La strage di Brescia una pagina della strategia della tensione (Carmelo Molfetta)

“Il fatto storico in estrema sintesi”

“La mattina del 28 maggio 1974, poco dopo le ore 10, a Brescia, in Piazza della Loggia, durante una manifestazione organizzata dal comitato permanente antifascista e dalle segreterie provinciali del sindacato unitario CGIL, CISL e UIL, un ordigno, collocato in un cestino dei rifiuti posto sotto i portici nel lato est della piazza, esplode provocando la morte di otto uomini e donne ed il ferimento di un centinaio di persone. Questo processo ha ad oggetto quei fatti di sangue nel tentativo di individuare e punire i responsabili di quella strage”.

Così la Corte di Cassazione introduce la motivazione della decisione che porterà all’annullamento della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Brescia che aveva confermato quella di primo grado con la quale “Maggi Carlo, Zorzi Delfo, Tramonte Maurizio, Rauti Giuseppe e Delfino Francesco” erano stati assolti “per non aver commesso il fatto”.

Tutti nomi tragicamente noti all’Italia democratica spesso ricorrenti nelle cronache di quegli anni bui.

Ben tre inchieste si sono rese necessarie, e solo la terza inchiesta, sembra, che abbia portato a fare un poco di luce su una delle tante vicende della storia repubblicana inquinate dai tanti protagonisti della strategia della tensione.

I giudici, nel corso dei vari processi, hanno valutato l’entità e la sussistenza del coinvolgimento di alcune organizzazioni terroristiche quali le S.a.m., Ordine Nero, arrivando alla conclusione che “…se nella primavera del 1974 poteva ritenersi già operativo il movimento terroristico Ordine Nero, che a quel momento aveva già eseguito altri attentati, nessuna prova vi era in ordine al controllo di tale struttura da parte di Maggi.”

Questi venne assolto in primo grado e in secondo grado; però la Cassazione sul punto annullò la sentenza rinviando ad “altra sezione della Corte d’Assise d’Appello di Brescia per un nuovo esame”.

Altra posizione di particolare rilievo è quella di Tramonte Maurizio.

Questi è imputato ed anche collaboratore. Secondo i giudici la “collaborazione di Tramonte può cronologicamente distinguersi in tre momenti: prima di tutto vi sono le informative (contenenti le confidenze di Tritone nome in codice di Tramonte, redatte dal maresciallo Felli all’epoca dei fatti (la prima informativa in qualche modo collegata all’esplosione di piazza della Loggia è quella datata 6 luglio 1974..in cui si parla della cena di Abano Terme a casa di Gian Gastone Romani e dei commenti di Maggi sulla strage e sul programma eversivo); in un secondo momento Tramonte “confessa” un suo maggiore coinvolgimento nei fatti “sebbene sotto la protezione fornita dal fantomatico Alberto funzionario dei servizi segreti che lo avrebbe infiltrato in Ordine Nuovo, e aggravando la posizione di Carlo Maria Maggi. Successivamente Tramonte Maurizio ritrattò le proprie deposizioni dibattimentali”, nel più classico dei comportamenti doppiogiochisti.

Nella disputa processuale tra informatore ed infiltrato, la Corte “ha ritenuto Tramonte un infiltrato” beneficiandone così delle conseguenze di legge.

La Cassazione, nutrendo seri dubbi sul punto, però si è chiesto: “ quale dunque il contributo determinante di questo presunto infiltrato. Il quadro che emerge dalla sentenza impugnata è di un soggetto reticente, che rende dichiarazioni generiche che poi egli stesso smentisce, per poi integrarle con ulteriori particolari e nuovamente smentite. Un soggetto così intraneo alla destra eversiva da partecipare in prima persona ad operazioni delicate e compromettenti, quali il ritiro di casse di esplosivo o di armi e soprattutto la partecipazione alla cena di Abano Terme ove per sua stessa ammissione mise a punto gli ultimi dettagli relativi alla strage…”.

Sulla posizione di Maggi la Cassazione, dopo un lungo ed articolato discorso di altissimo valore giuridico in ordine ai concetti di indizio e di prova, per sostenere la propria decisione di annullamento con rinvio rispetto a questa posizione, parte da alcuni elementi di fatto incontrovertibili.

“L’ordigno esplosivo fu confezionato utilizzando la gelignite di proprietà di Maggi e Digilio; la conservazione della stessa presso lo Scalinetto, che costituiva un punto di appoggio per il deposito di materiale bellico e per l’ospitalità a membri del disciolto Ordine Nuovo; il ruolo pacifico di Maggi quale capo carismatico e vertice strutturale prima di Ordine Nuovo e, poi, del nuovo movimento eversivo in via di riorganizzazione; la struttura verticistica e gerarchica dell’organizzazione (peraltro tipica delle organizzazioni di destra); il ruolo subordinato di Digilio a Maggi; la scarsa visibilità di Digilio esperto di armi ed esplosivi da proteggere; la propugnazione del metodo stragista, sono già di per sé elementi che unitamente considerati possiedono una gravità indiziaria ed una concordanza che la Corte sembra ingiustificatamente aver sottovalutato…”.

La rivalutazione di tutti questi elementi, esposti in modo meramente divulgativo, hanno portato la Corte di Assise di Appello di Brescia, in sede di rinvio, a ritenere Maggi Carlo Maria e Tremante Maurizio responsabili dei reati che gli vengono contesti e alla loro condanna all’ergastolo.

Ancora non è finita e la vicenda processuale si arricchirà di altri momenti dopo che saranno rese note le motivazioni.

Così anche la strategia della tensione, che alcuni fanno risalire sin dalla Strage di Portella della Ginestra, si arricchisce di altri capitoli di storia.  

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