemplari erano già stati finiti senza l’áncora e sono di gran lunga più rari». Questa copia viene proposta a 14.000 euro, con la stessa libreria che propone un’altra copia, «in bella legatura del XIV secolo», con l’ex libris del precedente proprietario e con quella «celebre impresa tipografica di Aldo Manuzio dell’áncora col delfino al verso dell’ultimo foglio», ragione per la quale il prezzo di vendita scende – si fa per dire – a 12.500 euro.

E poi c’è la solita casa editrice indiana che propone «Le terze rime», in anastatica a 13,69 euro. “Stranezza” o “singolarità” della cosa: ogni qual volta un volume viene posto in fruizione libera da un’Istituzione, è sempre possibile, in India, farsene stampare una anastatica e farsela recapitare al proprio domicilio. Mah!...

 

Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno

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