Il figlio di topa (di Carmelo Molfetta).

C’era una volta il figlio di una “zoccola”.

Per evitare fraintendimenti mettiamola così: c’era una volta un figlio di “topa”.

Ho capito: lasciamo stare le origini.

C’era una volta un topino; quello con i baffi sul musetto alla francese e le orecchie a sventola. Si guardava allo specchio, vanesio ed orgoglioso e vedeva la sua lussureggiante, lunga ed irta coda.

Con fare dubbioso ed interrogativo guardava la madre la quale, invece, la coda l’aveva mozza.

Curioso e bramoso di sapere, come tutti i piccoli, le chiese: come mai la tua, di coda, non è lunga e rigogliosa come la mia?

Vuol forse dire che non sono figlio tuo?

 

Il piccolo, precoce come tutti i ragazzi di oggi, infatti, smanettando su internet, aveva letto di una strana teoria secondo la quale i figli assomiglierebbero ai genitori e dunque non rivedendosi nelle fattezze della madre se ne crucciava.

Ma che dici topino mio, fu la risposta; tu sei l’adorato figlio mio e di tuo padre, solo che fui vittima di un incidente!

Allettata da un goloso pezzo di formaggio mi avventurai all’interno di un aggeggio che dopo ho scoperto essere una trappola. Mi sono avvicinata per mordere il formaggio che neanche l’ho sfiorato ed è sceso, come una saetta, il taglione. Appena in tempo, con un guizzo, ho salvato la pelle ma vi ho lasciato la coda.

Fai attenzione piccolo mio, ammonì mamma topa, alle scorciatoie. Non è vero che accorciano: al contrario allungano la strada. Mi sono lasciata tentare da quel gustoso boccone che potevo prendere  senza alcun sacrificio e questo è stato il risultato: ho perso la parte più bella di me!   

La scorciatoia oggi sarebbe la “governabilità”.

Il mondo politico e quello accademico sul punto è nettamente diviso.

Alcuni sostengono che solo un governo stabile e duraturo, risultato da un esito elettorale certo, può garantire un processo di riforme organico ed effettivo.

Più facile a dirsi che a farsi ma la strada intrapresa oggi sembrerebbe questa.

Altri invece, sostengono che proprio durante l’attuale periodo di crisi strutturale e di enormi ostacoli politici e sociali, più che ambire a conoscere “chi ha vinto la sera delle elezioni” (mantra ripetuto in modo ipnotizzante dal premier) sarebbe più importante, addirittura essenziale in una fase di coinvolgimento di tutti nel progetto di riforme istituzionali, stigmatizzare la forza elettorale di ogni soggetto politico concorrente.

Questa è la teoria identitaria, e perciò bollata negativamente, avversata dai primi, orgogliosamente contestati dai secondi.

Intanto, a tutto oggi, nonostante i numerosi e spesso vigorosi solleciti del Presidente della Repubblica, ed anche a dispetto di altrettanti numerosi annunci, non abbiamo ancora la nuova legge elettorale.

Si tratta di uno snodo politico di particolare rilevanza al quale le forze politiche –ormai sempre meno partiti- ancora non danno chiara soluzione.     

Intanto la TV manda in “casa topa” il telegiornale. Le notizie scorrono e sono sempre più allarmanti: migliaia di morti avvelenati dall’eternit senza responsabili.

Lo speaker continua mandando in onda lo spezzone del filmato riportando le dichiarazioni di un avvocato che dice “..questo processo assomiglia al <gioco del soldato> (noi diremmo il gioco dello schiaffo) per cui nessuno è colpevole” seguito dalle dichiarazione di una giovane donna che dice “se nessuno è colpevole ridatemi mio fratello” e invece, il povero Cucchi è morto pestato quando era in custodia dello Stato italiano.

Le news dell’ultima ora ci aggiornano sullo stato “schifoso” di infiltrazione mafiosa di Roma Capitale.

Ed intanto l’astensione al voto ha raggiunto vette maggioritarie: c’è qualcuno che ancora crede che questo fenomeno non abbia nulla a che vedere con quanto prima detto?

6/12/2014

Carmelo Molfetta  

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