Se tre processi non bastano! (di Carmelo Molfetta)

Il 17 luglio del 2019 Carmelo Molfetta proponeva questo articolo. Riteniamo opportuno ripubblicarlo

per l'attualità che si riscontra in relazione a quanto sta accadendo in questi giorni a Taranto.

 

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto ha inoltrato tre richieste di archiviazione

in relazione ad altrettanti processi riguardanti sempre la vicenda ex ILVA.

Nonostante le numerose denunce ed informative provenienti da varie fonti investigative, da enti e da privati, da cui risultava una pericolosissima attività inquinante da parte dello stabilimento, che sarebbe stato accertata nel periodo compreso tra il 2014 ed il 2015, i pubblici ministeri inoltravano richiesta di archiviazione.

I Pubblici Ministeri avevano ritenuto che le attività produttive svolte dallo stabilimento ed oggetto di indagine, dovessero ritenersi “pienamente scriminate”. (Per gli approfondimenti i processi corrispondono a NN. 10093/16, 7297/17e 5568/17). Si era ritenuto che, in applicazione della normativa vigente (art. 3 comma d.l.207/2012 e successive modificazioni) “ILVA Taranto e l’affittuario o acquirenti dei relativi stabilimenti …sono in ogni caso autorizzati alla prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento e alla commercializzazione dei prodotti)” sino al 23 agosto 2023.

Tale attività produttiva, poiché ritenuta essere svolta in attuazione del Piano ambientale approvato con DPCM 14/3/14, non poteva “…dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute, e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro”.

Il GIP (dr. Ruberto) non è stato dello stesso avviso e, non accogliendo la richiesta di archiviazione, ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale –in ottobre ci sarà l’udienza- che ancora una volta si occuperà dell’ex ILVA, ma in realtà della politica industriale del Paese, per accertare la legittimità costituzionale della normativa che autorizza la continuazione della attività produttiva dello stabilimento (ricordiamoci che è sotto sequestro con facoltà d’uso) causa di gravissimi effetti inquinanti con altrettanto gravissime conseguenze in materia ambientale e sanitaria verso la popolazione.

La dichiarazione del vice premier Di Maio, secondo cui, si avrebbe in animo di eliminare la “immunità penale” nei confronti dell’ex ILVA, pone un serio problema di cui non si può non tenere conto.

Al netto della propaganda e di qualche imperfezione tecnico – giuridica, secondo il GIP infatti la norma che ha introdotto una vera e propria deresponsabilizzazione e rimessa all’attenzione della Corte Costituzionale, si inquadrerebbe più nella figura della  scriminate speciale considerata la sua “valenza oggettiva” e non in quella della immunità che avrebbe “esclusiva rilevanza soggettiva”, si ripropone, ancora una volta, il problema dell’equilibrio tra norme di rango costituzionale.

Nel frattempo, ed in attesa delle future decisioni, è successo che la Corte EDU, nel processo Cordella ed altri, ha condannato l’Italia avendo ritenuto, sempre nell’abito della controversia ex ILVA, essere state violate le norme relative alla tutela del diritto di “godere del proprio domicilio o della propria vita privata o famigliare” compromesso da un “rischio ecologico” che ha raggiunto un “livello di gravità”. Particolare importanza riveste il capo 181 della sentenza del 24 gennaio 2019, secondo cui “…il piano ambientale approvato dalle autorità nazionali e recante l’indicazione delle misure e delle azioni necessarie ad assicurare la protezione ambientale e sanitaria della popolazione, dovrà essere messo in esecuzione nel più breve tempo possibile.”

Invece, secondo le norme ancora una volta sottoposte all’attenzione della Corte Costituzionale, sebbene sotto profili diversi da quelli già esaminati, lo stabilimento ILVA era stato autorizzato per legge “a continuare la produzione per un periodo di soli 36 mesi, rispettando le prescrizioni AIA”, prolungatosi per ben 11 anni dalla data del sequestro -25 luglio 2012- sino alla data prevista del 23 agosto 2023.

Ancora, si rileva, che oltre un migliaio di lavoratori è stato posto in cassa integrazione, e dunque si è aperto un altro tavolo di crisi occupazionale; l’azienda ha fatto sapere che senza quelle norme che ne garantiscono la copertura penale chiuderà lo stabilimento, cioè proprio quelle norme che il GIP di Taranto ha rimesso all’attenzione della Corte Costituzionale affinché se ne verificasse la loro legittimità costituzionale.

L’ILVA, e sua successore, è ritenuta per legge (231/2012) stabilimento di “interesse strategico nazionale” e dunque non può essere chiuso; l’ambiente e la salute della popolazione, ha detto la Corte EDU, deve essere salvaguardata ed il piano AIA deve essere attivato “nel più breve tempo possibile”; anche il livello occupazionale deve essere garantito e tutelato. Per garantire tutto questo è necessario che la Politica, fuori da ogni aspetto propagandistico, trovi le soluzioni giuste che garantiscano l’equilibrio e la tutela di diritti di rango costituzionale.

Non si gridi alla “invasione di campo” della magistratura, se però tutto questo non avverrà in tempi strettissimi. Per tante famiglie del territorio non saranno buone ferie!

17 luglio ’19

Carmelo Molfetta

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