Centrodestra travolto da un'onda anomala (Giuseppe Florio).

Il primo turno delle elezioni amministrative consumato domenica scorsa sarà ricordato per molti anni come la Waterloo del centrodestra locale.

Le attese erano però molto diverse. La candidatura di Emilio Guarini, ammiraglio galantuomo, era stata annunciata come trionfante, occasione storica per riunire, consolidare e rilanciare il blocco moderato restato troppo presto orfano dell'esperienza di governo rappresentata da Enzo Incalza. La svolta si era avuta con l'improvviso cambio di rotta di ProgettiAmo Mesagne, che aveva clamorosamente ritirato la candidatura a sindaco di Antonio Calabrese in favore di un accordo con il nuovo mentore del centrodestra. Lo slogan spontaneo (ma poco apotropaico) «Uniti si vince!» aveva salutato con favore l'iniziativa, l'obiettivo reale essendo però il ballottaggio con Pompeo Molfetta.

I conti della serva raccontano un'altra storia. Il centrodestra è stato ricacciato al terzo posto, attestandosi su percentuali miserrime (16% scarso, pari a 2519 voti), l'entusiasmo degli aficionados si è tramutato in depressione cosmica, la grinta dei gruppi dirigenti è sublimata in stanca mollezza. D'altronde, una scorsa alle liste offre tutte le spiegazioni necessarie. Quella direttamente riferita a Guarini (Civico 26), tolto l'exploit di Carmine Dimastrodonato (consigliere uscente e unico riferimento di Mesagne Moderata, 247 voti) ha un solo candidato a tre cifre: il vicedirettore di Confindustria Brindisi Vincenzo Gatto (189 preferenze). Più o meno lo stesso discorso vale per la seconda lista dell'ammiraglio (Mesagne per Guarini sindaco), 219 voti per l'avvocato Mauro Resta e 158 per il giovane ingegnere Luigi Facecchia, alla prima esperienza: tutti gli altri allocati nella forbice tra 88 e 4 preferenze.

Imbarazzante la performance di ProgettiAmo Mesagne, i cui leader avevano nella scorsa consiliatura dimostrato una feroce capacità di opposizione al governo Scoditti, conquistando anche il record di presenze su alcune testate giornalistiche locali: 543 voti di preferenza, appena 121 all'ex candidato sindaco Domenico Magrì, 111 al consigliere uscente Alberto Destino e davvero pochissima altra roba. Da dimenticare in eterno i risultati di Fratelli d'Italia (210 preferenze), il cui giovane leader Giancarlo Facecchia conquista il magrissimo bottino di 78 voti. E, per finire, un fallimento risulta l'operazione della Lista Schittulli, un modo equivoco di polarizzare il consenso sul nome del candidato presidente alla regione candidando riempilista locali e forestieri: 44 preferenze in totale, tanti a zero, figuraccia assicurata. Così, dopo molte ore di eloquente silenzio post-elettorale, nel piagnisteo generale di una moltitudine di candidati delusi («Non avevamo nulla da offrire, non abbiamo promesso posti di lavoro ecc.») affiorano le prime sporadiche reazioni degli sconfitti. Raffaele Depunzio (31 voti) annuncia l'abbandono della vita politica: «Sono grato a quei pochi elettori che hanno riposto la loro fiducia nel sottoscritto.

Con tutti costoro mi scuso per aver deluso le aspettative e di averli indotti a sprecare il voto che altri candidati più capaci avrebbero meritato. Considero conclusa la mia breve esperienza politica: ci sono momenti nella vita in cui bisogna prendere coscienza dei propri limiti». Però, mentre Cartagine brucia, Bruno Morobianco, uno tra i più autorevoli opinionisti liberali della città, chiosa: «Mesagne è una città di centrodestra che, nell'attesa di una proposta di senso compiuto da parte di un gruppo coeso di persone, ha deciso di farsi guidare da coloro che al momento sembrano più credibili. Non dai più bravi amministratori». Così è, se vi pare.

Giuseppe Florio

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