Il Pd ritrova l'orgoglio con Vendola e Stefàno (Giuseppe Florio).

Beh, c'è poco da girarci intorno: con Nichi Vendola e Dario Stefàno il Partito Democratico mesagnese ha consumato la sua fiera giornata dell'orgoglio, bagnando nel fiume dell'oblio i tanti anni trascorsi ad animosamente battagliare contro il leader con l'orecchino.

All'iniziativa promossa a sostegno delle primarie regionali per il senatore Dario Stefàno dal comitato “Caro Dario”, c'è la gran parte dell'apparato democratico, ci sono vecchi e giovani dirigenti, i consiglieri comunali, gli assessori, il sindaco ed il presidente del consiglio comunale, sono arrivati molti militanti ed elettori. Insieme a loro, diversi maggiorenti convenuti dai paesi limitrofi, una manciata di sellini locali, il consigliere regionale Giovanni Brigante e l'ex Enzo Cappellini, in predicato per una nuova candidatura.

La serata è riuscita, lo rivela il colpo d'occhio – auditorium del castello Normanno Svevo affollato in ogni ordine di posto – ma lo raccontano anche l'entusiasmo della platea, la partecipazione emotiva, la voglia di sentirsi un corpo solo, anzi di tornare a considerarsi una monade invincibile.

 

E' questo forse il dato politico profondo, questa nuova frontiera della sinistra locale che è stata costretta a scompaginarsi e sta provando a ricomporsi: il voto a Stefàno diventa quasi un mezzo per ritrovare compattezza e passione e quindi un'occasione salvifica, nel pernicioso chiasmo che vede il deputato Toni Matarrelli, nemico dichiarato, condurre le proprie truppe a votare il segretario regionale del PD Michele Emiliano.

Quasi lo rivela Mariella Vinci, entusiasta presidente del comitato, quando esordisce: «Siamo anime diverse accomunate dalla volontà di dare una nuova vita al centrosinistra e Stefàno è il candidato di quel centrosinistra». Le fa da contrappunto Maria De Guido, sellina in dissenso con Matarrelli e vigorosa altra metà della mela di “Caro Dario”: «La primavera pugliese può soffiare ancora con Stefàno nonostante il tanfo di stagioni morte che la negano dandosi il nome di “rivoluzione”». All'orgoglio del PD, protagonista dopo troppo tempo di una mobilitazione significativa, si accompagna l'orgoglio degli ospiti. Spetta all'assessore regionale al Lavoro Leo Caroli scaldare la platea rivendicando il «buon governo» di Vendola, format preso a modello da altre regioni italiani. Ma è quando è la volta del candidato alle primarie che il pubblico, quasi inaspettatamente, va in brodo di giuggiole. Per tutto il tempo nel mirino c'è il principale competitor Emiliano: «Le primarie non sono l'esibizione muscolare di pezzi di classe dirigente eterogenea, ma una forte relazione con la comunità. Sentitevi liberi di votarmi, non seguite i capibastone». Poi, è ancora il momento del vanto: «L'esperienza di governo con Nichi ci ha restituito l'orgoglio di essere pugliesi». Prende il microfono un Vendola in grande spolvero che gioca la carta del bilancio esistenziale: «Dieci anni addietro mi sentivo figlio di questa terra, oggi mi sento il padre, sono invecchiato, anche per aver avvertito ogni giorno la responsabilità diretta della vita di tante persone». In realtà imbolsito non sembra e neppure a fine mandato, anzi: il resoconto dei due lustri di governo traccia il futuribile impegnativo programma che Stefàno potrebbe riutilizzare, tutto all'insegna dell'innovazione e dell'investimento nella cultura. «Abbiamo commesso errori, fatto inciampi», conclude tra gli applausi a scena aperta, «ma abbiamo offerto una identità alla Puglia. Non dobbiamo avere paura di osare». Dev'essere anche per questo che i democratici locali non hanno paura, questa sera: di andare allo scontro aperto con Matarrelli, di boicottare il proprio segretario regionale e, perché no, di spellarsi le mani per il rivoluzionario gentile.

Giuseppe Florio

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