La ricchezza dell’agro brindisino non può essere più trascurata (Carmine Dipietrangelo).

A Brindisi, dopo gli anni della industrializzazione forzata e calata dall’alto e che, per un certo periodo, ha prodotto sviluppo, reddito e lavoro, è necessaria una svolta

o quantomeno una riflessione economica e culturale non condizionata ne’ da approssimazioni e ne’ da fondamentalismi.

L’industrializzazione che trasformò la non remunerativa rendita agraria di allora nella ricca rendita urbanistica ed edilizia consentendo, oltre il dovuto, la costruzione di case e di quartieri e destinando terreni produttivi a suoli per l’industria pesante e inquinante, ha fatto il suo tempo. Per non parlare poi dei danni apportati al territorio agrario,in epoca recente, dai campi fotovoltaici realizzati senza regole e a discapito dell’agricoltura oltreché del paesaggio.

È arrivato il momento per un ripensamento sul futuro economico e produttivo della città.

Alla sua definizione può e deve contribuire anche l’agricoltura del territorio. In un momento, tra l’altro, in cui l’agricoltura, in Italia e soprattutto nel sud, sta dimostrando segni di vitalità e di sviluppo ben superiori a tutti gli altri settori ( +7%) come dimostrano i recenti dati della Svimez e dell’Istat.

La città di Brindisi per superficie agraria e’ la città pugliese, dopo Foggia, con l’agro più esteso arrivando fino ai confini di Mesagne, Sandonaci, San Pancrazio, San Pietro, Cellino, Carovigno, San Vito.

E’ l’unica città capoluogo che ha, a suo nome, una DOC che potrebbe essere trasformata, dandole un ulteriore valore aggiunto, in DOCG, e che fece del vino una delle sue principali ragioni e condizioni di sviluppo.

Le fornaci per la costruzione in epoca romana di anfore vinarie, i tantissimi stabilimenti vinicoli, tutti distrutti o dati alla rendita e alla speculazione edilizia, l’utilizzo, in varie epoche, del porto per il trasporto del vino che si produceva nel territorio, sono, forse la testimonianza più significativa della storia vitivinicola della città.

La superficie agraria destinata alla viticoltura fino agli anni ottanta, prima degli svellimenti incentivati dei vigneti era a Brindisi, quasi quattro volte superiore a quella attuale.

Altre realtà con le vigne hanno fatto le loro fortune, a Brindisi sono prevalsi, invece, prematuramente sfiducia e abbandono.

Brindisi attraverso i suoi carciofeti si è fatta apprezzare per il cultivar del carciofo, oggi IGP.

Era famosa per la quantità e la qualità della produzione di angurie e melloni gialli (ci sono ancora in giro per l’Italia gazebo che vendono angurie spacciate come brindisine).

Autocriticamente attorno a queste produzioni non si è riusciti, però, a costruire filiere, a determinare una rottura nel percorso della intermediazione tra prodotti agricoli e loro trasformati e consumatori. Una intermediazione fatta di troppi passaggi e che tanto nuoce alla redditività dell’agricoltura brindisina e che avvantaggia e fa arricchire solo l’industria di trasformazione e la catena commerciale.

Non si è stati capaci di valorizzare il saper fare dei nostri contadini, la qualità dei nostri terreni, introducendo le innovazioni necessarie. Anzi molte delle nostre produzioni sono state valorizzate, trasformate e utilizzate in altri contesti anche vicini, in un rapporto positivo tra produzioni agricole, cibo, territorio e cultura.

Si possono valorizzare e utilizzare a Brindisi le sue tradizionali produzioni, il suo saper fare agricolo, i suoi terreni, la sua pianura, il paesaggio delle campagne, per ripensare anche così il suo futuro?

Nuovi giovani imprenditori brindisini, oltre che grandi imprese del nord, ci stanno provando ed anche con successo. Nuove coltivazioni crescono, nuovi e più moderni impianti viticoli si stanno di nuovo diffondendo. Ma l’impegno devo andare oltre e deve coinvolgere il sapere e l’innovazione.

Il vecchio saper fare non basta più.

Gli elementi che non possono mancare sono oggi anche il saper raccontare (comunicazione, marketing, brand), il saper vendere (internazionalizzazione, e-commerce, creare nuovi mercati), il saper innovare (tecnologie di conduzione e di buona e sana coltivazione, dei processi produttivi), il saper ricavare nuovi prodotti dalle vecchie produzioni.

Che sia cultura o storia, biologia o chimica, è il sapere l’elemento di maggiore valore anche per l’agricoltura. Ed è questa anche una delle condizioni per sconfiggere il caporalato e rispettare, valorizzandolo, il lavoro nelle campagne.

E poi tutto è collegato.

Una sana agricoltura fondata sui saperi fa bene alla salute. Una buona agricoltura tutela il territorio e il paesaggio. Un paesaggio e un territorio ben tutelato attira il turismo, soprattutto quello di qualità.

Il turismo di qualità va alla ricerca di benessere e di cibo sano, crea nuova occupazione, incentiva l’artigianato di territorio.

Anche questo è un messaggio utile per il nostro futuro, per il futuro di questo territorio che può riscoprire tutte le sue potenzialità, ridando alla terra e alla agricoltura il ruolo perso o abbandonato. E non è anche questo un patrimonio da far conoscere e far apprezzare ai turisti, compresi quelli delle crociere?

A mio parere e’ giusto pensare da qui in avanti al settore primario anche attraverso una visione più ampia dove gli aspetti innovativi offrono spunti interessanti di reale cambiamento.

Si può dare così una prospettiva alle nuove generazioni interessate e attratte dalla campagna e dalla agricoltura. E si darebbe anche un po’ di fiducia e di considerazione ai nostri agricoltori ancora disperati, per i costi di produzione o per le varie crisi agricole e di mercato che subiscono.

Sarebbe già un ottimo segnale per la città e per l’agricoltura brindisina se l’amministrazione comunale (per anni disinteressata a questa parte importante del suo ricco agro), facendo il censimento delle proprie proprietà agricole (relitti stradali, terreni agricoli, donazioni, ecc.) le mettesse a disposizione di giovani e di anziani per coltivare e per imparare a coltivare e a produrre prodotti tipici della nostra terra, introducendo anche da noi la buona pratica degli orti urbani.

C’è un patrimonio di terreni, di associazioni, di cooperative, di nuovi e vecchi imprenditori che in agricoltura possono dare e fare tanto. E’ anche questo un modo per ripensare allo sviluppo della città e se si vuole guardare al futuro dei nostri territori senza rimanere impigliati ancora nelle polemiche sulla vecchia industrializzazione, una parte della quale ha ormai fatto il suo tempo.

Insomma è maturo il tempo che anche a Brindisi l’agricoltura ritorni ad essere considerata in maniera diversa per farla diventare una componente forte dello sviluppo del territorio.

Brindisi non è solo industria, porto, zona industriale.

Partecipare alla definizione degli strumenti a sostegno dello sviluppo rurale e costiero quali sono i nuovi GAL (Gruppi di azione locale) previsti dalla programmazione agricola regionale dei fondi europei, oggi è possibile.

Se ci fossero una politica e una amministrazione attente si potrebbe pensare ad ” un patto verde” per una buona agricoltura e per cibi sani, contro l’abbandono dei terreni, recuperando quelli incolti per far crescere così, attraverso incentivi, associazionismo, formazione, una nuova passione e una imprenditorialità giovanile radicata nel territorio e del territorio.

L’agricoltura è un settore pieno di opportunità e può avere un elevato valore aggiunto a condizione che si sappia generare quel circolo virtuoso del sapere fatto di tradizione, qualità, innovazione e capacità di racconto.

E Brindisi dai tempi dei messapi e dei romani, per la fertilità del suo agro, per la bontà delle sue produzioni agricole, può fare e raccontare tanto.

Parta allora dalle associazioni agricole brindisine quella progettualità che pure è contenuta nei loro documenti ma che qualcuno al loro interno tenta di rimuovere per gestirsi parassitariamente spazi di potere e di gestione, in qualche situazione, anche in maniera familiare e mortificando in alcuni casi gli interessi dei loro stessi associati; si organizzi un nuovo protagonismo dei produttori e degli imprenditori agricoli. È questa poi la condizione per farsi sentire e contare nella costruzione del nuovo sviluppo della città,a cui l’agricoltura è chiamata a dare il suo contributo.

Si attendono iniziative e reazioni.

LeftBrindisi sulla base di queste note è impegnata ad organizzare per la prima decade di ottobre un momento di riflessione e di confronto a cui parteciperanno il parlamentare europeo Paolo De Castro, il presidente del parco delle dune costiere e consigliere del ministro Martina, on.Enzo Lavarra, imprenditori agricoli del territorio, giovani agronomi e rappresentanti delle associazioni agricole.

Carmine Dipietrangelo

Presidente LeftBrindisi

 

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