La democrazia diretta non è una pagliacciata (Homo videns)

Come abbiamo visto, per Marco Travaglio la decisione di salvare Salvini dal processo ha significato la caduta dalle 5 stelle alle 5 stalle.

La questione, oltre ad avere un aspetto comico, se non ridicolo, ha un altro aspetto, ben più preoccupante e pericoloso: è quello della democrazia diretta.

Si è saputo che per la questione Salvini hanno votato –su una piattaforma internet non soggetta ad alcuna verifica indipendente– 52.000 persone, di cui 32.000 a favore di Salvini. È come se la popolazione di Mesagne, bambini e anziani inclusi, avesse rappresentato un popolo di 60 milioni di persone. Se questa la chiamano democrazia, c’è molta confusione nelle loro teste.

Stabilito, quindi, che questa non è democrazia, né tantomeno democrazia diretta, ma un nuovo potere, una casta digitale, di pochi individui convinti di sapere tutto (e di poter fare tutto), possiamo noi 60 milioni delegare la nostra vita a 30.000? Vale a dire allo 0,01% dell’Italia?

Ma ancora più inquietante è il sotterfugio nascosto di questa falsità: dare il potere a questi 30.000 di stabilire se uno ha commesso un reato oppure no. Mettiamoci nei panni di uno di questi. Ognuno di questi 30.000, nel votare, si è sentito nel pieno diritto di ergersi a giudice, legislatore e governante. Non può esserci torsione peggiore dei nostri principî costituzionali.

Può il cittadino, nello stesso tempo, essere giudice, legislatore e governante? Poiché il cittadino non è in grado di esercitare tutte e tre le funzioni, fu inventata la separazione dei tre poteri: quello legislativo, quello governativo (ossia esecutivo) e quello giudiziario. E non soltanto perché il singolo cittadino è incompetente su tutti e tre i fronti; anche se lo fosse, lo stesso soggetto non deve esercitare tutti i poteri!

Ma ve lo immaginate uno che si fa una legge, la fa eseguire, e –infine– decide se e come punire chi non esegue quella legge che si è fatta a propria immagine e somiglianza?

È già avvenuto, nella storia. Nel secolo scorso è avvenuto in Russia, dove si chiamava stalinismo. È avvenuto in Italia, dove si chiamava fascismo. È avvenuto in Germania, dove si chiamava nazismo.

Tirando le somme, la concentrazione dei tre poteri nelle mani di una sola persona è stata chiamata, da tutti gli storici, giuristi, sociologi, filosofi: totalitarismo. Un male che perseguita il genere umano. Un male che è giunto all’apice nel XX secolo. Ora, in maniera comica, ridicola, accattivante, e –diciamolo– paracula, si vuol ripetere un nuovo totalitarismo: quello della casta digitale.

La verità digitale sta quindi nella forza del numero; addirittura nel presunto numero (0,01%). Ma è la banalità del numero a ridicolizzarla. Tuttavia, questo numero così banale viene utilizzato per legittimare un numero ben più alto, quello del 60% raggiunto, nel Parlamento, insieme dalla Lega e dal M5S. Nascosta dietro il populismo, di 30.000 persone, esce adesso allo scoperto la vittoria del privilegio, in barba ad ogni principio costituzionale. Così l’editto verbale emanato da Salvini (porti chiusi), pur non risultando negli Atti di Governo, diventa un Atto al di sopra di ogni legge, assoluto (senza alcun vincolo). 30.000 persone ci stanno consegnando a un regime assoluto, come una monarchia, o un regime teocratico come Iran o Arabia, o un califfato, o una Corea del Nord.

Purtroppo, i 30.000 sono la punta dell’iceberg di un numero di persone la cui forza numerica raggiunge il 60% (Lega e M5S). Costoro usano il loro numero come una pura forza, una clava per prevalere sui nostri principi costituzionali, ovvero sulla forza della ragione.

E la nostra Repubblica viene incamminata verso un nuovo totalitarismo.                                                 (Homo videns)

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