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Beppe Patrono, intellettuale inquieto e politico scomodo. Cenni biografici.
Abbiamo scelto di pubblicare una biografia di Beppe Patrono, definito da sempre Intellettuale inquieto e politico scomodo. Le motivazioni che ci hanno portato a questa scelta le comunicheremo fra pochi giorni. Intanto un ringraziamento vada a Maria Carmela Stridi per averci sintetizzato una figura politica interessante, al di là delle parti, ma soprattutto per quello che intende fare nell’immediato futuro quale ultimo impegno preso nei confronti del suo compagno.
Cenni biografici
Giuseppe Patrono, Beppe per tutti, nasce a Brindisi nella casa dei nonni sul porto il 25 agosto 1918 da Raffaele, all’epoca segretario particolare a Roma dell’onorevole Chimienti, sottosegretario al Ministero della guerra, e da Francesca Guadalupi, figlia di Tommaso, produttore e commerciante all’ingrosso di vino.
Rimasto figlio unico a causa di una gravidanza e di un parto che mettono in grave pericolo la vita della madre e del figlio, Beppe arriva come primo nipote fra una corte di zie e zii e muove i primi passi in una grande comunità familiare dove dominano le figure bonarie e autorevoli dei nonni.
Cresce dimostrando di essere un bambino molto allegro, vivace e curioso di tutto che adora le storie, soprattutto quelle che gli racconta il cocchiere del nonno, reduce di guerra, che lo porta in giro con lui a cassetta.
A scuola si distingue per l’impegno e l’amore per lo studio e subito da' grandi soddisfazioni ai genitori e ai parenti, legge moltissimo. Frequenta il Ginnasio-Liceo “Marzolla” a Brindisi; suoi inseparabili amici sono Paolo Colonna, Gaetano De Vita, Ugo Guadalupi: tutti e quattro già fortemente critici nei confronti della dittatura fascista. A 16 anni è un lettore attento delle opere di Benedetto Croce che il padre gli prende a Bari presso la libreria Laterza. A scuola eccelle nelle materie letterarie e in filosofia ma prova un disinteresse pressoché assoluto per le scienze matematiche; ciò mette a dura prova la benevolenza eccezionale che ha nei suoi confronti il suo professore di matematica, poi suo grande amico, Cesare Carcaterra. E in questo periodo che si forma la sua coscienza civile e politica e che matura la sua visione laica, fortemente critica nei confronti di una Chiesa paludata e fondamentalmente lontana dallo spirito evangelico, allontanandosi così dal cattolicesimo tradizionalista che respira in famiglia.
A causa di uno studio intensissimo e di qualche problema di salute, seguendo il parere dei medici, un grave esaurimento nervoso lo obbliga ad abbandonare l’ultimo anno di liceo e lo castringono a ripetere l’anno. Prende la maturità nel 1938 e passa con grande successo gli esami di concorso per accedere alla Scuola Normale Superiore di Pisa, risultando 1° sui 16 ammessi quell’anno a frequentare la Facoltà di Lettere Moderne, fra i quali: Armando Saitta, Carlo Azelio Ciampi, Alessandro Natta, Mario Baratto, ecc.
Ha come docenti, fra gli altri, Luigi Russo, Giorgio Pasquali, Guido Calogero, Alfonso Omodeo, ecc.
Arrivato a Pisa, si guarda subito intorno per cercare, sapendo di trovarlo, quel gruppo di oppositori fra gli studenti e docenti, più o meno tollerati da Giovanni Gentile e dal regime, a capo del quale c’è Guido Calogero. Questi gli da una lettera con l’incarico di andare a trovare a Bari, durante le vacanze di Natale del 1° anno, Don Tommaso Fiore e di mantenere i contatti con lui. E stato necessario arrivare a Pisa per venire a conoscenza dell’esistenza di un gruppo di oppositori al regime a due passi da Brindisi!
Alla Scuola Normale stringe forti legami di amicizia con Alessandro Natta, Mario Riani, Mario Casagrande, Aldo Capitini, segretario della Scuola prima di esserne allontanato, Guido Torrigiani che, però, frequenta la Facoltà di Matematica e Fisica.
Il 19 Febbraio del 1940 il padre, che ha una salute molto precaria, muore improvvisamente colpito da un ictus. È una perdita incalcolabile che peserà molto sulla sua vita futura. La madre, vedova, rimane sola; l’anno successivo il 1941 le riserva un altro durissimo colpo: suo figlio è chiamato sotto le armi nel 1° reggimento dei Granatieri di Sardegna, vista la sua più che riguardevole altezza per i suoi tempi. Beppe fa il carro a Civita Castellana, poi è trasferito a Roma nel 2° reggimento dei Granatieri di stanza nella caserma di Santa Croce in Gerusalemme dove attualmente c’è il Museo della Resistenza.
Interrotti gli studi accademici a causa della guerra, malgrado le affettuose e pressanti sollecitazione dei suoi professori, in primis Luigi Russo, non tornerà più alla Scuola Normale e non conseguirà mai la laurea, semplicemente perché la cosa non ha più senso per lui. Eppure la sua vocazione primaria sarebbe stata lo studio e l’insegnamento.
L’esperienza del servizio militare gli conferma l’inadeguatezza di un apparato e di un sistema che è pari solo alla retorica e alla pomposità ufficiale del regime fascista.
L’8 settembre del 1943 lo trova nell’ospedale militare del Celio dove è stato ricoverato il giorno prima a causa di una inspiegabile quanto improvvisa altissima febbre che, altrettanto improvvisamente, scompare il giorno dopo. Uscito dall’ospedale con la divisa di sottotenente dei Granatieri entra subito in clandestinità per la quale lui e i suoi amici già si preparavano da tempo.
Azionista fin dalla prima ora, appena arrivato a Roma ha subito stretto legami con molti oppositori del regime provenienti dall’area liberale e azionista. Ha stretti rapporti con Ferruccio Parri, Riccardo Bauer, i Gallo, Vittorio Gabrieli, Ernesto Rossi, ecc. È l’ultimo a vedere Pilo Albertelli salire su un tram mentre lo saluta dicendogli “addio Patrono” prima che questi sia preso e poi fucilato dai nazisti nelle Fosse Ardeatine dopo i fatti di via Rasella. Lì sono sepolti molti altri suoi amici fra i quali: Antonio Gallarello, un umile artigiano, padre di ben 7 figli; il ricordo dei tanti amici perduti non lo abbandonerà mai più per il resto dei suoi giorni, come scrive alla madre che non ha avuto sue notizie da molto tempo, in una lettera del 7 giugno del 1944 fattale pervenire fortunosamente tramite il suo amico Berto Rolandi. L’essere un sopravvissuto lo obbliga “...ormai ci sentiamo legati per tutta la vita ad un lavoro politico ch’era già il nostro, ma che ha ricevuto ora una tragica consacrazione con la morte di tanti migliori di noi.”
Dopo il 25 aprile del 1945 rimane a Roma ancora nove mesi prima di poter riabbracciare la madre. L’Italia è un cumulo di macerie sotto ogni profilo e urge ricostruirla su nuove basi. Patrono si prodiga e fa propaganda affinché il 2 giugno del 1946 si voti scegliendo la Repubblica. Successivamente è candidato alla Costituente per il Partito d’Azione. Mantiene sempre strettissimi rapporti con il gruppo di Molfetta: Tommaso Fiore col figlio Vittore, Antonio Gadaleta, Vincenzo Calace, Gaetano Salvemini che conosce da tempo frequenta la casa di Liliana e Giovanni Minervini, di cui Salvemini è un lontano parente. Nello stesso periodo partecipa attivamente al Movimento Federalista Europeo, collabora a diverse riviste fra cui “il Mondo” di Pannunzio e successivamente “il Ponte” fondato da Piero Calamandrei.
In seguito allo scioglimento del Partito d’Azione - ma rimarrà sempre un azionista- passa nelle fila del P.S.I. Nei primi anni ’60 è a Roma alla Direzione del Partito nella Sezione propaganda/ mantenendo comunque sempre stretti legami politici e culturali con la sua città. Viaggia molto in lungo e largo nella penisola inseguendo sempre lo stesso obbiettivo, quello di “giustizia e libertà e rimanendo fedele a quanto ha scritto alla madre da Roma il 27 giugno del ’44: Siamo nel pieno di una battaglia che abbiamo combattuto da anni, che è ancora molto lunga e piena di ostacoli di ogni sorta e dalla quale dobbiamo uscire vittoriosi. Il senso della nostra vita futura, del lavoro che dovremo compiere come del pane che mangeremo, è legato a questa battaglia. Se c’è ancora qualche cretino che non lo capisce, che non lo sente, vuol dire che è destinato a rimanere cretino per tutta la vita.”
Espulso dal P.S.I, Sezione di Brindisi, per insanabili contrasti etici e metodologici, nel ’69 si presenta al Senato, come indipendente nelle liste del P.C.I mancandone di poco l’elezione.
Consigliere comunale per diverse legislature, è uso affrontare pubblicamente nelle piazze cittadine i temi più pressanti sia d’ordine locale che nazionali, quali per esempio il Referendum sul divorzio. Anticipando di gran lunga i tempi, nel ’75 presenta una lista indipendente per la gestione del Comune di Brindisi, ma lo seguono in pochi; il sistema dei partiti è già in avanzato stato di putrefazione ma gli apparati sono ancora molto forti e hanno presa sulla gente che chiede da sempre le stesse cose: favori e prebende a vari titoli e livelli.
Nel ’76 da l’addio ad un lungo celibato sposando una ragazza molto più giovane di lui con la quale, qualche anno dopo, va a vivere a Mesagne interrompendo così la lunga e assai pittoresca coabitazione con la sua immensa biblioteca ed emeroteca in seguito destinata, pure lei, ad essere trasferita a Mesagne.
La vita pubblica ufficiale di Beppe Patrono termina intorno alla metà degli anno ’80 non perché egli abbia mai potuto smettere i panni dell’uomo politico, ma per pura nausea della realtà circostante. Continua tuttavia a mantenere i contatti con gli amici di sempre, quelli che restano e, sempre, con lo stesso spirito profetico.
Ricordo che, in occasione di un suo viaggio a Roma, Beppe insieme ad Aldo Garosci andò a trovare Parri, da tempo ricoverato al Celio per gravi problemi di salute, giusto qualche mese prima della morte di quest’ultimo il quale, recuperando un momento di lucidità all’abbraccio dell’amico di tante battaglie, gli disse: “Beppe, Beppe... questa non è l’Italia per cui abbiamo combattuto e tanti sono morti!”
Circondato dall’affetto di pochi intimi, Beppe Patrono muore il 22 giugno del 2006 dopo una lunga malattia degenerativa che, estraniandolo dal mondo, gli ha dato sicuramente, infine, un po’ di pace.
Maria Carmela Stridi Patrono
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