Dante in camicia nera… Perché no? (di Homo Videns)

Qualche tempo fa, il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (nel ministero che prima era stato anche dei Beni Culturali) ha dichiarato

che Dante è stato il capostipite della cultura di destra, affrettandosi comunque a precisare che si trattava di “una provocazione”. Nei giorni seguenti alcuni commentatori si sono sbizzarriti a canzonare, criticare, o addirittura sfottere ironicamente il povero Ministro. E non sono mancate le satire dei disegnatori. Il povero Sangiuliano ha quindi velocemente abbandonato l’argomento, dedicandosi ad altre incombenze. Tuttavia, mi sembra opportuno ritornare sul tema, perché la provocazione del Ministro non mi sembra campata in aria.

Infatti, se andiamo a rileggere l’inno del PNF, non possiamo fare a meno che dare ragione al Sangiuliano. Quell’inno si chiamava “Giovinezza”, e nel 1925 il testo rivisto da Salvator Gotta fu approvato ufficialmente dal Direttorio del Partito Nazionale Fascista come "Inno Trionfale del Partito Nazionale Fascista". Cosicché il canto fu elevato al grado di inno nazionale, e in tutte le manifestazioni pubbliche fu fatto suonare immediatamente dopo la Marcia Reale.

In realtà la storia di quell’inno è molto più complessa; era nato nel 1909 come canto goliardico degli studenti torinesi; dopo pochi anni fu fatto proprio dagli Alpini; nella Prima Guerra Mondiale fu modificato e divenne l’inno degli Arditi, i reparti d’assalto dei quali un comandante fu il mesagnese Giovanni Messe. Nel 1919 fu adottato dai fasci di combattimento. Infine, dopo la presa del potere da parte di Mussolini fu elevato a inno nazionale.

Ed ecco la versione fascista dell’Inno (per brevità [ma non solo] ne riporto soltanto le prime due strofe, dove si esalta il Sommo Poeta).

Salve, o popolo d’eroi

salve, o Patria immortale!

Son rinati i figli tuoi

con la Fe’ nell’Ideale.

Il valor dei tuoi guerrieri,

la virtù dei pionieri,

la vision de l’Alighieri

oggi brilla in tutti i cuor.

Giovinezza, giovinezza,

primavera di bellezza,

della vita nell’asprezza

il tuo canto squilla e va!

Dell’Italia nei confini

son rifatti gli italiani,

li ha rifatti Mussolini

per la guerra di domani.

Per la gioia del lavoro,

per la pace e per l’alloro,

per la gogna di coloro

che la Patria rinnegar.

Ecco dunque il riferimento a Dante Alighieri, messo lì non a caso, ma a bella posta, ad aprire la strada al nuovo Padre della Patria: “la vision dell’Alighieri” che “oggi brilla in tutti i cuor”, quei cuori degli Italiani che “li ha rifatti Mussolini”.

Probabilmente, anzi sicuramente, il Ministro Sangiuliano, fine scrittore formatosi sulla romana rivista Ideazione, fondata dal brindisino Domenico Mennitti (famoso organizzatore della cultura e della politica di destra), non ignorava questo famoso precedente storico. Come certamente non poteva ignorare il fatto che durante il ventennio Dante Alighieri fu celebrato continuamente come Padre della patria e perciò come precursore del regime fascista. Basti ricordare un libro che fu stampato e ristampato più volte, la prima volta nel 1927 e la seconda volta nel 1932; l’autore si chiamava Domenico Venturini, il libro era intitolato “Dante Alighieri e Benito Mussolini”.

Certamente, il Ministro non ignora neanche che la Divina Commedia fu introdotta nell’insegnamento scolastico dalla riforma di Giovanni Gentile; né può ignorare che il Regime fascista propugnò e favorì la costruzione di numerosi monumenti e manifestazioni celebrative del Sommo Poeta.

Questo, in sintesi, il rapporto tra fascismo e Dante; ma l’uso che il Regime ne fece fu veramente notevole, tanto che vari studiosi preferiscono parlare di abuso. Sorprende, perciò, la frettolosa ritirata del Ministro, forse redarguito per aver troppo presto rivendicato alla sua parte politica un Personaggio così tanto illustre. E per aver cercato di costruire un Pantheon di destra troppo facilmente. Perfino alcuni famosi intellettuali reazionari hanno consigliato al Sangiuliano di non essere troppo superficiale nel confezionare un vestito culturale alla destra di governo.

Invece, non sorprende, per quanto detto fin qui, che il Ministro ignori il fatto che Dante Alighieri, ai sensi del Codice dei Beni Culturali attualmente vigente nella Repubblica italiana, sia da considerarsi un “bene culturale immateriale”. Verrebbe da ricordare al Ministro della Repubblica che il Sommo Poeta risulta essere un bene universale, pertanto alieno da essere rivendicato da qualsiasi parte, bensì degno di essere tutelato da tutte le parti, e considerato asetticamente da tutte le forme di cultura, di destra, di sinistra, di sù, di giù.

Homo Videns

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